Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


sabato 18 gennaio 2014

COMUNE IN VAL SUSA CONDANNA LA PIZZAROTTI, DITTA DEL TAV ISRAELIANO

Scritto da: valsusa report - gen• 18•14

tbm-pizzarotti 

Comune in Val Susa condanna Pizzarotti per il suo coinvolgimento nella TAV israeliana che attraversa la Cisgiordania. La Coalizione Italiana Stop That Train chiede al governo italiano di scoraggiare le imprese italiane che operano in violazione del diritto internazionale, seguendo l’esempio di altri paesi europei.


Il 27 dicembre il Consiglio comunale di Villar Focchiardo (TO) ha approvato all’unanimità una delibera che condanna la Pizzarotti Co S.p.A. di Parma per il suo coinvolgimento nella ferrovia ad alta velocità israeliana che attraversa la Cisgiordania occupata. La TAV israeliana, che dovrebbe collegare Tel Aviv a Gerusalemme, taglia per 6,5 km i Territori palestinesi occupati in palese violazione del diritto internazionale, comportando la confisca di terre palestinesi e il saccheggio di beni appartenenti al territorio occupato per la costruzione di una linea ferroviaria ad uso quasi esclusivo dei cittadini israeliani.

Villar Focchiardo diventa così la sesta amministrazione locale ad approvare una tale delibera. Il significato della misura è forte dato che il comune si trova in Val Susa, dove va avanti da 20 anni la lotta popolare contro la costruzione di una TAV attraverso la vallata. Nell’ottobre del 2013, una delegazione villar-focchiardoNo Tav si è recata nei Territori palestinesi occupati dove ha potuto costatare come la sottrazione continua di terre palestinesi è strumentale allo “spezzettare il territorio”.

L’estate scorsa l’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha pubblicato un parare legale sul caso in cui si afferma che ci sono “fondati motivi” per ritenere Pizzarotti responsabile di atti che “possono ammontare a gravi violazioni del diritto internazionale, come i crimini di guerra di saccheggio e di distruzione e appropriazione di beni”. Per gli stessi motivi, la Deutsche Bahn si era già ritirata dal progetto nel 2011. Oltre alla condanna politica e morale, la delibera approvata impegna il sindaco e la giunta di Villar Focchiardo a valutare la possibilità di inserire una clausola “che escluda la partecipazione di aziende e soggetti economici che operino in violazione dei diritti umani e/o in contrasto con i diritto internazionale” nel regolamento del comune “per la partecipazione a bandi comunali per l’esecuzione di opere pubbliche”.

La delibera di Villar Focchiardo arriva in un momento in cui governi e impresi europei prendono misure per evitare complicità con le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele. Negli ultimi mesi, tre imprese olandesi, su consiglio del governo, hanno interrotto legami con gli insediamenti israeliani. A dicembre 2013 il governo britannico ha pubblicato linee guida che avvertono sui “chiari rischi connessi alle attività economiche e finanziarie negli insediamenti” e non incoraggia né offre supporto per tali attività. La Romania ha vietato ai suoi cittadini lavoratori edili di essere coinvolti nella costruzione delle colonie israeliane poiché in violazione di norme di diritto internazionale. Le nuove linee guida dell’Unione Europea, in vigore dal 1 gennaio 2014, vietano l’attribuzione di sovvenzioni comunitarie ai progetti in insediamenti illegali e il rilascio di prestiti UE a qualsiasi entità israeliana che operi negli insediamenti.

 railway to jerusalem

La Coalizione Italiana Stop That Train applaude la coerenza mostrata da Villar Focchiardo e le altre amministrazioni locali italiane nell’assicurare che le imprese che traggono profitti dalla violazione del diritto internazionale non abbiano accesso ai fondi pubblici. Stop That Train invita i consigli comunali in tutta Italia ad approvare delibere analoghe e esige che il governo italiano, in perfetta linea con la politica europea di non riconoscere la sovranità israeliana sui Territori palestinesi occupati, scoraggi attivamente le imprese italiane dal proseguire o intraprendere attività con imprese ed enti israeliani che operano nei territori palestinesi occupati.

Coalizione italiana Stop That Train


 © Copyright 2014 TG Valle Susa




Fonte:


ARMI CHIMICHE A GIOIA TAURO

Sabato, 18 Gennaio 2014 08:27



ISTRUZIONI D’USO PER LE COLONIE INTERNE
Inquinamento, degrado, sottosviluppo… ‘ndrangheta, veleni, emigrazione…
Quando l’Italia è venuta in Calabria, ha portato questi doni. E come si conviene, nelle occasioni d’ogni anno, li ha rinnovati e li rinnova ancora.
Avvenne anche dopo la rivolta di Reggio, erano gli anni ’70, fecero il porto, dicendo che avrebbe sviluppato la Calabria e l’Italia, almeno quella del sud… intanto sviluppò la ‘ndrangheta e la fece diventare impresa.
Poi, dopo decenni di stasi in cui al porto ci andavamo a fare i tuffi, fu aperto veramente, e da allora sviluppò i profitti dell’MCT, la multinazionale che lo usa a proprio consumo e convenienza, lasciando inutilizzata buona parte della struttura ma non lasciandone il monopolio e ricattando i lavoratori con la cassa integrazione: o fai così o te ne vai.
Ultimamente, i profitti tornano a crescere ma i cassintegrati restano almeno un terzo, come mai?
“Un’eccellenza italiana”, parlando dello stesso porto recita così il Ministro Lupi, che in dono ci porta a nome dell’Italia e della comunità internazionale le armi chimiche della Siria. Così a costo 0 il Governo italiano si fregia di partecipare alla “più importante operazione di disarmo negli ultimi dieci anni”, come dice quell’altra ministra.
E siamo contenti, e…? Se le operazioni militari che le potenze mondiali conducono, nell’epoca della guerra permanente, per farsi concorrenza a conquistare posizioni in regioni martoriate e far valere i propri interessi imperialisti… se queste operazioni per una volta producono una cosa buona, la distruzione di micidiali arsenali chimici, certo che siamo contenti!
E saremmo ancor più contenti se si prendessero provvedimenti contro quelle multinazionali che sintetizzano e commerciano gli ingredienti di questi composti terrificanti, che spesso son le stesse che c’avvelenano coi pesticidi, con gli OGM… società che per realizzare questi commerci di morte chissà quante volte fanno passare queste stesse sostanze per questi luoghi, senza che si sappia, o le interrano con la complicità della ‘ndrangheta
Una cosa buona certo, ma una domanda sorge spontanea: perché prima d’esser distrutte a queste armi devono fargli fare il giro di mezzo mondo? Non sarà che lo smaltimento, come ogni cosa al giorno d’oggi, è un altro business e un’altra speculazione? O ancora: perché proprio a Gioia Tauro senza se e senza ma, quando in Sardegna appena hanno puntato i piedi il governo ha cambiato subito rotta?
Ora si rincorrono i politici locali tutti, pure Scopelliti, ch’è dello stesso partito di Lupi e della faccenda era di certo informato, mo’ cade dal pero… tutti indignati: “da qua non si passa!” Come si dice? “non nel mio giardino”!
E che vuol dire? Che avete fatto voi per difendere prima questo giardino dagli scempi speculativi reali che si realizzano continuamente? Cosa pensate voi per esempio di quella bomba a tempo che è il Rigassificatore più grande d’Europa, che si vuole impiantare in uno dei territori più sismici e saturo d’altri impianti, a rischio evidente catastrofe e certezza di morte per sempre del mare e di tutte le attività connesse…? Con quello molti di voi son d’accordo!
Già, quello fa meno notizia.
Chiediamo al Ministro Lupi: forse che si potrebbe fare questa delicatissima operazione in questo porto/eccellenza se ci fossero in mezzo le cisterne piene di Gas Naturale Liquefatto?
E cosa fa il Governo per questo porto/eccellenza? Non è forse vero che lo abbandona, che non lo aiuta, che rivolge le attenzioni verso altri scali?
“Un'eccellenza italiana che solo nel 2013 ha trattato 29.800 tonnellate di prodotti chimici pericolosi come questo. Ci sono le attrezzature, la profondità dei fondali, la capacità, capacità professionale, la capacità di gestire operazioni complesse" così recita ancora il Ministro, ma non dice cosa fa il governo per difendere quelle professionalità, per difenderne l’occupazione e per difenderne i diritti aggrediti dall’ingordigia dell’MCT.
O ancora: cosa fa per difenderne la sicurezza?!?
Così dichiarano i Portuali del SUL: “Nessuna relazione tecnica è materialmente arrivata all'Autorità portuale… Non conosciamo i dettagli tecnici del trasbordo di armi chimiche siriane deciso dal governo, non sappiamo quanti di noi saranno materialmente necessari per l'operazione, non siamo al corrente di un piano di evacuazione nel caso di incidente, non sappiamo nemmeno esattamente quali sostanze chimiche maneggeremo e a quale tipologia appartengono le navi coinvolte” e ricordano che a Gioia Tauro non c’è un ospedale né un centro antiveleni
Già, di questi regali non ha pensato mai a portarcene, l’Italia, piuttosto un megadepuratore che smaltisce sostanze tossiche da ogni dove… è normale che abbiano pensato, allora, che i cittadini di qui sono abituati, tanto alle sostanze tossiche quanto ad affrontare rischi senza alcuna garanzia.
Sono abituati a tutto e a stare zitti e subire sempre. Basta qualche promessa, qualche favore qua e là ogni tanto, per mantenere viva la speranza che qualcuno prima o poi ti può sistemare… basta questo perché ognuno, qui, si faccia i fatti suoi.
Ecco, a questo, almeno a questo, è arrivato il momento di dire NO!
E chiedere garanzie: per la sicurezza, per la sostenibilità del porto e l’integrità del territorio, che se, dietro tutte le garanzie che ancora devono arrivare, accettiamo di fare la nostra parte ora, si faccia una moratoria sugli impianti impattanti – come il rigassificatore – e si risparmi questa terra per il futuro.
SOS Rosarno

Di seguito le dichiarazioni del SUL





Fonte:

Per la seconda volta una sentenza della magistratura riconosce l’uso della tortura contro gli arrestati per fatti di lotta armata

 Dal blog di Paolo Persichetti http://insorgenze.wordpress.com/

 

 Posted on

Una sentenza importante. Va dato atto al collegio della corte di appello di Perugia, e all’estensore delle motivazioni, di aver redatto una sentenza coraggiosa e pulita che riscrive totalmente un pezzo della recente storia italiana. Una storia che non troverete certo nelle fiction della Rai. Questo blog ha lavorato sull’intera vicenda dall’inizio stanando chi si nascondeva sotto lo pseudonimo di De Tormentis. Torneremo su questi fatti nei prossimi giorni. Per ora leggete quanto scritto dalla corte di appello di Perugia. Nicola Ciocia, l’ex funzionario Ucigos a cui Improta e De Francisci ricorrevano su mandato del governo per le torture, è considerato dai magistrati “gravato da forti indizi di reità”, pertanto anche se i reati sono prescritti (la tortura non prevista nel nostro codice penale), la prescrizione – scrivono i giudici – deve essere comunque dichiarata dall’autorità giudiziaria, anche perchè vista la gravità dei fatti imputati, Nicola Ciocia potrebbe rinunciarvi per potersi difendere. Per questo motivo – concludono i magistrati – gli atti verranno inviati alla procura di Roma. Vedremo cosa accadrà e vedremo anche se Repubblica publicherà la sentenza.

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Per saperne di più
Le torture della repubblica





Fonte:







17 Gennaio 1961: Patrice Lumumba

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Venerdì 17 Gennaio 2014 07:03 
 
 
Il 17 gennaio 1961 Patrice Émery Lumumba, insieme a due suoi fedeli (Mpolo e Okito), fu trasferito in aereo a Elisabethville (l'attuale Lubumbashi), in Katanga, e consegnato nelle mani di Moïse Kapenda Tshombé. Era stato catturato il 2 dicembre 1960 dai soldati di Joseph-Desiré Mobutu mentre, dopo essere evaso dalla sua prigione domiciliare vigilata dai caschi blu dell'Onu, stava per riparare a Stanleyville, al di là del fiume Sankuru. Verso le 10 di sera di quello stesso giorno, lungo di viaggi e torture, un plotone al comando di un ufficiale belga fa fuoco su di lui e sui due suoi compagni. La mattina successiva i resti di Lumumba, Mpolo e Okito vengono fatti sparire nell'acido e molti dei sostenitori dell'indipendenza congolese giustiziati nei giorni seguenti con la partecipazione di mercenari belgi.
Tshombé è presente all'esecuzione. Lui, che appena sei mesi prima aveva promosso le sommosse nel Katanga, una regione meridionale del Congo belga scandalosamente ricca di minerali preziosi, decretandone la secessione al soldo del governo belga, della CIA e nel silenzio frastornante delle Nazioni Unite. Perché Patrice Lumumba, divenuto primo Primo Ministro del Congo indipendente il 23 giugno 1960 a capo del MCN (poi diventato MNCL, Movimento Nazionale Congolese di Liberazione), aveva creato più di un fastidio alle politiche imperialiste dell'Occidente cosiddetto "democratico". Se le autorità belghe (e soprattutto le compagnie minerarie) non pensavano ad un'indipendenza piena ed intera (una buona parte dell'amministrazione e i quadri dell'esercito restavano belgi), Lumumba sfidò l'ex potenza coloniale decretando l'africanizzazione dell'esercito e rendendo il popolo congolese il vero motore di questa storica indipendenza (a dispetto del re del Belgio, Baldovino, che con stile paternalistico aveva annunciato «Noi vi abbiamo aiutato a raggiungere l'indipendenza... »). Le parole di questo leader carismatico suonavano come un monito alle orecchie degli sfruttatori, dei coloni parassiti e dei politicanti ambigui del Congo indipendente (come ad esempio il Presidente Kasa-Vubu, che nel settembre non esiterà a revocare gli incarichi di Lumumba e degli altri ministri nazionalisti, salvo poi essere destituito dal parlamento poco dopo): «Noi abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti, le sferzate, e dovevamo soffrire da mattina a sera perché eravamo negri. Chi dimenticherà le celle dove furono gettati quanti non volevano sottomettersi a un regime di ingiustizia, di sfruttamento e di oppressione?».
Lumumba fu per questo molto rimpianto da tutta la comunità dei paesi non allineati e da numerosi esponenti politici (quali ad esempio Che Guevara che protestò vibrantemente contro il suo assassinio). In Lumumba, però, non individuiamo il profilo del classico rivoluzionario, non possiamo nemmeno arruolarlo tra le fila dei tanti intellettuali filosovietici di quegli anni, poiché egli non si definiva comunista: Lumumba era un'idealista profondamente convinto dei suoi principi, capace di radicalizzarsi nei discorsi e nei metodi quando le contingenze lo richiedevano.
La lettera scritta per la moglie poco prima di morire ci lascia il profilo più autentico di Patrice Lumumba, con tutti gli accenti che solitamente infiammavano i suoi discorsi: "Mia cara compagna, ti scrivo queste righe senza sapere se e quando ti arriveranno e se sarò ancora in vita quando le leggerai. Durante tutta la lotta per l'indipendenza del mio paese, non ho mai dubitato un solo istante del trionfo finale della causa sacra alla quale i miei compagni ed io abbiamo dedicato la vita. Ma quel che volevamo per il nostro paese, il suo diritto a una vita onorevole, a una dignità senza macchia, a un'indipendenza senza restrizioni, il colonialismo belga e i suoi alleati occidentali – che hanno trovato sostegni diretti e indiretti, deliberati e non, fra certi alti funzionari delle Nazioni Unite, quest'organismo nel quale avevamo riposto tutta la nostra fiducia quando abbiamo fatto appello al suo aiuto – non lo hanno mai voluto. Hanno corrotto dei nostri compatrioti, hanno contribuito a deformare la verità e a macchiare la nostra indipendenza... Morto, vivo, libero o in prigione per ordine dei colonialisti, non è la mia persona che conta. E' il Congo, il nostro povero popolo... Ma la mia fede resterà incrollabile. So e sento in fondo a me stesso che presto o tardi il mio popolo si solleverà come un sol uomo per dire no al capitalismo degradante e vergognoso e per riprendere la sua dignità sotto un sole puro... Ai miei figli, che lascio e forse non rivedrò più, voglio che si dica che il futuro del Congo è bello e che aspetta da loro, come da ogni congolese, che completino il compito sacro della ricostruzione della nostra indipendenza e della nostra sovranità, poiché senza dignità non c'è libertà, senza giustizia non c'è dignità e senza indipendenza non ci sono uomini liberi. Né le brutalità, né le sevizie né le torture mi hanno mai spinto a domandare la grazia, perché preferisco morire a testa alta, con la mia fede incrollabile e la fiducia profonda nel destino del mio paese, piuttosto che vivere nella sottomissione e nel disprezzo dei sacri principi. La storia si pronuncerà un giorno, ma non sarà la storia che si insegnerà a Bruxelles, a Washington, a Parigi o alle Nazioni Unite, ma quella che si insegnerà nei paesi liberati dal colonialismo e dai suoi fantocci. L'Africa scriverà la sua storia, una storia di gloria e di dignità a nord e a sud del Sahara. Non piangermi, compagna mia. Io so che il mio paese, che tanto soffre, saprà difendere la sua indipendenza e la sua libertà".
 
 
 
 
Fonte:
 
 
 
 
 

Thomas Sankara, la coscienza ribelle dell'Africa



 Dal blog di Bob Fabiani http://bob-fabiani.blogspot.it/

 

giovedì 16 gennaio 2014




Thomas Sankara il 15 ottobre 1987 viene assassinato da un commando golpista - organizzato e diretto da Blaide Compaoré - a soli 37 anni. Era nato il 21 dicembre 1949 a Yako, nell'ex Alto Volta, una colonia francese piuttosto turbolenta e,  che soli molti anni dopo durante la rivoluzione del 1983 prenderà il nome di Burkina Faso.
La data ufficiale in cui l'Alto Volta diventa "Burkina Faso" è il 4 agosto 1984; nell'incrocio di due lingue locali (dioula e mooré) significa "La patria degli integri".
A Thomas Sankara sono state date molte definizioni: "Il presidente dei contadini", per la decisione di metterli al centro e dar potere ai produttori di sopravvivenza, quel 90% di contadini condannati alla miseria più marcata e disperante; dimenticati e da sempre rovinati da tradizioni feudali e, in euguale misura dalla distruzione della natura complice l'avanzamento del deserto.
"Il ribelle" a causa delle proposte in favore del disarmo e dell'indipendenza economica terzomondista, contro l'imperialismo e il capitalismo divoratore di risorse.
"Il presidente più povero del mondo" per la sua visione personale della figura del presidente: ossia la messa in pratica di un principio di non-privilegio. A tal proposito spiegava:"Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero".
"L'incorruttibile" per la lotta senza quartiere che lanciò durante gli anni della Rivoluzione Burkinabé contro gli abusi.
"Il Femminista". Sankara si guadagnò questa definizione per l'attenzione speciale che riservò alle donne vittime del patriarcato capitalista.
Se dovessimo sintetizzare cosa ha rappresentato Sankara per l'Africa (e non solo) potremmo prendere in prestito la nota scritta dal sociologo svizzero, Jean Zigler:" L'esperienza di Sankara è stata unica in Africa e in tutto il Terzo Mondo. La morte di questo uomo eccezionale è una tragedia per l'intera Africa".
Vent'anni prima della dipartita del presidente del Burkina Faso, autentica coscienza ribelle per l'Africa intera, alla stessa età, Che Guevara trovò la morte e, prima di morire fece in tempo a scrivere una delle sue proverbiali frasi:"Quando lo straordinario diventa quotidiano, ecco la Rivoluzione". Parole perfette per la storia e per l'esperienza di Sankara alla guida della Rivoluzione Burkinabé.
-IL BURKINA FASO
Il Burkina Faso è situato nell'Africa sub-sahariana è un paese chiuso (senza sbocchi sul mare); un paese agricolo. Ha una superficie di 274.000 Km2, la popolazione è di circa 12.000.000 abitanti, con il 75% dei cittadini tra i 15 e i 40 anni.
Il Burkina Faso è limitato a nord-ovest dal mali, ad est dal Niger, a sud-ovest dalla Costa D'Avorio, a sud dal Ghana e dal Togo, a sud-est dal Benin. La capitale è Ouagadougou è situata proprio al centro del paese e, Bobo Dioulasso, il centro delle attività si trova ad ovest.
-IL PRESIDENTE RIBELLE"
Thomas Sankara è stato il paladino assoluto del rifiuto di apporre la sua firma - a nome del Burkina Faso - al programma di aggiustamento strutturale con il Fondo Monetario Internazionale. Questa sua posizione rivoluzionaria lo rende assolutamente moderno e attuale oggi che, in quell'Europa che per oltre 100 anni produsse ( e ancora produce, sotto altre mentite spoglie un moderno colonialismo fatto di schiavismo, guerre civili, dittature e coflitti che stanno riesplodendo in modo drammatico e proccupante, con la Francia in prima fila...) un colonialismo che condannò l'Africa alla miseria più diffusa e drammatica, l'esempio di Sankara sarebbe la migliore risposta alla "dittatura della Troika" che sta imponendo sistemi autoritari anche nei cosiddetti paesi del "Primo Mondo".
In un memorabile discorso ad Addis Abeba, in Etiopia, nel 1986 Sankara spiegò perché l'Africa non doveva pagare il debito estero: "Abbiamo detto all'Fmi: quel che chiedete noi l'abbiamo già fatto. Abbiamo ridotto i salari dei funzionari, risanato l'economia, non avete niente da insegnarci. ci è sembrato di capire che quel che il Fondo cerca sia un controllo politico".
-LA FORMA ISTITUZIONALE DELLA RIVOLUZIONE BURKINABE'
La Rivoluzione che Sankara portò a compimento aveva come forma istituzionale rivluzionaria, la democrazia diretta. nacque da un'alleanza fra la rivolta popolare contro governi corrotti e un gruppo di militari giovani capitanati da Sankara, Compaoré ( che poi partecipò al commando golpista che lo rovesciò...e ancora oggi siede sulla poltrona presidenziale...), Lingani e Zongo (il giornalista assassinato nel 1988).
Il potere a partire dal 1983 fu amministrato dal governo formato da militari e civili e dal Consiglio Nazionale della "rivoluzione" (Cnr, che aveva all'interno membri del governo e membri dei partiti di sinistra); tuttavia il nerbo della "democrazia diretta", la cassa di risonanza del popolo, dovevano essere i comitati di difesa  della Rivoluzione (Cdr), presenti in tutti i villaggi, quartieri, luoghi di lavoro.
Sensibilizzare le masse, impegnarsi nel lavoro collettivo di sviluppo socioeconomico e difendere la Rivoluzione anche con le armi erano questi i compiti che il "Comandante Sankara" assegnò a tutti coloro che, nel popolo si impegnarono a favore dello sviluppo del Burkina Faso. Sankara attribuiva una grande importanza alle organizzazioni di massa: credeva che, l'Unione dei contadini, delle donne, dei giovani, degli anziani, sarebbero state la vera espressione  della democrazia diretta mentre, invece, non aveva alcuna fiducia  nei partitini che si richiamavano a modelli rivoluzionari di stampo urbano ed elitario.
-THOMAS SANKARA I DISCORSI E LE IDEE
Sankara è stato una figura fondamentale e importantissima per milioni di giovani africani ieri come oggi, il suo grande insegnamento in tema di diritti umani, sociali e su quelli economici e contro il disarmo dell'Africa rendo no la sua figura assolutamente centrale per la rivendicazione della "coscienza indipendente dell'Africa". Qui di seguito abbiamo selezionato alcuni brani di celebri discorsi e alcune idee che possono meglio inquadrare la figura rivoluzionaria del presidente del Burkina Faso, sopratutto per quanti, tra coloro nche non ne conoscono nè la storia nè l'operato.
                                      (Bob Fabiani)


Il filmato eccezionale di questo discorso tenuto dal "Comandante Sankara" fu definito importantissimo tra quanti quel giorno si trovavano a Harlem, il "cuore del ghetto nero" di Nyc. Un discorso a favore dei paesi non-allineati e a sostegno di Cuba e dell'indipendenza dell'Africa e contro il colonialismo soffocante dei capitalisti oppressori.
 -SANKARA PARLA DEL PROBLEMA DELLA DONNA E DELLA PIAGA DELLA PROSTITUZIONE IN BURKINA FASO.
"La prostituzione non è che la quintessenza di una società dove lo sfruttamento è divenuto regola ed è il simbolo del disprezzo che l'uomo prova per la donna. Di questa donna che non è altro che il viso doloroso della madre, della sorella o della sposa di altri uomini, dunque di ciascuno di noi. E' in definitiva, il disprezzo incoscente che proviamo per noi stessi. Là dove ci sono prostitute ci sono "prostitutori".
 (8 marzo 1987, in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadougou)*
*Sankara nel suo programma poneva un'enorme attenzione alla donna: il nuovo governo comprendeva 5 donne; alla radio molte erano le trasmissioni di educazione sessuale, sulla contraccezione e sulla pericolosità dell'infibulazione; era stata concessa alle donne non sposate o conviventi il diritto  di ottenere unità catastali per costruire; il 22 settembre 1985 fu indetta la giornata dei "mariti al mercato".Sankara tentò invano di dare alle donne automaticamente una parte del salario dei propri mariti perché riteneva che fossero più abili nello gestire il denaro di molti uomini. La scorta in motocicletta di Sankara era costituita da donne. Nel 1987 vietò la prostituzione ma per questo ottenne forti critiche, venendo accusato di non aver preso in debita  considerazione la situazione economica del paese!


-L'AFRICA NON PAGHI IL DEBITO ESTERO E NON COMPRI PIU' ARMI*
ADDIS ABEBA,1986, VERTICE DELL'ORGANIZZAZIONE PER L'UNITA'
AFRICANA (OUA)
 Il problema del debito va analizzato prima di tutto partendo dalle sue origini. Quel che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi che hanno per tanto tempo gestito i nostri stati e le nostre economie; essi hanno indebitato l'Africa presso i donatori di fondi. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito, dunque non possiamo pagarlo.**
Il debito, inoltre, è anche legato a meccanismi neocoloniali; i colonizzatori si sono trasformati in assistenti tecnici...o dovremmo dire assassini tecnici, e ci hanno proposto dei meccanismi  di finananziamento con i finanziatori, i bailleurs de fonds, un termine continuamente usato: come se ci fossero "uomini il cui sbadiglio (baillement in francese...) bastasse a creare lo sviluppo nei nostri paesi! (Risate)
I finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei vantaggi finanziari. Così ci siamo indebitati per decenni e per decenni abbiamo rinunciato a soddisfare i bisogni delle nostre popolazioni. Il debito nella sua forma attuale, controllato e dominato dall'imperialismo, è una riconquista coloniale organizzata con perizia, affinché l'Africa, la sua crescita, il suo sviluppo, obbediscano a regole che ci sono del tutto estranee, e che ciascuno di noi diventi finanziariamente schiavo, o peggio, schiavo tout court di quelli che hanno avuto l'opportunità, l'astuzia, la furbizia di piazzare capitali da noi con l'obbligo di rimborsarli. Ci si dice di rimborsare il debito. Ma non si tratta di una questione morale: qui non è in gioco il cosiddetto "onore".
Signor presidente, abbiamo ascoltato e applaudito il primo ministro di Norvegia che ha parlato qui ieri, anche lei, che è europea, ha detto che il debito non può essere interamente rimborsato.
Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché, se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, possiamo esserne certi; invece, se paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi.
Quelli che ci hanno portato all'indebitamento hanno giocato, come al casinò: finché ci guadagnavano, andava tutto bene; adesso che hanno perduto al gioco, esigono che li rimborsiamo(...)
Quando si parla oggi di crisi economica, si dimentica di dire che la crisi non è venuta dal nulla, esiste da sempre, e andrà avanti sempre più man mano che le masse popolari diventeranno più coscienti dei propri diritti di fronte agli sfruttatori.
C'è crisi oggi perché le masse rifiutano la concertazione delle richezze nelle mani di qualche individuo. c'è crisi perché qualche individuo deposita in banche all'estero somme che basterebbero a sviluppare l'Africa. C'è crisi perché di fronte  a quelleenormi richezze individuali le masse popolari non ci stanno più a vivere in ghetti e aeree fatiscienti. C'è crisi perché i popoli dappertutto rifiutano di essere dentro Soweto a guardare Johannesburg. Ci sono dunque lotte, che inducono all'inquietudine i detentori del potere finanziario. Ci viene chiesto di essere complici nella ricerca di meccanismi di equilibrio: equilibrio in favore di chi ha il potere finanziario, equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No, non possiamo essere complici!
No, non possiamo accompagnare il passo assassino di chi succhia il sangue dei nostri popoli (...)
Si sente parlare di gruppo dei 5, gruppo dei 7, magari gruppo dei 100 e chissà altro ancora - è davvero tempo di creare il nostrro club, il nostro gruppo: facciamo sì che da oggi da Addisa Abeba diventi la sede di un nuovo club, il Fronte unito di Addis Abeba contro il debito - è nostro dovere proclamare di fronte a tutti che nel nostro rifiuto di pagare il debito non ci sono intenti bellicosi; al contrario, c'è un intento amichevole e fraterno, quello di dire come stanno le cose. Le masse popolari europee non sono opposte a quelle africane, anzi quelli che vogliono sfruttare l'Africa sono gli stessi che sfruttano l'Europa.
I nemici sono comuni. Il nostro club di Addis Abeba dovrà dire a tutti: "Il debito non sarà pagato" (...)
(...) Impegnamoci molto saggiamente a ricercare delle soluzioni; facciamo sì che altre conferenze spieghino con chiarezza che non possiamo pagare il debito. Dobbiamo dirlo tutti insieme, perché individualmente andremmo a farci assassinare. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il suo debito, io non sarò qui alla prossima conferenza (Risate); ma con il sostegno di tutti - e ne ho bisogno (Applausi) - potremo evitare di pagare. Evitare di pagare è una condizione sine qua non perché possiamo provvedere al nostro sviluppo.
Ma non posso terminare senza sottilineare che ogni volta che un paese africano acquista armi, è contro gli africani. Quando nel lanciare la risoluzione di non pagare il debito dobbiamo contestualmente trovare una soluzione al problema degli armamenti (...)
Cari fratelli, con la collaborazione di tutti possiamo arrivare alla pace fra noi. E potremo utilizzare le nostre immense possibilità di sviluppare l'Africa. Il nostro suolo, il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia, abbiamo un mercato, abbiamo sufficenti capacità intellettuali per creare e utilizzare la tecnologia, e la scienza che non mancano (...)
(...) Facciamo sì che a partire dal Fronte unito di Addis Abeba contro il debito si decida di frenare la corsa agli armamenti fra paesi deboli e poveri (...)
(...) Facciamo sì inoltre che il mercato degli africani sia davvero il mercato degli africani: produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo ciò di cui abbiamo bisogno, e consumiamo quel che produciamo, invece di importare! (...)
La patrie ou la mort, nous vaincrons! (Applausi)
*In un discorso con punte di umorismo accompagnato da applausi e risate degli incravattati capi di stato africani, Thomas Sankara vestito con il Faso dan Fani, cotone del suo paese, espone e motiva la proposta del Burkina Faso di creare un Fronte unito di Addis Abeba contro il pagamento del debito estero. Non risparmia tuttavia stoccate ai governanti che accumulano ricchezze all'estero e condanna lo scandaloso acquisto di armi da parte di paesi africani. infine invita l'Africa a produrre quello di cui ha bisogno e a consumare quello che ha prodotto invece di importare, accettando di vivere degnamente all'africana.
** Il Burkina Faso in realtà era uno dei paesi meno indebitati d'Africa, anche grazie alle politiche di contenimento delle importazioni e all'austerità di bilancio autoimposta. Il servizio del debito costituiva solo il 2,5% del Pil.


 -L'ASSASSINIO    
 Nel pomeriggio del 15 ottobre 1987 un commando militare assassina Thomas Sankara e, con lui, 15 persone, guardie e consiglieri.
Vennero tutti sepolti la notte stessa nel cimitero di Dagnonen, un quartiere situato nella zona est di Ouagadougou.
Era la fine di tutto. Era finita la Rivoluzione Burkinabé.
La rivoluzione fu spezzata e stroncata nel momento "opportuno": Sankara aveva chiesto e preteso troppo al cuore dello stato, ai funzionari, ai militari, ai sindacati, ai partitini urbani, ai commercianti, ai capi tradizionali, per non parlare dei suoi colleghi di governo: del resto è dagli ambienti governativi che partì l'ordine per rovesciarlo, sotto la regia golpista  di Compaoré; è l'ordine concordato con il consenso delle potenze straniere - sopratutto la Francia che lo considerava una minaccia per i suoi interessi colonialisti in Africa... - disturbate dalla possibilità dell'estensione del modello "burkinabé" in altre colonie e nell'Africa intera.
Sankara si accorse troppo tardi che ai vertici del Burkina Faso era isolato e solo: mentre la base rurale non era ancora  "socializzata alla politica", l'Esercito, intanto, rivoleva prendere tutto il potere.
-LIBRI SU THOMAS SANKARA
I titoli che qui troverete sono solo una piccola guida per orientarsi nello studio di Sankara non ha alcuna pretesa di essere "assoluta" e tanto meno definitiva.
                                                             (Bob Fabiani)
-Bruno Jaffré  - Biographie de Thomas Sankara;
-Bruno  Jaffré -  Burkina Faso Les années Sankara;
-Sawadogo       -  Le président Sankara;
-Carlo   Batà    -  L'Africa di Thomas Sankara - Le
idee non si possono uccidere  - Achab Editrice, 2003;
-Thomas Sankara - I discorsi e le idee - Esizioni Sankara, 2003;
-Alessandro Aruffo - Sankara. Un rivoluzionario africano. - Edizioni Massari, 2007;
-Thomas Sankara - Il presidente ribelle - a cura di Marinella Correggia
-Discorsi tradotti da Marinella Correggia - Edizioni Manifesto Libri;
-Valentina Biletta   - Una foglia, una storia. Vita di Thomas Sankara
-Edizioni Ediarco, 2003;
-Vittorio   Martinelli  (con Sofia Massai) - La voce nel
deserto  (prefazione Jean-Léonard Touadi) Edizioni Zona, 2009.
 
(Fonte.:jeuneafriquearchivie;sankara20ans)
 
Bob Fabiani
 
Link
-www.thomassankara.net;
-www.sankara20ans.net;
-www.jeuneafrique.com