Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


giovedì 31 gennaio 2013

ATTACCO ISRAELIANO CONTRO SIRIA, DAMASCO CONFERMA

Il raid aereo avvenuto la scorsa notte e' avvenuto ad una quindicina di km da Damasco e ha distrutto un centro ricerca militare e ucciso 2 persone.


mercoledì 30 gennaio 2013 17:06




 


Gerusalemme, 30 gennaio 2013, Nena News - Damasco conferma l'indiscrezione riferita da fonti diplomatiche occidentali all'agenzia di stampa britannica Reuters di un attacco compiuto la scorsa notte, intorno alle 2, dall'aviazione israeliana sul confine tra Libano e Siria. Obiettivo non un convoglio di armi diretto in apparenza al movimento sciita Hezbollah bensi' un centro ricerca militare ad una quindicina di km da Damasco.

Altri particolari non sono noti ma è certo, lo confermano anche rappresentanti della sicurezza di Beirut, che almeno 12 caccia con la Stella di David sono entrati nello spazio aereo libanese in tre ondate successive.

La notizia del raid aereo e' giunta dopo che ieri il capo dell'aviazione israeliana, il generale Amir Eshel, aveva lanciato l'allarme sulla presunta minaccia rappresentata dall'arsenale siriano mentre il regime di Bashar Assad starebbe precipitando nel caos. «Non possiamo permetterci di aspettare che scoppi una guerra» aveva affermato Eshel, lasciando intendere che Israele non attenderà che Hezbollah entri in possesso di armi più sofisticate, non necessariamente chimiche.

E' passata solo una settimana dalle elezioni legislative israeliane ma del quadro politico interno e dell'inizio delle consultazioni da parte del capo dello Stato Shimon Peres si parla ben poco. Ormai si parla solo di crisi siriana e del programma nucleare iraniano. Si respira di nuovo un'atmosfera di guerra imminente. Nena News




Fonte:

mercoledì 30 gennaio 2013

MALI: CENTINAIA DI PERSONE IN FUGA


Dal blog http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/  di Sebastiano Nino Fezza

(ANSA) - ROMA, 29 GEN - ''Centinaia di persone sarebbero fuggite da Kidal negli ultimi giorni verso villaggi piu' a nord, a ridosso del confine con l'Algeria'' e ''altri hanno attraversato il confine, nonostante sia ufficialmente chiuso''.

E' quanto rende noto l'Alto Commissariato dell'Onu per i Rifugiati (Unhcr) secondo il quale, complessivamente, ''dall'inizio del conflitto'', nei primi mesi del 2012, ''circa 350mila sono fuggite dal nord del Mali''...


Fonte:

SIRIA: STRAGE AD ALEPPO, PIU' DI 80 CIVILI TORTURATI E UCCISI

ATTENZIONE: IMMAGINI SCIOCCANTI!



martedì 29 gennaio 2013

ATTACCHI CONTINUI PORTANO AD ABORTI IN URIF, WEST BANK

Attacchi continui portano ad aborti in Urif WB

fonte: palsolidarity.org 29 gennaio 2013 | International Solidarity Movement, Nablus, Palestina occupata

L’esercito israeliano e i coloni illegali hanno, quasi ogni giorno negli ultimi due mesi, invaso e attaccato il villaggio di Urif in Cisgiordania. Un medico locale riferisce che queste azioni hanno causato 17 aborti solo nel mese di dicembre, numerosi feriti, privazione del sonno e grave conseguenza per la vita normale. Gli attacchi si verificano giorno e notte. Gas lacrimogeni, proiettili ricoperti di gomma ma d’acciaio e munizioni vere sono abitualmente utilizzati dall’esercito. Il villaggio è stato obiettivo di attacchi regolari per molti anni, ma dai primi di dicembre 2012 si è registrato un aumento significativo.
Un video pubblicato mostra soldati che entrano in Urif in silenzio intorno all’una il 29 dicembre. I soldati esplodono bombe sonore, utilizzano una sirena da raid aereo e gridano attraverso un altoparlante “Urif buongiorno, svegliate tutto il paese, get up” (4,15) e poi ripetutamente usano il clacson su un veicolo militare (6: 28). Queste incursioni notturne sono diventate un evento frequente nella vita di Urif e continuano fino ad ora.
Grandi quantità di gas lacrimogeni e proiettili ricoperti di gomma/acciaio vengono utilizzati contro gli abitanti del villaggio, sempre infliggendo un elevato numero di ferite. Un locale medico – un operatore sanitario di base- riferisce che ci sono stati 17 aborti nell’ultimo mese come conseguenza diretta di questo gas. Il medico descrive come sua moglie ha perso il suo bambino non ancora nato: “Dopo che il gas è entrato nella mia casa, mia moglie ha iniziato ad avere un flusso di sangue. Siamo andati in ospedale per un’ecografia e abbiamo visto che non c’era più battito cardiaco”. Egli racconta anche di un altro caso: “La mia vicina era incinta di 8 mesi, ma dopo un attacco con i gas hanno perso anche il loro bambino “. In un borgo di appena 3000 persone, si tratta di una anomalia enorme in aborti spontanei.
Jim, un attivista  della solidarietà internazionale presente in Urif, ha osservato che “il gas è molto forte, ha un potente effetto anche da grande distanza e abbiamo visto l’esercito sparare questo gas direttamente nelle case della gente. A volte tutto il paese è in una nube di questo gas chimico “. Uno degli abitanti del villaggio descrive il gas ancora: “Mi brucia il viso e non riesco a respirare, non è come il gas normale. Con questo gas, la mia vista viene  interessata, tutto è sfocato e mi gira la testa”. Secondo altri abitanti del villaggio, il gas colpisce anche gli animali. Otto pecore sono morte dalla sua inalazione, una mucca incinta ha abortito e poi è morta al un parto successivo. Il gas sembra anche aver inflitto la morte a molti cuccioli appena nati.
I coloni di Yitzhar, vicino insediamento illegale, regolarmente prendono a sassate la scuola locale e inveiscono contro i bambini all’interno. Di recente, l’esercito ha sparato gas lacrimogeni nella scuola, mentre i bambini erano seduti per i ​​loro esami di fine anno. Il giorno di Capodanno un matrimonio è stato attaccato con gas e un uomo malato di mente è stato colpito con un proiettile rivestito di gomma-acciaio, come gli abitanti del villaggio hanno riferito agli attivisti internazionali. Il proiettile gli è rimasto nella gamba, da quanto vicino era il tiro. Il 10 gennaio i coloni stavano sparando proiettili veri, lanciando pietre, sradicando alberi di ulivo e hanno attaccato due case. Uno scenario simile si è verificato nel villaggio di Qusra, con i coloni di Kodesh Esh e degli insediamenti illegali di Qida attaccare allo stesso tempo in cui l’attacco a Urif era in corso, aumentando così la possibilità che questi erano attacchi coordinati.
Ulteriori attacchi contro la popolazione locale di Urif potrebbero portare ad aborti spontanei ancora di più e ad altri problemi di salute. “L’esercito deve fermare immediatamente tutti gli attacchi sul paese, tra cui l’uso intenso di gas lacrimogeni e di corse notturne, e prevenire tutti gli attacchi dei coloni,” concludono gli attivisti della solidarietà internazionale che monitorano la zona circostante a Nablus. 



Fonte:


E' ALLARME FEBBRE SUINA IN CISGIORDANIA

I morti in poche settimane sono stati 25. Le autorità sanitarie insistono per vaccinazioni di massa. Oltre 700 i casi di infezione da H1N1 in Cisgiordania, 20 a Gaza.


martedì 29 gennaio 2013 10:08



Ramallah, 29 gennaio 2013, Nena News - E' allarme febbre suina nei Territori occupati palestinesi. Le autorità sanitarie locali chiedono alla popolazione di vaccinarsi di fronte ad un bilancio di morti per il virus H1N1 che è salito in Cisgiordania a 25. Il numero delle persone ammalate è superiore a 700. Altri 20 palestinesi contagiati dalla febbre suina sono stati identificati a Gaza, dove si sono gia' avuti tre morti.

«Occorre procedere subito alla vaccinazione», ha avvertito Asad Ramlawi, direttore generale per la medicina di base del ministero della salute palestinese di Ramallah. L'Anp ha scorte sufficienti di vaccino e sino ad oggi sono stati vaccinati 50mila residenti della Cisgiordania ma molte persone, come i malati di cuore e alle vie respiratorie, sono ancora senza una adeguata protezione. Già nel 2009, anno della maggiore diffusione del virus H1N1 nel mondo, morirono decine di palestinesi.

Anche in Israele il contagio è elevato, gli ospedali riferiscono di avere difficoltà ad assistere un numero eccezionale di ammalati (anche da influenza comune), ma la mortalità è stata sino ad oggi contenuta grazie ai programmi di vaccinazione eseguiti in passato. Nena News



Fonte:

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=49355&typeb=0&E-allarme-febbre-suina-in-Cisgiordania 

AL-ASRA E BAB AL-SHAMS: LA SFIDA DELLA NUOVA RESISTENZA

Nasce un nuovo villaggio, subito distrutto dall'esercito di Tel Aviv. Con la nuova creativa forma di protesta giunge la rinnovata partecipazione del popolo palestinese. 

martedì 29 gennaio 2013 10:05


  di Emma Mancini

Betlemme, 29 gennaio 2013, Nena News - Un terzo villaggio palestinese è nato, stavolta a Jenin, Nord della Cisgiordania. E anche questo è diventato immediato target delle forze militari israeliane. Dopo Bab al-Shams, in area E1, e Al-Karamah, a Gerusalemme, la resistenza popolare palestinese prosegue con convinzione e senza timori di sorta nel cammino intrapreso poche settimane fa e che sta trasformando il volto del movimento di base.

Sabato la polizia di frontiera israeliane ha compiuto un violento raid nel neonato villaggio di Al-Asra ("prigionieri", in arabo), sorto per protestare contro la confisca di terre palestinesi e la detenzione illegale dei prigionieri politici palestinesi. Negli scontri, i soldati hanno lanciato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro gli attivisti palestinesi, per lo più residenti nel vicino villaggio di Anin. Numerosi i feriti, dieci gli arrestati: tra loro il fratello di Yousef Yassin, uno dei detenuti attualmente in sciopero della fame contro la misura cautelare preventiva della detenzione amministrativa.

Secondo un portavoce dell'esercito israeliano, "circa 200 palestinesi hanno lanciato pietre ai soldati che hanno disperso la folla. Nessun ferito, nessun arresto".

"Anin è stato il primo villaggio seriamente danneggiato dalla costruzione del Muro. La maggior parte delle terre di Anin sono rimaste isolate, irraggiungibili, al di là della barriera. Una situazione che va avanti da dieci anni", spiega Jamal Juma, coordinatore della campagna palestinese Stop the Wall.

Ad annunciare la nascita del villaggio di Al-Asra era stato sabato il ministro per i Prigionieri, Issa Qaraqe. Immediato il sostegno dell'Autorità Palestinese e del governatore di Jenin, che ha tentato di entrare nel neonato villaggio ma è stato bloccato dalle forze militari israeliane.

Al-Asra è l'ultimo esempio del nuovo corso della resistenza popolare nonviolenta palestinese. Non più solo manifestazioni, ma creazione di atti concreti: villaggi, tende e la rinnovata partecipazione della popolazione palestinese, negli ultimi anni sostituita da attivisti israeliani ed internazionali nelle tradizionali proteste del venerdì.

La nuova creativa forma di protesta contro le politiche di annessione perpetrate dalle autorità israeliane sta riscuotendo il successo meritato, sia tra i media internazionali che all'interno della stessa società palestinese. E se da una parte i vertici israeliani ordinano ai propri soldati di aprire il fuoco contro giovani disarmati (sei le vittime negli ultimi dieci giorni, tra Cisgiordania e Gaza), forse nel tentativo di scatenare una reazione violenta, il movimento di base palestinese si riorganizza e mostra al mondo intero un volto diverso: azioni nuove, originali, brillanti, in grado di togliere la maschera alla colonizzazione israeliana e mostrarla in tutta la sua violenza.

E a chi plaude alla nuova forma di protesta, congratulandosi con la popolazione palestinese perché finalmente utilizza gli stessi mezzi dell'occupante (facts on the ground e insediamenti illegali), ricordiamo la differenza che corre tra i villaggi di Bab al-Shams, Al-Karamah e Al-Asra e gli outpost illegali israeliani, come Migron. I primi sono villaggi palestinesi costruite su terra palestinese, i secondi sono insediamenti israeliani nati dalla confisca di terre di proprietà del popolo palestinese. Nena News



Fonte:

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=49352&typeb=0&Al-Asra-e-Bab-al-Shams-la-sfida-della-nuova-resistenza 

ISRAELE E LA PALESTINA DIETRO LE SBARRE

Quattro prigionieri proseguono lo sciopero della fame. Ashraf Abu Dhra muore dopo una detenzione di sei anni. E Ramallah denuncia Israele alle Nazioni Unite. 


martedì 29 gennaio 2013 09:15



dalla redazione

Betlemme, 29 gennaio 2013, Nena News - La battaglia degli stomaci vuoti non si è mai fermata. Prosegue lo sciopero della fame dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. E mentre Samer Issawi digiuna da oltre 180 giorni, e Jazzer Ezzidine, Yousef Yassin e Tarek Qa'adan da quasi 60 giorni, c'è chi muore per le condizioni di vita dietro le sbarre.

Pochi giorni fa, Ashraf Abu Dhra è morto dopo cinque mesi dal rilascio. Aveva 29 anni, di cui gli ultimi sei e mezzo passati nel carcere israeliano di Ramle, in isolamento. Ad ucciderlo potrebbe essere stata la mancanza di cure mediche: malato di distrofia muscolare, Ashraf non è stato mai autorizzato dall'amministrazione carceraria ad accedere ad adeguati trattamenti. Una mancanza che lo ha costretto su una sedia a rotelle e, poco tempo dopo la sua liberazione, lo ha portato alla morte.

Nel 2008, l'associazione israeliana Physicians for Human Rights aveva presentato una petizione ad un tribunale israeliano nella quale si chiedeva di imporre alla prigione di Ramle il ricovero di Ashrag: la corte ha approvato la richiesta, ma la clinica del carcere ha sempre ignorato la sentenza giudicando le cure "non necessarie".

Secondo i dati forniti dalle associazioni per la tutela dei prigionieri, dal 1967 - anno di inizio dell'occupazione militare dei Territori Palestinesi - oltre 200 detenuti sono morti nelle carceri israeliane. Oltre 800mila palestinesi sono stati arrestati negli ultimi 46 anni, il 40% della popolazione maschile palestinese e il 20% di quella totale. Non c'è famiglia che non abbia avuto o abbia tuttora un suo membro dietro le sbarre di una prigione israeliana.

Ad oggi, gennaio 2013, Israele tiene dietro le sbarre 4.656 prigionieri politici palestinesi: 310 di loro sono incarcerati in detenzione amministrativa - senza processo né accuse ufficiali - e 193 sono minorenni (di cui 23 hanno meno di 16 anni). Tredici detenuti sono membri del Consiglio Legislativo Palestinese, il parlamento dell'Autorità Palestinese.

Le condizioni di detenzione sono pessime. Come riportato da Addameer, la più importante associazione palestinese per la difesa dei prigionieri politici, i detenuti sono soggetti a diverse forme di tortura, tra cui l'isolamento prolungato, interrogatori di 12 ore, deprivazione del sonno e minacce di morte contro familiari.

A tutela dei prigionieri politici palestinesi è intervenuta anche l'ANP: ieri il ministro per i Prigionieri, Missa Qaraqe, ha annunciato l'invio di una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onu contenente una denuncia ufficiale contro le autorità israeliane per le disumane condizioni di vita nelle carceri e le misure detentive illegali a cui sono sottoposti i detenuti palestinesi.

"La lettera sottolinea la situazione critica dei prigionieri in sciopero della fame che potrebbero morire in qualsiasi momento - ha spiegato il ministro - Se si permetterà che questo accada, si tratterà di un nuovo crimine per mano israeliana. Il Consiglio di Sicurezza dovrebbe discutere di tutte le questioni: le condizioni di salute, l'assenza di processi equi e in alcuni casi la totale mancanza di processi, il divieto di ricevere le visite dei familiari; le aggressioni all'interno delle carceri, l'isolamento, la detenzione amministrativa e la detenzione di minori". Nena News
 Fonte:


ISRAELE SOMMINISTRAVA UN CONTRACCETTIVO PERICOLOSO ALLE DONNE ETIOPI A LORO INSAPUTA

Israele, stato razzista, ha fatto sterilizzare le donne della comunità etiope di Israele a loro insaputa: un funzionario del governo ha riconosciuto per la prima volta la pratica della iniezione con il contraccettivo a lunga durata Depo-Provera a donne di origine etiopica a loro insaputa . Il Depo-provera è uno dei più controversi anticoncezionali in circolazione, creato nel 1969 ma autorizzato negli Stati Uniti solo dal 1992, utilizzato massicciamente in Africa per la pervicace volontà dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità. Un nuovo studio è venuto a confermare che l’uso di questo contraccettivo, sospettato di deprimere le difese immunitarie, raddoppia il rischio di contrarre l’Aids sia da parte di donne sane che hanno rapporti con uomini infetti, sia da parte di uomini che hanno rapporti con donne infette che stanno facendo uso del Depo Provera.
Circa sei settimane fa, su Educational Gal un giornalista del Centro Televisivo Gabbay ha rivelato i risultati di interviste con 35 immigrate etiopi. La testimonianza delle donne potrebbe contribuire a spiegare il calo di quasi il 50 per cento negli ultimi 10 anni del tasso di natalità della comunità etiope di Israele. Secondo il programma, mentre le donne erano ancora in campi di transito in Etiopia sono state intimidite o costrette a prendere l'iniezione. "Ci hanno detto che sono vaccinazioni", ha detto una delle donne intervistate... l'abbiamo preso ogni tre mesi, abbiamo detto che non volevamo..."

lunedì 28 gennaio 2013

SIRIA: SCONTRI A DAMASCO, ALMENO 46 MORTI

 


(ANSA) - BEIRUT, 28 GEN - Si combatte attorno all'aeroporto internazionale di Damasco, a sud-est della capitale: lo riferiscono i Comitati di coordinamento locale degli attivisti anti-regime che hanno diffuso anche il bollettino provvisorio degli uccisi nelle violenze odierne: almeno 46 morti, tra cui sei minori e una donna. La tv di Stato siriana afferma che i ''valorosi soldati dell'esercito hanno ucciso numerosi terroristi'' nella regione di Hama e in quella di Idlib.


Dal blog http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/ di Sebastiano Nino Fezza:


PALESTINA, ARMI "NON LETALI" CHE UCCIDONO

Il centro per i diritti umani Betselem denuncia che negli ultimi otto anni almeno 10 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti da armi israeliane definite "non letali".


 lunedì 28 gennaio 2013 09:56




della redazione
  Gerusalemme, 28 gennaio 2013, Nena News - Nei passati otto anni almeno dieci palestinesi sono stati uccisi e molte decine feriti da armi dell'esercito israeliano" definite "non letali". Lo denuncia un rapporto di 31 pagine presentato oggi dal centro israeliano per i diritti umani Betselem.

«Le armi per il controllo delle folle (durante le proteste, ndr) non dovrebbero uccidere ma consentire alle autorità di applicare la legge senza mettere in pericolo le vite umane. Invece sono armi che possono uccidere e provocare gravi ferite se usate in modo improprio», ha scritto Betselem.

Nel rapporto si fa riferimento all'uso di fucili calibro 22, di proiettili di metalli ricoperti di gomma o plastica, gas lacromogeno, spray al peperoncino.

Dal 2005 a oggi sei palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania da proiettili ricoperti di gomma o plastica, due da candelotti di gas lacrimogeno sparati ad altezza d'uomo e a distanza ravvicinata e due da colpi di fucile calibro 22.

Betselem chiede all'esercito israeliano di proibire l'uso di armi da fuoco contro i dimostranti e di limitare quello dei candelotti di gas e dei proiettilli rivestiti di gomma.

Il portavoce militare israeliano ha definito parziali e non corrette le informazioni riferite dal centro per i diritti umani. Nena News


Fonte:

GLI STUPRI DI PIAZZA TAHRIR

  • 28 gennaio 2013
  • 16.08
Durante le proteste contro il presidente Morsi al Cairo, il 27 gennaio. (Mohamed Abd El Ghany, Reuters/Contrasto)

I violenti scontri in Egitto degli ultimi cinque giorni hanno portato a un aumento degli abusi sulle donne. Dopo i “test di verginità” sulle attiviste da parte dell’esercito nel 2011, almeno venticinque donne hanno subìto violenze sessuali nel corso delle proteste a piazza Tahrir, denunciano le organizzazioni per i diritti umani.
La dinamica è sempre la stessa: un gruppo di uomini circonda una donna e comincia a spogliarla e a palpeggiarla. La donna aggredita è poi abbandonata nuda per strada. Nei casi più gravi ha subìto uno stupro o è stata ferita con armi da taglio.
Per combattere questa pratica gli attivisti si sono organizzati in gruppi per fornire alle vittime assistenza medica, legale e psicologica. Uno di questi è l’Operation anti-sexual harassment, che il 25 gennaio ha registrato diciannove casi di violenze in cui le donne erano state spogliate e violentate in pubblico. “È stata una delle peggiori giornate di cui siamo testimoni”, ha detto al Guardian Leil-Zahra Mortada, portavoce dell’organizzazione.
“Tra gli attivisti ci sono donne che in passato hanno subìto violenze. Pur conoscendo il pericolo a cui vanno incontro, si mettono lo stesso a disposizione”, scrive Tom Dale del sito Egypt Independent, che ha assisto personalmente a un attacco durante le manifestazioni di venerdì.
“Stavo camminando in un’area della piazza dove di solito viene posizionato il palcoscenico e, trenta metri più avanti, ho visto formarsi un crocicchio di persone con al centro una donna che urlava. Ho cercato di avvicinarmi. Quando l’ho vista era completamente nuda e terrorizzata. Era difficile avvicinarsi perché molti di quelli che dicevano di volerla aiutare erano in realtà i suoi aggressori”, racconta il giornalista.
Il racconto di Dale è simile a quello che una vittima ha scritto per il sito del gruppo femminista Nazra ed esperienze simili sono state raccolte su Twitter da @TahrirBodyguard, un’altra organizzazione in difesa delle donne.
“Mi vergogno per l’Egitto, il paese in cui vivo da ormai dieci anni”, scrive Ursula Lindsey sul blog The Arabist. “Questi atti dobbiamo chiamarli per quello che sono: stupri di gruppo. Non corrispondono alla mia esperienza dell’Egitto, dove le continue molestie e la misoginia sono sempre state bilanciate da una sensazione generale di sicurezza”.
Non è chiaro chi siano i responsabili delle violenze sessuali, ma secondo Operation anti-sexual harassment, sono commesse da chi si oppone alle proteste. “Si tratta di attacchi organizzati perché capitano sempre negli stessi angoli di piazza Tahrir e seguono lo stesso schema”, sostiene Mortada.
Secondo un rapporto del 2008 redatto dall’Egyptian centre for women’s rights, l’83 per cento delle egiziane ha subìto molestie sessuali. Il problema è reso più grave dal fatto che i colpevoli raramente sono puniti.
“Non possiamo più accettare che succeda”, dichiara un esponente di Tahrir Bodyguard, secondo cui gli attacchi derivano da una cultura maschilista dominante: “Dobbiamo affrontare il problema non solo al Cairo, ma in tutto l’Egitto”.


Fonte:

USTICA. LO STATO DOVRA' RISARCIRE LE VITTIME





Lo ha deciso la Corte di Cassazione in sede civile nella prima sentenza definitiva di condanna al risarcimento. E' la prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali.

E' l'ammissione di colpa da parte dello Stato per via alquanto indiretta. Le cause penali - dovendo proteggere i vertici militari e politici di allora non hanno portato ad alcun risultato chiaro.
La causa civile, al contrario, ha riconosciuto che la tragedia è stata provocata da un missil e non da un "cedimento strutturale" né da un'esplosione interna al Dc9 Itavia con 81 persone a bordo.
In questi altri due casi infatti, la responsabilità del risarcimento sarebbe ricaduta sulla compagnia (ormai scomparsa) o sul costruttore dell'aereo. In caso di una bomba, invece, il carico economico del risarcimento sarebbe andato a chi gestiva i sistemi di sicurezza dell'aeroporto di Fiumicino, da cui l'aereo era partito.
Lo Stato, insomma, poteva venir chiamato in causa solo in caso di un missile sparato da aerei "nemici" o comunque non autorizzati a stare - armati - nello spazio aereo dell'incidente. Lo Stato italiano deve dunque risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli.
Un compromesso politico costruito nel corso di 33 anni, dunque, ma che almeno non si conclude - come per la strage di piazza Fontana . con l'insulto ai parenti delle vittime (lì condannate al pagamento delle spese processuali).
E' appena il caso di sottolineare che questo "Stato della vergogna" è anche quello che pretende di "cercare la verità". Con risultati veramente ignobili... 






EGITTO: RIPRESI GLI SCONTRI

Lo stato d'emergenza proclamato dal presidente islamista Mohammed Morsi non placa le proteste nel Sinai. Opposizione riunita per decidere su dialogo.

lunedì 28 gennaio 2013 11:15



Roma, 28 gennaio 2013, Nena News - Lo stato d'emergenza proclamato ieri sera dal presidente islamista Mohammed Morsi non placa le proteste nel Sinai.

Scontri violenti sono ripresi oggi a Ismailiya e Suez, disordini si registrano ad Assiut, finora meno toccata dalle proteste, e continuano i tafferugli anche al Cairo.

In queste ore sono in tanti che puntano l'indice contro Morsi accusato di non avere il polso per mettere fine a proteste che spesso sono atti di teppismo, come nel caso dei tifosi di calcio di Port Said che si lanciano all'assalto di prigioni e uffici pubblici per protestare contro la condanna a morte di 21 ultras trovati responsabili della strage di un anno fa allo stadio cittadino di 72 sostenitori della squadra avversaria dell'Ahly.

In questo clima che da giovedì scorso ha visto la morte di una sessantina di egiziani, il Fronte di salvezza nazionale di opposizione, si è riunito per decidere la risposta all'invito al dialogo lanciato di Morsi.

La corrente di sinistra guidata da Hamdin Sabbahi ha già rifiutato i colloqui, mentre un altro noto oppositore, Mohamed el Baradei, chiede che il presidente si impegni a formare un governo di unità nazionale e un comitato per la modifica della Costituzione. Nena News 



Fonte:

domenica 27 gennaio 2013

SIRIA: MORTE A MANBEJ


sabato 26 gennaio 2013

Dal blog http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/ 

di Sebastiano Nino Fezza





Un missile sparato da un aereo da guerra  è atterrato questo pomeriggio nel cuore di Manbej accanto ad un giardino pubblico. L'area era affollata.... Sono morte almeno 20 persone, tra cui donne e bambini.... Decine i feriti....

Ecco i morti attualmente identificati:

Rami Babinsa, 22 anni
Mohamed Sabahi, 12 anni
Mohammad Khalouf, 20 anni
Bassam Hammam, 20 anni
Alshahidoadahmad Shahir, 40 anni
Ayman Darwish, 13 anni
Soham Al Awdah, 45 anni
Faisal Shallash, 50 anni
Zakaria Hanifa, 25 anni
Mohammed Kara Mohammed, 12 anni
Huda Kara Mohammed, 4 anni
Hammam Nour, 31 anni, moglie di Khalid Al Hamdani
Taha Khalid Al Hamdani
Reem Khalid Al Hamdani
Raghad Khalid Al Hamdani
Isra Khalid Al Hamdani (bambino)

Altri due persone sono morte..., una bambina di tre anni e un uomo di 30 anni, non ancora identificati...

Fonte:

http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/2013/01/morte-mamdej.html 

EGITTO: ASSALTO AL CARCERE PORT SAID, 27 MORTI

L'attacco lanciato dopo la sentenza che oggi ha condannato 21 giovani a morte per il massacro dello scorso febbraio nel quale rimasero uccisi 73 tifosi della squadra dell'Ahly.

sabato 26 gennaio 2013 11:44






della redazione
Roma, 26 gennaio 2012, Nena News - Continua a salire il bilancio degli scontri violentissimi scoppiati stamani a Port Said, in Egitto, dopo l'annuncio della condanna a morte per 21 degli imputati nell'uccisione di 73 tifosi della squadra di calcio dell'Ahly, avvenuta circa un anno fa.

Tra le vittime figurano anche due calciatori della città. Si tratta di Tamer al-Fahla, ex portiere dell'al-Masry e Mohammad al-Dadhwi, che ha giocato con l'al-Mareekh.

Stamani, dopo la lettura della sentenza, gruppi di manifestanti, tra cui anche familiari dei condannati, hanno tentato di fare irruzione nel carcere per liberare i condannati. Oltre ai morti negli scontri, altre decine di persone sono rimaste ferite nell'attacco della folla inferocita al penitenziario.
Al Cairo nello stesso momento migliaia di tifosi dell'Ahly festeggiavano il verdetto con balli, canti e fuochi d'artificio.

E' stata una nuova fiammata di violenza che segue la giornata di ieri quando il secondo anniversario della rivoluzione contro l'ex presidente Hosni Mubarak si è trasformato in un bagno di sangue. Negli scontri scoppiati tra manifestanti e forze di polizia al Cairo, Alessandria, Ismaila, Port Said e Suez sono rimaste uccise 10 persone, 8 dimostranti e due poliziotti, e ferite altre 400 persone.

In piazza Tahrir al Cairo ieri riecheggiava "Il popolo vuole la caduta del regime", lo slogan della sollevazione anti-Mubarak, ora rivolto al presidente Mohammed Morsi e al suo movimento politico, i Fratelli musulmani. Anche questo è un regime da abbattere, dice l'opposizione progressista, perchè non ha risposto alle domande di riforme democratiche e giustizia sociale per cui due anni fa il popolo egiziano versò il proprio sangue. Nena News




Fonte:


venerdì 25 gennaio 2013

VIETNAM: A 40 ANNI DALLA GUERRA L'AGENTE ORANGE UCCIDE ANCORA


Venerdì 25 Gennaio 2013 16:33 

 

 A 40 anni dalla fine della guerra gli agenti chimici utilizzati dagli Stati Uniti nei bombardamenti di vaste regione del Vietnam hanno ancora effetto sulla vita di decine di migliaia di persone.

Domenica saranno passati ben 40 anni dalla firma degli Accordi di pace di Parigi, che posero fine all'intervento militare statunitense, ma i danni del conflitto si ripercuotono ancora sui figli e sui nipoti dei reduci vietnamiti vittime dell'agente 'orange', il micidiale erbicida contenente diossine altamente tossiche e con effetti cancerogeni, largamente utilizzato dagli Stati Uniti nel Sud del Paese per stanare i guerriglieri.
Impiegato nei bombardamenti come defoliante sulle foreste dove si nascondevano i soldati vietcong, secondo gli esperti l'agente orange ha influito a livello genetico sullo generazioni successive. Dal 1965 al 1970, nel Sud del Vietnam gli Stati Uniti hanno scaricato oltre 43 milioni di litri di agente orange e, per Hanoi, circa 150mila bambini sono nati con problemi provocati da questa sostanza. Per la Croce rossa vietnamita la cifra si aggira addirittura intorno alle 500mila persone. Molti i bambini nati morti, o con tremende malformazioni. "Il governo degli Stati Uniti - ha commentato dal ministero della Salute Nguyen Thi Thanh Phuong - dovrebbe fare di più per aiutare le vittime dell'agente orange perché le loro vite sono ancora molto difficili, specialmente nel contesto della crisi economica, visto che sono diminuite le donazioni".
Washington, del resto, non ha mai voluto riconoscere i danni alla salute provocati dall'agente orange nemmeno nei confronti dei propri reduci. Un tentativo da parte delle associazioni dei veterani usa negli anni '80 di chiedere un risarcimento per i danni subito a causa della permanenza nelle aree contaminate si é concluso con una transazione extra giudiziale. Nel 2009, la Corte suprema di Washington si rifiutò di esaminare un caso simile sollevato dalla Vava, l'assoziazione dei reduci vietnamiti vittime dell'agente orange. Anche se le relazioni diplomatiche tra il governo di Washington e quello di Hanoi si sono normalizzate a partire dal 1993, il caso dell'agente orange é ancora una nota dolente nei rapporti tra i due Paesi. Dopo decenni di negoziati, ad agosto i due paesi hanno celebrato l'avvio di un progetto da 43 milioni di dollari per bonificare una ex base Usa altamente contaminata. Una goccia nel mare...


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Napoli: "Casapound? sono fascisti, ma lo sapevamo già!"

Venerdì 25 Gennaio 2013 11:43 

 


"Non corriamo dietro la "verità" delle inchieste giudiziarie, ci basta quella dei fatti. A Napoli migliaia di persone sanno che Casapound è un'organizzazione nazifascista, come gli oltre 5000 che manifestarono contro la sua apertura già nel 2009!"
Una lunga sequenza di aggressioni fasciste, agguati come quello che portò all'accoltellamento degli studenti universitari fuori la facoltà di Lettere, attentati incendiari come quelli al laboratorio Insurgencia, l'incitazione all'odio razziale o i discorsi sullo stupro di una ragazza perchè "ebrea"... 
Conosciamo molti degli avvenimenti citati nelle cronache di oggi, abbiamo fatto a lungo informazione pubblica, mobilitazione e sensibilizzazione politica su questo. Non abbiamo elementi per valutare le accuse sul piano giudiziario e neanche ci interessa. E per coerenza non prendiamo certo per oro colato i teoremi che si rifanno a quell'armamentario dei reati "associativi" partorito dalle leggi emergenziali e che tante volte vengono usati invece contro i movimenti sociali come quelli per la difesa ambientale o contro la precarietà e l'austerity, insieme alle centinaia di denunce e processi cui assistiamo in questo paese contro studenti, disoccupati, lavoratori, militanti, ambientalisti, antirazzisti, antifascisti. Gli stessi magistrati che oggi tengono quest'operazione hanno già tempestato di denunce e processi i movimenti sociali napoletani. Magari per rifugiarsi nella comoda lettura degli "opposti estremismi", come se fossero la stessa cosa una lotta anche dura alla precarietà, al neofascismo o al razzismo e dall'altra parte il pestaggio di un migrante o un pogrom contro i rom (come è successo recentemente a Giugliano)...

Colpisce invece l'ipocrisia diffusa sui media e nella politica. Qualcuno aveva forse bisogno di questa inchiesta per prendere atto della natura squadrista delle formazioni neofasciste come Casapound e della lunghissima sequenza di atti che ne sono conseguiti a Napoli come in tutta Italia, qualcuno aveva davvero dubbi sulla "pedagogia" razzista e xenofoba che queste formazioni portano avanti (ben incoraggiate in un paese dove è stata al governo persino la Lega Nord...), sulla loro cultura sessista, sul loro ispirarsi apertamente al nazifascismo (il leader nazionale Iannone in pubblica intervista defini Hitler "un rivoluzionario")...?

Qualcuno pensava forse che Gianluca Casseri, "scrittore d'area" cancellato in fretta e furia dal sito di Casapound dopo che aveva assassinato a freddo dei lavoratori immigrati, fosse un "pazzo isolato" e non già un neofascista cresciuto in questo ambiente?

Di certo noi lo sapevamo già! E lo sapevamo in tantissimi, a partire dalle oltre 5000 persone, studenti, donne, migranti, che contestarono duramente in piazza l'apertura di un centro di Casapound nel quartiere Materdei già nel 2009 e che hanno continuato a farlo fino a impedirlo.
Basta osservare i fatti, gli infiniti episodi di razzismo e di squadrismo che quotidianamente si riproducono in Italia da parte di questi gruppi, basta avere memoria delle trame nere che con la regia dei servizi segreti hanno insanguinato il paese in una storia non certo lontana.
E chissà cosa hanno da dire su questi temi quei personaggi di potere che allevano e proteggono queste formazioni e la loro ideologia, che li sostengono economicamente e politicamente. Per stare in Campania il parlamentare del PDL ed ex missino Laboccetta, l'ex presidente del consiglio provinciale Rispoli e tanti altri. 

Abbiamo sempre respinto al mittente, e continueremo a farlo, la costruzione secondo la quale Casa Pound sia un'organizzazione formata da “bravi ragazzi” impegnati nel sociale, così come quella che legge le loro pratiche paragonandole ai movimenti realmente antagonisti, come uno scontro tra "opposti estremismi". Li abbiamo sempre considerati pedine di un potere più grande e nemico di donne, immigrati, studenti, lavoratori e disoccupati sui cui vengono puntualmente scaricati i costi della crisi e che ogni giorno si mobilitano per cambiare le condizioni di tutti quelli che come loro sono sfruttati e oppressi. 
Restiamo convinti che contro il diffondersi di pratiche squadriste e neofasciste, contro le pulsioni xenofobe e sessiste, rimane fondamentale il piano della mobilitazione sociale diretta, del presidio territoriale, l'informazione politica e l'autorganizzazione dal basso prodotte dalle lotte sociali e dai movimenti. Ed è su questi punti che la rete e tutte le realtà che si oppongono al neofascismo, all'autoritarismo, al sessismo e al razzismo devono sentirsi costantemente impegnati e responsabilizzati.


* Rete napoletana contro il razzismo, il neofascismo e il sessismo
Ultima modifica Venerdì 25 Gennaio 2013 13:19

POSTI DI BLOCCO RAFFORZATI A HEBRON. COLPITO UN PALESTINESE DI 14 ANNI

25/1/2013 
 
Al-Khalil (Hebron) – InfoPal. Mentre l’esercito israeliano ha rafforzato i posti di blocco sugli ingressi dei villaggi di Hebron, sud della Cisgiordania, un ragazzo palestinese è stato colpito dal lancio di gas lacrimogeno, avvenuto durante gli scontri scoppiati all’ingresso del campo profughi di al-’Aroub, a nord della città.
Fonti della sicurezza palestinese hanno riferito che nella notte tra mercoledì e giovedì 24 gennaio, l’esercito israeliano ha preso d’assalto la cittadina di al-Zahyria, e ha istituito decine di posti di blocco sugli ingressi di Hebron, le sue periferie, nelle strade che conducono ai villaggi di Karza, Beit Kahil, Yatta e al-Samu’, e all’ingresso del campo profughi di al-’Aroub.
Nella serata di mercoledì 23 gennaio, durante gli scontri scoppiati all’ingresso del campo profughi di al-’Aroub, in seguito al decesso della giovane Lubna Hanash, un ragazzo palestinese di 14 anni, ‘Annan Sweilem, è stato colpito dal lancio di gas lacrimogeno, ed è stato ricoverato nell’ospedale al-Ahli di Hebron, mentre altri giovani sono rimasti intossicati nello stesso episodio, per aver inalato il gas.

 © Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it


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EGITTO: DUE ANNI DOPO, LA RIVOLUZIONE CONTINUA

 


gennaio 25, 2013 - 8:13


A due anni dalla rivoluzione del 25 gennaio 2011 che ha portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak, l’Egitto scende in piazza per celebrare il cambiamento, in un clima caratterizzato dalle divisioni politiche e dalla crisi economica incombente. A distanza di 24 mesi dai cortei e dalle manifestazioni seguite dalle televisioni di tutto il mondo, che hanno fatto di Piazza Tahrir un’icona della cosiddetta ‘Primavera araba’, il più popoloso dei paesi arabi lotta ancora per ritrovare la sua stabilità. Le lacerazioni tra un’autorità politica legittimata dalla vittoria alle urne, e i movimenti di opposizione che accusano gli islamici al potere di aver ‘tradito’ gli ideali della rivoluzione, ha raggiunto il suo apice.
Gli scontri di piazza e l’assedio del presidente Mohammed Morsi al palazzo presidenziale, agli inizi di dicembre, subito dopo l’approvazione di una nuova Costituzione e un’estensione dei poteri del presidente, hanno fatto temere per una svolta autoritaria delle istituzioni, con esiti imprevedibili sulla pace e la stabilità sociale del paese.
È in questo clima che per oggi l’opposizione ha indetto manifestazioni di piazza e cortei nelle principali città del paese, allo scopo di celebrare una rivoluzione “che continua” (Al thawra mustamirra è appunto uno degli slogan, ndr) e i cui obiettivi, è opinione di molti, non sono stati ancora raggiunti.
“Per le strade risuona il motto ‘pane, libertà e giustizia sociale’ che era uno degli slogan della rivoluzione contro Mubarak” dice alla MISNA Namira Negm, professore di Scienze politiche all’Università Americana del Cairo, “a dimostrare il fatto che poco è cambiato dal 2011”.
“Dal punto di vista politico la situazione è confusa. È vero gli egiziani sono andati alle urne cinque volte in due anni, più di quanto non avessero fatto negli ultimi 30, ma si ritrovano con una Costituzione che non li rappresenta e senza un parlamento. Inoltre il presidente, allo stato attuale, ha più poteri di quanti non ne avesse mai avuti Mubarak” osserva la docente, secondo cui però a pesare di più sulla vita degli egiziani medi “non è la crisi politica, ma quella economica”.
Nei due anni di caos e sconvolgimenti politici, gli investimenti esteri nel paese sono crollati, il turismo è in crisi e il valore della sterlina ha raggiunto minimi storici. In questo scenario, le misure di austerity che il governo ha promesso di adottare, in cambio di un prestito dal Fondo monetario internazionale (Fmi) di 4,8 miliardi di dollari sono state sospese per timore di una rivolta popolare.
“I diritti politici, delle donne e delle fasce più deboli sono a rischio – prosegue l’esperta – e come se non bastasse, c’è il sentimento diffuso di promesse non mantenute”. Per rispondere alle accuse di immobilismo, il governo ha appena lanciato la campagna “Costruiamo insieme l’Egitto”, prevedendo pianificazioni nazionali e locali in vista del voto che si terrà a marzo o aprile.
Il clima, infine, è reso ancor più incandescente dall’atteso verdetto, in programma per sabato, nel processo a carico di imputati coinvolti nella strage del febbraio scorso a Port Said. Lo stadio della città, che affaccia sul canale di Suez, fu teatro di gravi disordini durante una partita tra la squadra locale Al Masry e i sostenitori del club cairota dell’Ahly, conclusisi con oltre una settantina di morti. I tifosi dell’Ahli – che accusano le forze dell’ordine di mancato intervento e di aver provocato l’incidente – hanno partecipato attivamente alle manifestazioni e agli scontri con le forze di polizia nei primi mesi della rivoluzione. Oggi, hanno promesso che scenderanno in piazza anche loro.

[AdL]


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Fonte:

http://www.misna.org/economia-e-politica/due-anni-dopo-la-rivoluzione-continua-25-01-2013-813.html 

Istanbul: processo farsa alla sociologa Pinar Selek, ergastolo per terrorismo

Giovedì 24 Gennaio 2013 18:56 





Dopo la retata contro gli avvocati della scorsa settimana e la richiesta di 21 anni di carcere per un'Erasmus francese, la magistratura turca processa per la quarta volta una sociologa accusata di collaborare con il PKK. E la condanna all'ergastolo. Ma secondo le perizie l'attentato di cui è accusata fu un'esplosione accidentale.

Sono quasi cento gli osservatori internazionali che hanno assistendo oggi a Istanbul al quarto processo - sempre per gli stessi fatti - contro la nota sociologa di sinistra Pinar Selek, che ora vive in esilio in Francia, a Strasburgo. La donna è stata accusata dalla magistratura turca di complicità in un'esplosione che causò sette morti nel 1988 al Bazar delle Spezie della città sul Bosforo.
Selek era già stata assolta tre volte - nel 2006, nel 2008 e nel 2011 - e la matrice terroristica dell'esplosione, a suo tempo attribuita al Pkk, è stata di fatto smentita. Già nel 2000 una perizia ne aveva attribuito l'origine a una fuga di gas accidentale.
E nel pomeriggio, a dimostrazione del carattere pilotato del procedimento penale, la donna è stata condannata all'ergastolo. La sentenza ha provocato reazioni di sgomento e di indignazione fra i suoi numerosi sostenitori presenti nell'aula del processo. Ci sono state grida ''fascisti! fascisti!'' da parte di alcune attiviste straniere rivolte ai giudici. 
La decisione di sottoporla a un nuovo processo e di annullare i tre procedimenti precedenti presa alla fine dell'anno scorso dalla Corte di Cassazione turca aveva già provocato forti polemiche sia in Turchia sia nel resto del mondo. 
Numerosi artisti e intellettuali laici e di sinistra si sono mobilitati nel paese in difesa della nota sociologa. L'attrice Deniz Turkali ha ad esempio denunciato pubblicamente quello che ha definito un 'processo farsa'.
Anche il sindaco di Strasburgo, il socialista Roland Ries, si é schierato a fianco della sociologa turca, denunciando ''l'accanimento giudiziario di alcuni magistrati, per motivi politici''. Numerosi comitati di solidarietà con l’intellettuale turca si sono costituiti negli ultimi anni in tutta Europa. 
Pinar Selek, allora giovane sociologa nota per le ricerche sulle minoranze, in particolare sui curdi, fu arrestata nel 1998 per collaborazione con il Pkk, dopo aver pubblicato alcune interviste agli esponenti della formazione curda. Nonostante le torture subite ed il carcere duro non confessò i nomi dei dirigenti della guerriglia che aveva incontrato e dopo un mese fu accusata di avere aiutato il Pkk ad organizzare il presunto attentato. Nel 2000, dopo la pubblicazione della perizia che definiva di origine accidentale l'esplosione, era stata scarcerata.
La Selek giudicando iniquo e pilotato il processo nei suoi confronti ed avendo già scontato ingiustamente ben due anni e mezzo di carcere nel 2009 è espatriata in Francia ed ha deciso di non tornare in Turchia per assistere al procedimento.
La sentenza di condanna all'ergastolo arriva oggi dopo l’ondata di arresti che la scorsa settimana ha portato all’arresto di parecchie decine di avvocati aderenti a un’associazione di legali progressisti, di artisti della band Grup Yorum, di giornalisti, insegnanti e studenti universitari. Nei giorni scorsi un altro tribunale turco aveva chiesto 21 anni di carcere per una giovanissima studentessa francese di origini turche, accusata di collaborare con una organizzazione di estrema sinistra fuorilegge.


Leggi anche:

Turchia: arresti di massa contro avvocati e musicisti di sinistra

 

Fonte:

http://www.contropiano.org/it/esteri/item/14062-istanbul-processo-farsa-alla-sociologa-pinar-selek-ergastolo-per-terrorismo

 

 

 

Da Radio Onda Rossa:

 

http://www.ondarossa.info/newsredazione/condannata-pinar-selek 

 

http://www.ondarossa.info/newsredazione/considerazione-sulla-condanna-pinar-selek