L'infanzia
Franco Serantini nasce a Cagliari il
16 Luglio del
1951.
Abbandonato al brefotrofio di "Infanzia abbandonata" della sua città
natale, deve forse il suo nome e cognome ad un qualche ufficiale di
Stato
civile o ad un qualche religioso che apprezzava uno scrittore romagnolo
autore di romanzi pittoreschi ottocenteschi che all'epoca aveva una
certa celebrità, Franco Serantini
[1]. Nel brefetrofio vi resta sino al
16 maggio 1953,
quando viene dato in affidamento a due coniugi siciliani: Giovanni
Ciotta, figlio di braccianti e guardia di pubblica sicurezza che
all'epoca lavorava nel capoluogo sardo, e Rosa Alaimo, figlia di un
piccolo possidente terriero. I due sono genitori affettuosi col bambino,
ma quando alla madre adottiva viene diagnosticato un tumore la famiglia
fa rientro al paese natale, Campobello di Licata. Dopo la morte della
madre, il piccolo Franco diviene motivo di tensione familiare; Giovanni
Ciotta ottiene il trasferimento del bambino a Caltanisetta, vorrebbe che
gli fosse concessa l'affiliazione del bambino e fa domanda
all'Amministrazione provinciale di Cagliari, a cui Franco ufficialmente
era affidato. La richiesta viene però rigettata a causa di un cavillo
burocratico. Il bambino vorrebbe essere preso in affidamento anche dai
nonni materni (Maria Bruscato e Giovanni Alaimo) ed allora, il
13 dicembre 1955,
sentito anche il parere dei fratelli adottivi (Santo e Carmelina),
l'Amministrazione affida ufficialmente Franco alla sua nuova famiglia.
[2]
Quando Maria Bruscatto si ammala, tenendo conto anche del fatto
che Giovanni Alaimo era ormai anziano e i loro figli erano emigrati al
Nord o in America, viene chiesto di ricoverare Franco in un nuovo
istituto, giacché nessuno della famiglia, pur essendo sinceramente
affezionati, poteva più occuparsi di lui. L'Amministrazione provinciale,
nell'aprile
1960, ordina che Franco Serantini venga affidato all'Istituto Buon Pastore di Cagliari.
[3]
Nel capoluogo sardo frequenta le scuole medie con scarso
profitto, viene bocciato in seconda media. È un ragazzo timido, chiuso e
taciturno, desideroso di ricevere affetto, cosa che le suore
evidentemente non riescono a dargli. A quindici anni il rapporto con le
suore è insostenibile, i litigi sono continui e nei primi mesi del
1968
l'Istituto si rivolge al tribunale dei minorenni, esprimendo
l'impossibilità ad ospitare ancora Franco Serantini nel loro istituto.
Malgrado adducano motivazioni disciplinari, una delle ragioni
dell'insofferenza delle suore potrebbe anche essere che a quell'età,
all'epoca, le amministrazioni provinciali smettevano di pagare la retta.
[4]
A Pisa: prima il marxismo e poi l'anarchismo
Franco ha diciassette anni, il Tribunale dei minori riconosce che il
ragazzo «ha una assoluta carenza affettiva» e che dovrebbe essere
aiutato «con un trattamento affettuosamente comprensivo e sostenitore».
L'incredibile contraddizione del Tribunale sta nel fatto che per curare
questa carenza affettiva, la sentenza emessa dal giudice minorile
stabilisce che Franco debba essere rinchiuso in un riformatorio
[5](!!!!!).
Franco Serantini durante una manifestazione
Dopo essere stato psicoanalizzato per un mese intero a Firenze,
Franco Serantini viene affidato all'istituto di rieducazione maschile
Pietro Thouar di Pisa, in regime di semilibertà (è bene precisare che
Franco Serantini era incensurato). Nella città toscana riprende gli
studi, consegue la licenza media alla scuola statale Fibonacci e poi
frequenta la scuola di contabilità aziendale. Con l'esplosione della
contestazione, Franco si avvicina agli ambienti della
sinistra, frequentando prima le sedi delle Federazioni giovanili comunista e socialista e poi quella di
Lotta continua
(LC). Durante il periodo di questa militanza politica, insieme ad una
ventina di ragazzi, Serantini è protagonista dell'esperienza del Mercato
rosso, al CEP (quartiere popolare pisano). L'idea del gruppetto è
quella di comprare merce ai mercati generali per poi rivenderla a prezzo
di costo agli abitanti del quartiere. Il mercato, che si teneva
nell'area del piazzale Giovanni XXIII, viene inteso dai giovani
militanti di LC come un modo per aiutare la povera gente e,
contemporaneamente, per entrare in contatto diretto con loro,
invitandola poi a partecipare alle riunioni che
Lotta continua teneva ogni domenica pomeriggio.
Il mercato però attira le ira di commercianti, di
fascisti
e della polizia, mentre il PCI pare più attento a non perdere
l'appoggio dei commercianti che a sostenere il gruppo di giovani di cui
faceva parte Serantini. Il
16 settembre 1971
la polizia irrompe al CEP, nel tentativo di sgomberare il mercatino
abusivo carica violentemente i ragazzi e ne trattiene in stato di fermo
alcuni. Finisce in questo modo l'avventura del mercato.
Dopo alcuni litigi con il gruppo dirigente pisano di LC, anche a
causa della vicenda del mercato, l'intolleranza di Franco Serantini
verso ogni forma di
autoritarismo lo spinge su posizioni legate all'
anarchismo. Nella seconda metà del
1970 comincia a frequentare la sede del
Gruppo anarchico Giuseppe Pinelli, che ha la sede presso la
Federazione Anarchica Pisana (aderente ai
GIA) in via S. Martino n° 48, dove conosce anziani militanti come
Cafiero Ciuti, il prof.
Renzo Vanni e altri libertari, giovani e meno giovani, del luogo. Inizia anche a leggere libri anarchici di
Kropotkin,
Cafiero e
Malatesta che gli presta il prof. Vanni. Franco è molto attivo, partecipa a diverse iniziative e quando
Renzo Vanni trova il
bando di Almirante (un documento controfirmato da
Giorgio Almirante che il
17 maggio 1944 imponeva la condanna a morte per i renitenti alla leva.), nel giugno
1971, è lui stesso ad annunciarlo a
Luciano Della Mea,
antifascista
e militante storico della sinistra pisana del quale era divenuto amico
tempo prima. Ed è sempre lui che si incarica di farne delle fotocopie.
La morte
Prima delle elezioni del
7 maggio 1972
si susseguono le iniziative dei vari partiti e movimenti politici. Sono
giornate molto animate e "calde". Franco e gli anarchici decidono di
partecipare ad una contestazione, indetta a Pisa per il
5 maggio da
Lotta Continua, contro un comizio
fascista. Durante la protesta
antifascista
la polizia comincia a caricare pesantemente i militanti della sinistra
extraparlamentare che contestavano il comizio, per consentire al
fascista Giuseppe Niccolai di portare a termine il suo discorso, causando decine di feriti e procedendo a 20 arresti.
Umanità Nova annuncia la morte di Franco Serantini (n. 17 del 13 maggio 1972)
Franco, dopo essersi inspiegabilmente fermato di fronte ad una
carica della polizia, viene raggiunto dai celerini del 2° e 3° plotone
della Terza compagnia del I° raggruppamento celere di Roma, picchiato
con una ferocia inaudita con i calci dei fucili, pugni e calci e quindi
caricato su una camionetta in stato di arresto.
- «Erano circa le 20. Io mi trovavo alla finestra di un
appartamento[...] in lungArno Gambacorti [...] Ho sentito le sirene
delle camionette venire dalla parte del comune [...] si son fermate
sotto la casa mia dalla parte delle spallette dell'Arno [...] sotto la
mia finestra, una quindicina di celerini gli sono saltati addosso e
hanno cominciato a picchiarlo con una furia incredibile. Avevano fatto
un cerchio sopra di lui [...] si capiva che dovevano colpirlo sia con le
mani che con i piedi, sia con i calci del fucile. Ad un tratto alcuni
celerini [...] sono intervenuti sul gruppo di quelli che picchiavano,
dicendo frasi di questo tipo: Basta, lo ammazzate![...] poi uno che sembrava un graduato [6]è
entrato nel mezzo e con un altro celerino lo hanno tirato su [...] lo
hanno poi trascinato verso le camionette...» (Testimonianza di Moreno
Papini, Lungarno Gambacorti n°12) [7]
Nonostante le condizioni fisiche in cui è stato ridotto dal pestaggio
(aveva evidenti ecchimosi in tutto il corpo), viene trattenuto nel
carcere Don Bosco ed interrogato dal magistrato Giovanni Sellaroli, al quale rivendica la propria appartenenza al
movimento anarchico:
- «Ho partecipato alla manifestazione del 5 maggio, sono un anarchico e un antifascista militante, è forse un delitto?» (Ammazzato due volte di Laura Landi)
Completamente abbandonato al suo destino, ritorna nella sua cella
nella completa indifferenza di tutt. Di lì a poche ore la morte lo
raggiungerà:
alle 9.45 del 7 maggio Franco Serantini muore.
Il certificato medico del dottor Alberto Mammoli parla genericamente di
«emorragia cerebrale». Nel tentativo di nascondere ogni prova
dell'omicidio, il pomeriggio dello stesso giorno le
autorità
carcerarie cercano di ottenere dal comune l'autorizzazione al
seppellimento del ragazzo. L'obiettivo è quello di occultare cadavere e
prove connesse, ma il tentativo viene respinto da un funzionario
dell'ufficio del Comune che riteneva illegale la procedura subdolamente
portata avanti.
Intanto,
Luciano Della Mea
ed il professore Guido Bozzoni, sostenuti dagli avvocati Arnaldo Massei
e Giovanni Sorbi, prendono l'iniziativa di costituirsi parte civile e
danno vita ad un'intensa campagna di
controinformazione. Nei giorni seguenti, in tuta
Italia, si terranno numerose manifestazioni di protesta contro la
violenza delle forze dell'ordine.
Il
9 maggio 1972 si svolgono i funerali dell'anarchico sardo. Migliaia di persone lo accompagnano in mezzo ad una marea di pugni chiusi e di
bandiera nere con la rossa
A cerchiata nel mezzo.
Indagini
Le indagini furono due: la prima contro gli arrestati (tra cui, oltre
a Serantini, c'erano 4 studenti greci, di cui uno - Tsolinas Evangelos -
fu brutalmente pestato nonostante fosse poliomelitico); la seconda
contro ignoti per la morte dell'anarchico. La prima indagine si concluse
con il proscioglimento di tutti gli imputati, Serantini fu prosciolto
in quanto morto. Egli era stato accusato di oltraggio (avrebbe urlato
alle forze di polizia: «Porci!» e «Fascisti»), resistenza e violenza
contro le forze dell'ordine. Le brevi indagini non dimostrarono mai se
Serantini avesse o meno partecipato agli scontri; sicuramente stava nel
cuore degli scontri, ma non vi sono prove se egli abbia o meno
effettivamente partecipato al lancio di molotov o sassi contro le forze
dell'ordine (anche per gli altri imputati fu impossibile dimostrare la
loro effettiva partecipazione agli scontri). Le indagini misero anche in
luce che egli si era del tutto inspiegabilmente fermato di fronte alla
carica della polizia e per questo fu raggiunto e pestato a morte dalla
polizia.
La seconda indagine fu più complessa e si scontrò con i
comportamenti omertosi delle forze di polizia e dei medici, degli
infermieri e delle
autorità del
carcere
Don Bosco. Ci fu inoltre un tentativo da parte del procuratore
generale, Mario Calamari, di trasferire 3 magistrati di Magistratura
democratica (l'associazione di sinistra dei magistrati dell'Associazione
Nazionale Magistrati) per impedir loro di portare avanti alcune
indagini, tra cui quella su Serantini, in cui venivano messe in luce
gravi responsabilità ed illegalità delle forze dell'ordine e di uomini
dello
Stato.
Nel novembre
1972 il medico del
carcere
Alberto Mammoli ricevette comunque un avviso di procedimento per
omicidio colposo, mentre il giudice istruttore Funaioli (uno dei
magistrati che Calamari cercò di trasferire) si espresse in favore di
un'azione penale contro Albini Amerigo e Lupo Vincenzo, capitano e
maresciallo di PS del I° celere di Roma, e la guardia Colantoni Mario,
per aver affermato il falso e taciuto «ciò che era a loro conoscenza
[...] per assicurare l'impunità agli agenti responsabili dell'omicidio
di Franco Serantini».
Nella sentenza depositata nell'aprile
1975
il giudice Nicastro dichiarò «non doversi procedere in ordine al
delitto di omicidio preterintenzionale in persona di Serantini Franco
per esserne ignoti gli autori». Lupo e Mammoli vennero prosciolti.
Albini e Colantoni, condannati per falsa testimonianza a 6 mesi e 10
giorni con la condizionale e la non iscrizione nel casellario
giudiziale, furono assolti nel gennaio
1977. Nel marzo dello stesso anno il dottor Mammoli venne ferito alle gambe da militanti di
Azione Rivoluzionaria.
Concludendo si può affermare che, nonostante formalmente non si
siano trovati gli esecutori materiali dell'omicidio di Franco Serantini,
a causa dei tanti "non ricordo" da parte degli uomini appartenenti ai
vari apparati dello
Stato
(polizia, carceri e arte della magistratura), il procedimento ha
dimostrato inequivocabilmente le responsabilità delle forze dell'ordine
che si accanirono contro il giovane anarchico. Ha inoltre evidenziato la
disumanità del magistrato (Sellaroli) che lo interrogò nonostante le
varie ecchimosi che gli ricoprivano tutto il corpo (rilevati
ufficialmente anche dall'autopsia) e la completa indifferenza di tutto
il sistema carcerario di fronte all’agonia di Serantini, che fu
ricoverato solo in punto di morte (un ricovero immediato gli avrebbe
probabilmente salvato la vita). Ha scritto Corrado Stajano nel suo
Il sovversivo. Vita e morte dell'anarchico Franco Serantini:
- «Lo Stato, stupito dalle reazioni dell'opinione pubblica
democratica in difesa di un uomo senza valore, un rifiutato sociale
privo di ogni forza di scambio politico, si è obiettivaamente confessato
colpevole. Lo accusano i suoi comportamenti, i suoi continui e
impudenti tentativi di mascherare e di insabbiare le responsabilità e di
chiudere un caso che ha assunto un valore di simbolo del rapporto tra
cittadino e stato di diritto, fra autoritarismo e libertà».