Perchè questo nome:
Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.
Donatella Quattrone
martedì 31 dicembre 2013
GAZA. ANCHE LA SOLIDARIETA' E' SOTTO EMBARGO
Lunedì, 30 Dicembre 2013 19:26
Di
Qui di seguito una corrispondenza arrivata questa sera dalla
delegazione italiana che sta cercando di entrrare a Gaza in solidarietà
con i palestinesi sotto assedio da sette anni.
La solidarietà è sotto embargo: ci impediscono di entrare a Gaza.
La delegazione italiana “Per non dimenticare... il diritto al ritorno”, da cinque giorni al Cairo, oggi ha stazionato per l'intera giornata davanti l'ambasciata italiana, per avere conferma del permesso d'ingresso a Gaza. Non è arrivato. Abbiamo con ostinazione provato in tutti i modi ad entrare a Gaza, ma questo ci è impedito. Ancora una volta Gaza rappresenta uno degli aspetti centrali del dramma del popolo palestinese. Si vuole chiudere in prigione una intera nazione e nessuno deve poter entrare. Di tutto ciò le responsabilità sono precise e chiare: se da una parte c'è l'occupazione israeliana (che non deve essere mai dimenticata), dall'altra ci sono le complicità degli stati arabi e dei governi occidentali che su questa regione si giocano interessi geopolitici di portata mondiale. Noi non ci sentiamo sconfitti e consapevoli di queste difficoltà rinnoviamo con forza il nostro impegno in solidarietà con il popolo palestinese. Denunciamo al contempo le complicità del nostro governo e dell'Egitto nel perpetuare su Gaza un embargo criminale e illegale. In questi giorni dall'ambasciata italiana e dalle autorità egiziane ci è stato più volte spiegato che per ragioni di sicurezza il Sinai non è accessibile per “grosse operazioni militari” in corso. Ci domandiamo il perchè questi rischi vengano amplificati quando si tratta di voler andare a Gaza mentre sono sottaciuti per quanto riguarda i luoghi di villeggiatura sul mar Rosso. La delegazione domani mattina consegnerà all'ospedale Palestina al Cairo i medicinali raccolti per essere portati a Gaza.
La solidarietà è sotto embargo: ci impediscono di entrare a Gaza.
La delegazione italiana “Per non dimenticare... il diritto al ritorno”, da cinque giorni al Cairo, oggi ha stazionato per l'intera giornata davanti l'ambasciata italiana, per avere conferma del permesso d'ingresso a Gaza. Non è arrivato. Abbiamo con ostinazione provato in tutti i modi ad entrare a Gaza, ma questo ci è impedito. Ancora una volta Gaza rappresenta uno degli aspetti centrali del dramma del popolo palestinese. Si vuole chiudere in prigione una intera nazione e nessuno deve poter entrare. Di tutto ciò le responsabilità sono precise e chiare: se da una parte c'è l'occupazione israeliana (che non deve essere mai dimenticata), dall'altra ci sono le complicità degli stati arabi e dei governi occidentali che su questa regione si giocano interessi geopolitici di portata mondiale. Noi non ci sentiamo sconfitti e consapevoli di queste difficoltà rinnoviamo con forza il nostro impegno in solidarietà con il popolo palestinese. Denunciamo al contempo le complicità del nostro governo e dell'Egitto nel perpetuare su Gaza un embargo criminale e illegale. In questi giorni dall'ambasciata italiana e dalle autorità egiziane ci è stato più volte spiegato che per ragioni di sicurezza il Sinai non è accessibile per “grosse operazioni militari” in corso. Ci domandiamo il perchè questi rischi vengano amplificati quando si tratta di voler andare a Gaza mentre sono sottaciuti per quanto riguarda i luoghi di villeggiatura sul mar Rosso. La delegazione domani mattina consegnerà all'ospedale Palestina al Cairo i medicinali raccolti per essere portati a Gaza.
Ultima modifica il Lunedì, 30 Dicembre 2013 19:35
Fonte:
giovedì 26 dicembre 2013
Roma: nuovo incendio al Csoa La Strada
Giovedì 26 Dicembre 2013 20:46
A soli due giorni
dall'incendio che ha danneggiato gravemente lo storico centro sociale
romano La Strada, la scorsa notte intorno alle 2 è stato appiccato
nuovamente il fuoco allo spazio sociale della Garbatella.
Se nel
primo caso la matrice dell'attacco non era del tutto chiara, alla luce
invece del secondo incendio - avvenuto in modo così ravvicinato al primo
- non ci sono ora più dubbi sul fatto che si tratti di gesti
intimidatori contro uno spazio che da vent'anni è punto di riferimento e
di aggregazione per il territorio che lo ospita.
Fortunatamente
l'attacco della scorsa notte non ha creato danni rilevanti grazie alla
segnalazione tempestiva di quanto stava accadendo.
I compagni e le
compagne del csoa La Strada hanno lanciato per questo sabato un corteo
per le strade di Garbatella che si concluderà con un'assemblea pubblica;
di seguito il loro comunicato diffuso dopo il secondo attacco
incendiario.
Per chi volesse sostenere la ricostruzione è
possibile effettuare un bonifico intestato a APS MOMPRACEM - IBAN : IT87
T076 0103 2000 00004916 461 - con causale: ricostruiamo la strada.
...ci sono cose che non bruciano!
Nuovo attacco incendiario al Csoa La Strada
Questa notte un nuovo incendio è stato appiccato nei locali del CSOA La Strada.
Fortunatamente questo nuovo episodio non ha prodotto danni rilevanti, eppure è la riprova che, sin dal primo momento, ci troviamo davanti a un tentativo doloso di minaccia nei confronti del centro sociale e della comunità territoriale che gli ruota attorno.
Sin dal primo attentato incendiario eravamo scettici sulla natura accidentale dell'innesco del rogo. Per senso di responsabilità non abbiamo gridato ad allarmi infondati, ma avremmo voluto aspettare le dovute perizie tecniche per trarre conclusioni.
Gli eventi che si abbattono su di noi precedono i riscontri tecnici, di cui siamo ancora in attesa, e rivelano la natura intimidatoria e di stampo mafioso dell'escalation violenta nei nostri confronti. Riteniamo infatti sia possibile escludere una matrice politica di queste azioni per la modalità dei fatti.
La storia ventennale del nostro spazio parla di lavoro nel territorio, di contrasto all'emarginazione e al degrado sociale. Le modalità intimidatorie e di stampo mafioso con cui si stanno susseguendo gli eventi non ci impediranno di proseguire il percorso intrapreso che, anzi, porteremo avanti con più entusiasmo e motivazione.
Perciò sabato pomeriggio invaderemo le strade di garbatella con un corteo colorato e festoso che si concluderà con un'assemblea pubblica in Piazza Bartolomeo Romano (davanti al teatro Palladium).
I compagni e le compagne del CSOA La Strada
Questa notte un nuovo incendio è stato appiccato nei locali del CSOA La Strada.
Fortunatamente questo nuovo episodio non ha prodotto danni rilevanti, eppure è la riprova che, sin dal primo momento, ci troviamo davanti a un tentativo doloso di minaccia nei confronti del centro sociale e della comunità territoriale che gli ruota attorno.
Sin dal primo attentato incendiario eravamo scettici sulla natura accidentale dell'innesco del rogo. Per senso di responsabilità non abbiamo gridato ad allarmi infondati, ma avremmo voluto aspettare le dovute perizie tecniche per trarre conclusioni.
Gli eventi che si abbattono su di noi precedono i riscontri tecnici, di cui siamo ancora in attesa, e rivelano la natura intimidatoria e di stampo mafioso dell'escalation violenta nei nostri confronti. Riteniamo infatti sia possibile escludere una matrice politica di queste azioni per la modalità dei fatti.
La storia ventennale del nostro spazio parla di lavoro nel territorio, di contrasto all'emarginazione e al degrado sociale. Le modalità intimidatorie e di stampo mafioso con cui si stanno susseguendo gli eventi non ci impediranno di proseguire il percorso intrapreso che, anzi, porteremo avanti con più entusiasmo e motivazione.
Perciò sabato pomeriggio invaderemo le strade di garbatella con un corteo colorato e festoso che si concluderà con un'assemblea pubblica in Piazza Bartolomeo Romano (davanti al teatro Palladium).
I compagni e le compagne del CSOA La Strada
Fonte:
PROTESTE ANCHE AL CARA DI MINEO
26 dicembre, 2013 - 19:10
Scarica https://archive.org/download/131226CaraMineo/131226_cara_mineo.mp3
Anche al Cara di Mineo i migranti stanno organizzando proteste.
Fonte:
http://www.ondarossa.info/newsredazione/proteste-anche-al-cara-mineo
PRESIDIO AL CIE DI PONTE GALERIA
26 dicembre, 2013 - 18:45
Partecipato il presidio davanti al CIE di Ponte Galeria in solidarietà con la lotta dei reclusi e delle recluse.
Fonte:
TURCHIA, IL "RIMPASTO" NON BASTA: LA PIAZZA VUOLE LA CADUTA DEL GOVERNO ERDOGAN
Giovedì 26 Dicembre 2013 12:06
Sconvolgimenti nei piani alti e nuove esplosioni di rabbia sociale dal basso caratterizzano la Turchia in questi giorni. Lo scandalo - corruzione, bollato come "Tangentopoli" turca dal mainstream nostrano, tiene banco nelle ultime settimane sia nelle agende di un sempre più schizofrenico Erdogan che in quelle dei movimenti di opposizione. Nella tarda serata di ieri l'annuncio del Governo ha confermato la scelta del premier di sostituire in blocco dieci ministri, dopo che già i ministri dell'Economia, della Giustizia e dei rapporti con l'Unione Europea si erano dimessi, travolti dall'inchiesta che sta facendo venire a galla pubblicamente parte di quella rete di favoritismi, clientelismi e privilegi che di certo non rappresentavano una novità per la piazza anti-governativa.
Di fatto, sono ore concitatissime queste nei palazzi del potere di Ankara, accentuate dalle dichiarazioni esplosive di uno dei ministri "rimossi",il ministro dell'ambiente Bayraktar, che ha caldeggiato pubblicamente le dimissioni dello stesso Erdogan.
Alla maxi-retata che ha portato allo sconvolgimento interno all'AKP, e che a breve potrebbe portare ad ulteriori eclatanti risvolti giudiziari, si accompagna il congedamento di diverse centinia tra ufficiali ed agenti di Polizia.
Questo ulteriore giro di vite nella crisi governativa rischia di avere uno strascico indesiderato anche nei mercati finanziari, tant'è che la banca centrale ha già predisposto misure di protezione per la debole lira turca.
In questo scenario di forte incertezza, il movimento sta esercitando la sua pressione scendendo in piazza praticamente ogni giorno in diverse città del paese. Il rimpasto voluto da Erdogan, corollato dalle dichiarazioni di quest'ultimo riguardo ad un complotto ordito dall'estero, non ha placato la tensione nelle piazze che pretendono la caduta del premier protagonista degli ultimi 11 anni di ristrutturazione in chiave neoliberista del Paese.
Ieri migliaia di persone sono scese in piazza, dopo le proteste di domenica, scandendo slogan come “Tre ministri non sono abbastanza, dimettetevi tutti!”, “La corruzione è dappertutto, la resistenza è dappertutto!”. Le mete della maggior parte dei cortei di ieri erano le sedi del partito AKP. A Istanbul, non appena i manifestanti hanno tentato di avvicinarsi alla sede del partito, la polizia ha iniziato a sparare gas lacrimogeni, pallottole di gomma e ha azionato gli idranti. I manifestanti hanno eretto barricate e risposto con fuochi d’artificio; i fronteggiamenti sono durati fino a tarda notte, almeno 4 persone sono state arrestate.
In attesa degli sviluppi di queste ore, un grosso concentramento che si prefigge di convergere verso Taksim sta rimbalzando nelle reti di movimento per domani alle 7 di sera ore locali: un ulteriore spartiacque nella storia conflittuale degli ultimi anni?
Fonte:
http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/10116-il-rimpasto-non-basta-la-piazza-vuole-la-caduta-del-governo-erdogan
mercoledì 25 dicembre 2013
Perde il lavoro e si dà fuoco: è morto
25/12/2013 15:39
È morto nella notte dopo quattro giorni di agonia all'ospedale
Cardarelli di Napoli Fausto Genovese, il disoccupato di 28 anni, di
Potenza, che si era dato fuoco nei giorni scorsi a Vaglio di Basilicata
(Potenza) per la disperazione dopo aver perso il posto di lavoro. L'uomo
aveva riportato ustioni sull'85% del corpo e le sue condizioni sin dal
primo momento erano apparse critiche ai medici dell'ospedale partenopeo
dove era stato ricoverato.
Fonte:
Cose che non bruciano
Mercoledì, 25 Dicembre 2013 12:14
Di
Zerocalcare
http://www.contropiano.org/vignette/item/21132-cose-che-non-bruciano
http://www.contropiano.org/in-breve/italia/item/21111-incendio-al-centro-sociale-la-strada
Un posto che frequentavo nel periodo in cui sono stata a Roma. Ai compagni del Csoa La Strada va tutta la mia solidarietà.
D. Q.
Di
Zerocalcare
http://www.contropiano.org/vignette/item/21132-cose-che-non-bruciano
http://www.contropiano.org/in-breve/italia/item/21111-incendio-al-centro-sociale-la-strada
Un posto che frequentavo nel periodo in cui sono stata a Roma. Ai compagni del Csoa La Strada va tutta la mia solidarietà.
D. Q.
martedì 24 dicembre 2013
GAZA: VIGILIA DI NATALE INSANGUINATA. UCCISO ISRAELIANO E DUE PALESTINESI TRA CUI UNA BAMBINA DI 4 ANNI.
L'uomo, un beduino, stava lavorando alla riparazione delle recinzioni
tra Israele e Gaza. E' una bimba di 4 anni una delle due vittime
palestinesi dei raid aerei israeliani.
martedì 24 dicembre 2013 14:20
AGGIORNAMENTO
E' Hala Abu Sbeikha, una bimba di 4 anni, una delle due vittime palestinesi dei raid aerei israeliani. E' stata uccisa nel campo profughi di Maghazi. Secondo fonti di Gaza, l'aviazione di Israele ha condotto sei attacchi dopo l'uccisione di un israeliano da parte di un cecchino palestinese.
E' Hala Abu Sbeikha, una bimba di 4 anni, una delle due vittime palestinesi dei raid aerei israeliani. E' stata uccisa nel campo profughi di Maghazi. Secondo fonti di Gaza, l'aviazione di Israele ha condotto sei attacchi dopo l'uccisione di un israeliano da parte di un cecchino palestinese.
(ANSA)
- TEL AVIV, 24 DIC - Un beduino israeliano, impiegato come manovale per
il ministero della difesa, e' morto dopo essere stato colpito stamane
da un cecchino palestinese mentre lavorava in prossimita' della linea di
demarcazione con Gaza.
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha definito questo episodio ''molto grave'' e ha avvertito che Israele rispondera' con forza a questa uccisione. L'artiglieria israeliana ha aperto il fuoco su Beit Lahiya e si ha notizia di un palestinese ferito.
Poco fa e' entrata in azione l'aviazione israeliana che ha colpito due presunte basi di addestramento della polizia di Hamas. Gli aerei hanno sganciato tre missili a Est di Khan Yunis e uno verso Tel al Sultan (Rafah). Al momento non si ha notizia di vittime. Nena News
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha definito questo episodio ''molto grave'' e ha avvertito che Israele rispondera' con forza a questa uccisione. L'artiglieria israeliana ha aperto il fuoco su Beit Lahiya e si ha notizia di un palestinese ferito.
Poco fa e' entrata in azione l'aviazione israeliana che ha colpito due presunte basi di addestramento della polizia di Hamas. Gli aerei hanno sganciato tre missili a Est di Khan Yunis e uno verso Tel al Sultan (Rafah). Al momento non si ha notizia di vittime. Nena News
Fonte:
Natale 2013
NATALE IN PALESTINA:
NATALE IN SIRIA:
NATALE NELLE CARCERI:
NATALE PER I SENZATETTO E PER I POVERI:
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lunedì 23 dicembre 2013
LIBERATO SAMER ISSAWI
Portato in trionfo a Gerusalemme dalla famiglia, dagli amici e da
centinaia di sostenitori. I suoi 266 giorni di sciopero della fame
fecero notizia in tutto il mondo.
lunedì 23 dicembre 2013 20:01
della redazione
Gerusalemme, 23 dicembre 2013, Nena News - La tanto attesa scarcerazione, avvenuta oggi, di Samer Issawi non è un regalo natalizio delle autorità israeliane ma la realizzazione dell'accordo, raggiunto otto mesi fa, che mise fine ai 266 giorni di sciopero della fame attuato dal detenuto palestinese fino al punto di rischiare la vita.
Centinaia di persone oggi hanno atteso Issawi al suo ritorno da uomo libero a Gerusalemme. La festa di familiari ed amici andra' avanti per tutta la notte.
Militante del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, arrestato nel 2002 e condannato a 26 anni di prigione per presunte "attività terroristiche", Samer Issawi era stato rilasciato nel 2011 come parte dello scambio tra mille detenuti politici palestinesi e il soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero a Gaza per più di cinque anni.
Issawi era stato nuovamente arrestato nel luglio 2012, con l'accusa di aver violato i termini della sua scarcerazione.
Secondo Israele avrebbe lasciato Gerusalemme per incontrare in Cisgiordania militanti della sua organizzazione e creare "cellule terroristiche. Issawi invece ha sempre sostenuto di aver lasciato Gerusalemme solo per riparare la sua auto in Cisgiordania, dove i costi sono più bassi.
La sua protesta portata al limite estremo aveva attirato l'attenzione internazionale e l'appoggio di attivisti di molti Paesi. Israele detiene quasi 5.000 prigionieri politici palestinesi, di cui circa 150 in detenzione amministrativa (senza accuse precise né processo) e circa 150 minori. Nena News
Gerusalemme, 23 dicembre 2013, Nena News - La tanto attesa scarcerazione, avvenuta oggi, di Samer Issawi non è un regalo natalizio delle autorità israeliane ma la realizzazione dell'accordo, raggiunto otto mesi fa, che mise fine ai 266 giorni di sciopero della fame attuato dal detenuto palestinese fino al punto di rischiare la vita.
Centinaia di persone oggi hanno atteso Issawi al suo ritorno da uomo libero a Gerusalemme. La festa di familiari ed amici andra' avanti per tutta la notte.
Militante del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, arrestato nel 2002 e condannato a 26 anni di prigione per presunte "attività terroristiche", Samer Issawi era stato rilasciato nel 2011 come parte dello scambio tra mille detenuti politici palestinesi e il soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero a Gaza per più di cinque anni.
Issawi era stato nuovamente arrestato nel luglio 2012, con l'accusa di aver violato i termini della sua scarcerazione.
Secondo Israele avrebbe lasciato Gerusalemme per incontrare in Cisgiordania militanti della sua organizzazione e creare "cellule terroristiche. Issawi invece ha sempre sostenuto di aver lasciato Gerusalemme solo per riparare la sua auto in Cisgiordania, dove i costi sono più bassi.
La sua protesta portata al limite estremo aveva attirato l'attenzione internazionale e l'appoggio di attivisti di molti Paesi. Israele detiene quasi 5.000 prigionieri politici palestinesi, di cui circa 150 in detenzione amministrativa (senza accuse precise né processo) e circa 150 minori. Nena News
Fonte:
BOCCHE CUCITE AL CIE DI PONTE GALERIA
Domenica, 22 Dicembre 2013 12:40
Di
Redazione Contropiano
Di
Redazione Contropiano
Continua nel centro di detenzione per stranieri di Ponte Galeria a Roma l’eclatante protesta dei
migranti che da ieri gradualmente hanno deciso di cucirsi letteralmente
la bocca contro le tremende condizioni alle quali sono sottoposti. Da
ieri alle 12 i protagonisti della protesta - arrivati mentre scriviamo a
dieci - hanno cominciato a realizzare uno sciopero della fame e a non
ritirare i pasti.
A partire da ieri sono sempre più numerosi i cittadini stranieri
rinchiusi nella struttura alla periferia di Roma che con un ago di
fortuna e il filo ottenuto da una coperta si sono cuciti la parte
laterale della bocca per denunciare la propria prolungata detenzione nel
Cie. Un atto disperato che almeno è servito a riportare l’attenzione
dei media e di alcune forze politiche sulla sorte di migliaia di
migranti stipati in centri di detenzione diffusi in tutto il territorio
nazionale dopo la diffusione del filmato che ritraeva alcuni migranti
rinchiusi nel centro di Lampedusa mentre venivano spogliati e
disinfestati davanti a tutti.
Il primo a iniziare la protesta ieri in tarda mattinata sarebbe stato
un giovane imam tunisino di 32 anni, seguito poi da altri 8 colleghi di
sventura, tra i quali 4 marocchini e da altri 3 connazionali.
Nel
Cie di Ponte Galeria sono attualmente rinchiuse 90 persone, 61 uomini e
29 donne, alcuni dei quali provenienti dalle carceri e poi trasferiti
nella struttura alle porte di Roma in attesa di una identificazione che
tarda mesi ad arrivare.
A quanto hanno appurato i collaboratori del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - che settimanalmente accedono alla struttura - «i dimostranti sono in buone condizioni, anche se continuano a rifiutare di incontrare gli operatori che gestiscono il Cie».
A quanto hanno appurato i collaboratori del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - che settimanalmente accedono alla struttura - «i dimostranti sono in buone condizioni, anche se continuano a rifiutare di incontrare gli operatori che gestiscono il Cie».
Ultima modifica il Domenica, 22 Dicembre 2013 17:22
Fonte:
sabato 21 dicembre 2013
RAPITO L'INTERPRETE DEL FILM DI SAMANTHA COMIZZOLI SULLA PALESTINA
sabato 21 dicembre 2013
Mentre le associazioni in Italia stanno preparando le serate del tour del film “SHOOT”, sulla Resistenza Palestinese non violenta, di Samantha Comizzoli; è arrivata la brutta notizia. Venerdì mattina uno dei due protagonisti del film, Murad Shtaiwi di Kuffr Qaddum, è stato rapito da israele.
Le modalità sono, come al
solito, alquanto dubbie ed è per questo che lo definiamo “rapimento”
e non arresto.
Durante la notte c'è
stato un raid dei soldati israeliani nel villaggio di Kuffr Qaddum e
hanno arrestato due abitanti; poi, sono andati nella casa di Murad a
devastarla un po' e lo hanno minacciato che se avesse continuato ad
organizzare le manifestazioni del venerdì lo avrebbero arrestato.
Il venerdì mattina Murad
ha ovviamente confermato la manifestazione e due ore prima
dell'inizio, mentre camminava sulla strada principale, è stato
vittima di un agguato. I soldati sono sbucati da un nascondiglio, lo
hanno ferito ad una gamba e portato via. Murad non ha fatto
resistenza. Da allora non si hanno più notizie.
Murad Shtaiwi è il
coordinatore della lotta non violenta di Kuffr Qaddum e lavora per il
Dipartimento della Pubblica Istruzione.
Purtroppo questa è la
normalità, orribile, in Palestina e tutto quello che stiamo facendo
è proprio per denunciare questi crimini e smuovere le autorità e
l'opinione pubblica internazionale.
Il tour del film, che
inizia proprio da Ravenna il 19 gennaio pomeriggio, servirà anche a
denunciare questo ennesimo crimine grazie alle voci degli altri
Palestinesi invitati in Italia: Hakima Motlaq Hassan di Asira e Odai
Qaddomi di Kuffr Qaddum. Per la libertà di Murad, di tutti i
prigionieri politici palestinesi (211 bambini), per la fine
dell'occupazione della Palestina noi proseguiamo Resistendo.
Pubblicato da samantha a 17:15
Fonte:
http://ravennapuntoacapo.blogspot.it/2013/12/rapito-linterprete-del-film-di-samantha.html
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LA TESTIMONIANZA DI UN SECONDINO SULLE TORTURE NEL CARCERE DI ASTI
venerdì 20 dicembre 2013 15:28
di Franco Fracassi
«Il carcere è un mondo a sé. E non ci sono testimonianze. C'è la testimonianza mia, c'è la testimonianza di alcuni detenuti, qualche filmato dell'interno di un carcere che si è riusciti a mostrare. La violenza e l'omertà sono la regola dentro una prigione». Andrea Fruncillo è un'ex guardia carceraria della prigione di Asti. «Non ce la facevo più a convivere con tutto questo stando zitto. Quello delle carceri è un mondo di merda. È ora di iniziare a spalarla».
Ecco un esempio del livello di conversazioni che avvengono all'interno di quel carcere. Cinque poliziotti sono stati messi sotto inchiesta per aver abusato di due detenuti. Questa è una delle intercettazioni che li hanno incastrati: «Poi vengono solo quando sono in quattro o cinque. Così è facile picchiare le persone». «È bello». «Ma che uomo sei. Devi avere pure le palle. Lo devi picchiare. Lo becchi da solo e lo picchi. Io, la maggior parte che ho picchiato, li ho picchiati da solo. Ma perché comunque qua non c'hai grattacapi. Non c'è niente. Perché con questa gente di merda. Hai capito?».
Fruncillo ha lavorato ad Asti tredici anni. È stato l'unico a testimoniare delle torture che avvenivano nella cella di isolamento: «Quando arriva qualcuno che ha aggredito un agente, anche fuori dal carcere, non importa. Questa persona arriva già con una lettera di raccomandazioni. Questo ha sbagliato. Fino a che c'ha il processo lasciatelo stare. Poi, finite le udienze dategli una sistemata. Lo sistemavano. Lo portavano lì e prendeva botte dalla mattina alla sera. Ma quello è il minimo. Perché poi non li facevamo mangiare. Lo lasciavi pure due tre giorni senza mangiare. Gli mettevamo il piatto lì davanti alla cella. Lui non ci arrivava. E non lo facevamo mangiare. Ho assistito a tanti pestaggi. Quante volte è capitato che stavo in servizio e mi dicevano: "Andrea mi prepari una cella che stiamo portando uno". All'entrata dell'isolamento non funzionano le telecamere. Un'anticamera davanti a una delle celle. Quando arrivavano lì venivano denudati e picchiati. Era un vanto. "Io ho fatto quella cosa lì. Io ho fatto quella cosa là". Era un vanto. E lo è tuttora penso. Un detenuto non può fare nulla. Perché tanto non viene mai ascoltato».
Perché tanta violenza? «Quando arrivi all'esasperazioni picchi. Quando c'hai i problemi a casa. Più i problemi che ti creano in carcere. Più quello che ti rompe le scatole. Da qualche parte ti devi sfogare», spiega l'ex secondino.
Per essere ancora più chiaro, Fruncillo racconta un episodio di cui è stato testimone: «È entrato questo ragazzo. Viene messo in isolamento. Non c'era modo di avvicinarsi e di aprirgli la cella. Come aprivi la cella picchiava tutti. Perché lui si dichiarava innocente. Al che per debilitarlo era stato deciso di farlo mangiare di meno, di non dargli le razioni, in modo che gli fossero venute a mancare le energie. Il ragionamento era: "Se dobbiamo spostarlo, se arriva l'avvocato non gli possiamo dire: No, non te lo faccio uscire dalla cella". È stato fatto così, finché non si è debilitato un po'. Una sera è stata fatta un'ordinanza per mandarlo all'ospedale psichiatrico a Reggio Emilia. A Reggio Emilia quando arrivano tipi come lui, che sono animali ti legano al letto. È tornato da noi debilitato. È stato portato in cella in carrozzella. Magro, secco come un chiodo. Non ce la faceva neanche a mangiare. Quando arrivavano il pranzo e la cena mandavamo un altro detenuto per farlo imboccare. Fino a che non lo hanno scarcerato e dopo due giorni è morto. Un giorno parlando del più e del meno con un collega si è detto: "Ve lo ricordate quel ragazzo? Ma lo sai che alla fine era innocente veramente. Lo hanno assolto". Lo hanno trattato così perché diceva che era innocente. Non gli ha creduto nessuno. Alla fine è morto. La mamma ce lo disse. La mamma».
«Il carcere è un mondo a sé. E non ci sono testimonianze. C'è la testimonianza mia, c'è la testimonianza di alcuni detenuti, qualche filmato dell'interno di un carcere che si è riusciti a mostrare. La violenza e l'omertà sono la regola dentro una prigione». Andrea Fruncillo è un'ex guardia carceraria della prigione di Asti. «Non ce la facevo più a convivere con tutto questo stando zitto. Quello delle carceri è un mondo di merda. È ora di iniziare a spalarla».
Ecco un esempio del livello di conversazioni che avvengono all'interno di quel carcere. Cinque poliziotti sono stati messi sotto inchiesta per aver abusato di due detenuti. Questa è una delle intercettazioni che li hanno incastrati: «Poi vengono solo quando sono in quattro o cinque. Così è facile picchiare le persone». «È bello». «Ma che uomo sei. Devi avere pure le palle. Lo devi picchiare. Lo becchi da solo e lo picchi. Io, la maggior parte che ho picchiato, li ho picchiati da solo. Ma perché comunque qua non c'hai grattacapi. Non c'è niente. Perché con questa gente di merda. Hai capito?».
Fruncillo ha lavorato ad Asti tredici anni. È stato l'unico a testimoniare delle torture che avvenivano nella cella di isolamento: «Quando arriva qualcuno che ha aggredito un agente, anche fuori dal carcere, non importa. Questa persona arriva già con una lettera di raccomandazioni. Questo ha sbagliato. Fino a che c'ha il processo lasciatelo stare. Poi, finite le udienze dategli una sistemata. Lo sistemavano. Lo portavano lì e prendeva botte dalla mattina alla sera. Ma quello è il minimo. Perché poi non li facevamo mangiare. Lo lasciavi pure due tre giorni senza mangiare. Gli mettevamo il piatto lì davanti alla cella. Lui non ci arrivava. E non lo facevamo mangiare. Ho assistito a tanti pestaggi. Quante volte è capitato che stavo in servizio e mi dicevano: "Andrea mi prepari una cella che stiamo portando uno". All'entrata dell'isolamento non funzionano le telecamere. Un'anticamera davanti a una delle celle. Quando arrivavano lì venivano denudati e picchiati. Era un vanto. "Io ho fatto quella cosa lì. Io ho fatto quella cosa là". Era un vanto. E lo è tuttora penso. Un detenuto non può fare nulla. Perché tanto non viene mai ascoltato».
Perché tanta violenza? «Quando arrivi all'esasperazioni picchi. Quando c'hai i problemi a casa. Più i problemi che ti creano in carcere. Più quello che ti rompe le scatole. Da qualche parte ti devi sfogare», spiega l'ex secondino.
Per essere ancora più chiaro, Fruncillo racconta un episodio di cui è stato testimone: «È entrato questo ragazzo. Viene messo in isolamento. Non c'era modo di avvicinarsi e di aprirgli la cella. Come aprivi la cella picchiava tutti. Perché lui si dichiarava innocente. Al che per debilitarlo era stato deciso di farlo mangiare di meno, di non dargli le razioni, in modo che gli fossero venute a mancare le energie. Il ragionamento era: "Se dobbiamo spostarlo, se arriva l'avvocato non gli possiamo dire: No, non te lo faccio uscire dalla cella". È stato fatto così, finché non si è debilitato un po'. Una sera è stata fatta un'ordinanza per mandarlo all'ospedale psichiatrico a Reggio Emilia. A Reggio Emilia quando arrivano tipi come lui, che sono animali ti legano al letto. È tornato da noi debilitato. È stato portato in cella in carrozzella. Magro, secco come un chiodo. Non ce la faceva neanche a mangiare. Quando arrivavano il pranzo e la cena mandavamo un altro detenuto per farlo imboccare. Fino a che non lo hanno scarcerato e dopo due giorni è morto. Un giorno parlando del più e del meno con un collega si è detto: "Ve lo ricordate quel ragazzo? Ma lo sai che alla fine era innocente veramente. Lo hanno assolto". Lo hanno trattato così perché diceva che era innocente. Non gli ha creduto nessuno. Alla fine è morto. La mamma ce lo disse. La mamma».
venerdì 20 dicembre 2013
Lampedusa lo sa, e noi pure!
Mercoledì 18 Dicembre 2013 14:12
Gli
ultimi giorni sono stati densi di sgomento verso quanto accade
all'interno dei CIE e dei CARA del nostro paese. Un impiccato e,
soprattutto (per l'impatto mediatico che ha avuto), una scena di
disinfestazione che sembra venire dai peggiori racconti sulle carceri di
ogni tempo e luogo, accompagnati dalla notizia dell'ennesima morte in
mare di stamattina: questo il freddo resoconto di tre avvenimenti
registrati in Sicilia. Il primo al CARA di Mineo, il secondo al CIE di
Lampedusa e il terzo a largo della stessa isola.
Lo scandalo urlato al Tg2 piuttosto che dai politicanti intervistati, da Alfano alla Boldrini, assume tutte le fattezze della sorpresa, dello sgomento: del punto di vista di chi evidentemente finge di non sapere. Sentire tutte le voci che reggono in piedi il sistema di carcerazione dei migranti indignarsi per quanto accaduto è quanto di più orrido possa esistere di fronte a sofferenze umane così grandi e a pratiche carcerarie che evidentemente sono la prassi e non l'eccezione all'interno di posti come il CIE di Lampedusa. Sentire Alfano assicurare che i responsabili pagheranno le conseguenze rende ben chiaro quale sia il risultato a cui tendono queste dimostrazioni di stupore, cioè, legittimare ancora una volta le politiche di chiusura delle frontiere allo spostamento delle persone.
Ecco, se questo è il prodotto dello stupore e dello sgomento verso le immagini passate in televisione, bisogna riuscire a non stupirsi e a metabolizzare quelle immagini per sintetizzare una rabbia che sia diretta verso chi progetta e permette che realtà come queste esistano quotidianamente. Noi non possiamo fingere di non sapere: sappiamo benissimo quello che accade ogni giorno nel Mediterraneo e dentro CIE e CARA, e sappiamo pure che le brutalità che si registrano al loro interno sono tanto sistemiche quanto l'esistenza stessa di questi centri. Sono luoghi tenuti appositamente ai margini dei nostri territori, posti al riparo da sguardi indiscreti e telecamere (evidentemente non del tutto al riparo), utilizzati per controllare gli spostamenti dei migranti e disciplinare i loro comportamenti.
Il problema del CIE di Lampedusa, infatti, non è l'uomo con la pompa che irriga il negretto come si faceva col DDT ad inizio del '900 negli USA, come il problema dei morti in mare non è lo scafista che lucra qualche migliaio di euro sulla vita dei migranti. O meglio questi sono corollari rispetto al centro del problema.
Sembra di poter riproporre la domanda retorica, fatta all'indomani del naufragio a largo di Lampedusa solo pochi mesi fa, circa la responsabilità ultima delle centinaia di migliaia di morti nel Mediterraneo. Bene, allora come oggi, la responsabilità va cercata nelle stesse sedi: tra le fila dei fautori di politiche anti-immigrazione che impongono le traversate su barconi di fortuna e prevedono la presenza di veri e propri lager sul territorio di questo paese e della fortezza Europa.
Sia ben chiaro che le responsabilità politiche ricadono a valanga su tutti i coinvolti. La disinvoltura con cui si lanciano i vestiti dei detenuti nel video in questione rende particolarmente odioso il secondino malcelato dietro l'etichetta di operatore. Ma la responsabilità in capo a lui, quanto a tutte le associazioni coinvolte in questo tipo di lavoro a sostegno dei centri, sarebbe stata la stessa se avesse svolto il suo compito con attenzione e gentilezza. E questo perché il suo compito, il suo infame lavoro, come quello di tutti coloro che stanno nella filiera di questi posti, permette l'esistenza stessa di queste pratiche e delle politiche che vi stanno dietro.
Il problema dei CIE, dei CARA e di tutte queste carceri speciali per immigrati non sta nelle situazioni di degrado o nella brutalità degli atteggiamenti al loro interno. Sta nella loro stessa esistenza, nel disegno criminale che ci sta dietro, e che implica di per sé degrado e brutalità. Sta nella scelta politica di criminalizzare i migranti proprio in quanto migranti, in tutte quelle pratiche tese a rendere lo straniero inferiore sia per status giuridico che per soggettività, subalterno alle dinamiche del mercato del lavoro e alle relazioni umane in genere in quanto costantemente ricattabile. E tutto inizia proprio da questi lager, posti in cui trascorrere fino ad un anno e mezzo per il solo fatto di non essere nato italiano, cioè con sangue italiano, figlio di italiani certificati da un atto di nascita o da una carta d'identità.
Se proprio dobbiamo stupirci, quindi, ci stupiamo per la sfacciataggine dimostrata da Alfano e Boldrini, non che neanche quelle fossero inaspettate per chi ha imparato a conoscere i comportamenti di governanti tanto colpevoli quanto ipocriti, ma perché è uno stupore che porta a una rabbia sicuramente meglio indirizzata e più proficua.
Fonte:
http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/10046-lampedusa-lo-sa-e-noi-pure
Qui il video dei migranti dei migranti sogliati nudi e "disinfestati" nel centro di accoglienza di Lampedusa:
Lo scandalo urlato al Tg2 piuttosto che dai politicanti intervistati, da Alfano alla Boldrini, assume tutte le fattezze della sorpresa, dello sgomento: del punto di vista di chi evidentemente finge di non sapere. Sentire tutte le voci che reggono in piedi il sistema di carcerazione dei migranti indignarsi per quanto accaduto è quanto di più orrido possa esistere di fronte a sofferenze umane così grandi e a pratiche carcerarie che evidentemente sono la prassi e non l'eccezione all'interno di posti come il CIE di Lampedusa. Sentire Alfano assicurare che i responsabili pagheranno le conseguenze rende ben chiaro quale sia il risultato a cui tendono queste dimostrazioni di stupore, cioè, legittimare ancora una volta le politiche di chiusura delle frontiere allo spostamento delle persone.
Ecco, se questo è il prodotto dello stupore e dello sgomento verso le immagini passate in televisione, bisogna riuscire a non stupirsi e a metabolizzare quelle immagini per sintetizzare una rabbia che sia diretta verso chi progetta e permette che realtà come queste esistano quotidianamente. Noi non possiamo fingere di non sapere: sappiamo benissimo quello che accade ogni giorno nel Mediterraneo e dentro CIE e CARA, e sappiamo pure che le brutalità che si registrano al loro interno sono tanto sistemiche quanto l'esistenza stessa di questi centri. Sono luoghi tenuti appositamente ai margini dei nostri territori, posti al riparo da sguardi indiscreti e telecamere (evidentemente non del tutto al riparo), utilizzati per controllare gli spostamenti dei migranti e disciplinare i loro comportamenti.
Il problema del CIE di Lampedusa, infatti, non è l'uomo con la pompa che irriga il negretto come si faceva col DDT ad inizio del '900 negli USA, come il problema dei morti in mare non è lo scafista che lucra qualche migliaio di euro sulla vita dei migranti. O meglio questi sono corollari rispetto al centro del problema.
Sembra di poter riproporre la domanda retorica, fatta all'indomani del naufragio a largo di Lampedusa solo pochi mesi fa, circa la responsabilità ultima delle centinaia di migliaia di morti nel Mediterraneo. Bene, allora come oggi, la responsabilità va cercata nelle stesse sedi: tra le fila dei fautori di politiche anti-immigrazione che impongono le traversate su barconi di fortuna e prevedono la presenza di veri e propri lager sul territorio di questo paese e della fortezza Europa.
Sia ben chiaro che le responsabilità politiche ricadono a valanga su tutti i coinvolti. La disinvoltura con cui si lanciano i vestiti dei detenuti nel video in questione rende particolarmente odioso il secondino malcelato dietro l'etichetta di operatore. Ma la responsabilità in capo a lui, quanto a tutte le associazioni coinvolte in questo tipo di lavoro a sostegno dei centri, sarebbe stata la stessa se avesse svolto il suo compito con attenzione e gentilezza. E questo perché il suo compito, il suo infame lavoro, come quello di tutti coloro che stanno nella filiera di questi posti, permette l'esistenza stessa di queste pratiche e delle politiche che vi stanno dietro.
Il problema dei CIE, dei CARA e di tutte queste carceri speciali per immigrati non sta nelle situazioni di degrado o nella brutalità degli atteggiamenti al loro interno. Sta nella loro stessa esistenza, nel disegno criminale che ci sta dietro, e che implica di per sé degrado e brutalità. Sta nella scelta politica di criminalizzare i migranti proprio in quanto migranti, in tutte quelle pratiche tese a rendere lo straniero inferiore sia per status giuridico che per soggettività, subalterno alle dinamiche del mercato del lavoro e alle relazioni umane in genere in quanto costantemente ricattabile. E tutto inizia proprio da questi lager, posti in cui trascorrere fino ad un anno e mezzo per il solo fatto di non essere nato italiano, cioè con sangue italiano, figlio di italiani certificati da un atto di nascita o da una carta d'identità.
Se proprio dobbiamo stupirci, quindi, ci stupiamo per la sfacciataggine dimostrata da Alfano e Boldrini, non che neanche quelle fossero inaspettate per chi ha imparato a conoscere i comportamenti di governanti tanto colpevoli quanto ipocriti, ma perché è uno stupore che porta a una rabbia sicuramente meglio indirizzata e più proficua.
Fonte:
http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/10046-lampedusa-lo-sa-e-noi-pure
Qui il video dei migranti dei migranti sogliati nudi e "disinfestati" nel centro di accoglienza di Lampedusa:
martedì 17 dicembre 2013
SIRIA: STRAGE SENZA PRECEDENTI AD ALEPPO. SALE A 125 IL BILANCIO DELLE VITTIME DOPO IL RAID CON GLI ELICOTTERI
lunedì 16 dicembre 2013
Dal blog di Sebastiano Nino Fezza:
http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/
Il regime di Assad è accusato di aver condotto un attacco micidiale contro alcune zone della città di Aleppo in mano ai ribelli. Ci sono oltre cento morti tra i quali molti bambini.
Il bilancio del raid con gli elicotteri lanciato dall’aviazione siriana
su alcune zone controllate dai ribelli ad Aleppo è salito a 125 morti.
Lo rende noto al-Jazeera,
aumentando così il bilancio di 76 morti, tra cui 28 bambini, denunciato
in precedenza dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.
Gli abitanti stanno ancora cercando di recuperare i corpi dalle macerie
il giorno dopo che gli elicotteri del regime hanno lanciato barili pieni
di esplosivo sulle zone della città in mano ai ribelli. L’Aleppo Media Centre, una rete di attivisti attivi sul campo, ha definito ”senza precedenti” il raid sulla città.
“I barili di esplosivo non sono come bombe. Il loro impatto non è
preciso, perché piombano a terra senza nessun sistema di guida, ed è per
questo che provocano un gran numero di vittime “, dice Abdel Rahman
direttore dell’Osservatorio Siriano per i diritti civili. “Gli
apparecchi sono costituiti da fusti di metallo che hanno uno strato di
calcestruzzo al loro interno, così che che causano tanto la distruzione
quanto la morte”...
(IL Journal)
Pubblicato da
Sebastiano Fezza
a
09:07
Fonte:
lunedì 16 dicembre 2013
SIRIA, RAID FA STRAGE DI CIVILI AD ALEPPO. LE ONG: "FRA LE VITTIME CI SONO 14 BAMBINI"...
domenica 15 dicembre 2013
Dal blog di Sebastiano Nino Fezza:
http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/
ALEPPO
- Nuova strage di bambini in Siria, dove secondo gli attivisti
dell'Osservatorio siriano per i diritti dell'uomo (ong vicina
all'opposizione) raid
aerei condotti nelle ultime ore su alcune aree di Aleppo dalle forze
governative avrebbero causato almeno 22 morti. Fra le vittime, stando
alla stessa fonte, si contano 14 bambini. «L'aviazione
siriana ha lanciato bidoni esplosivi i quali hanno ucciso 22 persone,
inclusi 22 bambini e un adolescente», riferisce l'ong. I bombardamenti
sono segnalati nei quartieri di Haydariye, Ared al-Hamra e Sakhur, in
una città tuttora tagliata dalla linea del fronte, nella sanguinosa
guerra civile tra milizie ribelli e forze fedeli al regime del
presidente Bashar al-Assad. Intanto
miliziani jihadisti di Al Nusra e salafiti hanno occupato stanotte il
villaggio cristiano siriano di Kanaye imponendo alla popolazione di
obbedire alla sharia e alle donne di indossare il velo islamico, pena
l'immediata fucilazione. Un abitante ha dato l'allarme tramite
l'arcivescovo emerito di Aleppo, monsignor Giuseppe Nazzaro, che ha
contattato l'Ansa. «Temiamo - ha detto il presule - che la popolazione
sia costretta a fuggire in massa o a convertirsi all'Islam se non vuol
essere massacrata»...
Pubblicato da
Sebastiano Fezza
a
13:11
Fonte:
sabato 14 dicembre 2013
MALTEMPO A GAZA
Dal blog di Silvia Todeschini: http://libera-palestina.blogspot.it/
sabato 14 dicembre 2013
A causa del maltempo, a
Gaza, ci sono vie di comunicazione interrotte, intere aree allagate,
centinaia di famiglie evacuate, numerosi feriti e quattro morti.
L'assedio e l'occupazione sioniste contribuiscono ad aggravare la
situazione per decine di migliaia di persone.
La principale via di
comunicazione tra nord e sud della striscia di Gaza si chiama strada
Salaheddin, e, in questi giorni, è molto difficile da percorrere
perché è allagata. Il microbus che parte da Gaza, per arrivare a
Rafah, deve riuscire ad evitare profonde pozze d'acqua, e le evita
passando da una corsia all'altra, scavalcando lentamente e
faticosamente l'aiuola che le divide. Alcune auto sono bloccate,
perché l'acqua troppo alta arriva al motore e le mette fuori uso; ci
sono carretti tirati da asini, che camminano con le zampe in acqua.
Il quartiere di Rafah
dove abita Khaled Sadi el-Alul si chiama el-Madakha. Lui vive con le
sue 3 mogli, 11 figli e 6 figlie in una casa fredda e umida: quando
si respira si vede il fiato. Il velo che porta in testa la prima
moglie di Khaled, in controluce, sembra fumare, perché è umido e
col calore del corpo l'acqua di cui è intriso evapora; questa donna
è particolarmente sensibile al freddo, perché soffre d'asma ed è
diabetica. Anche Khaled dovrebbe evitare le basse temperature, perché
due settimane fa, potando un albero, è caduto e si è rotto una
costola; essa è andata a perforare il polmone ed è stata necessaria
un'operazione per drenare il sangue da quest'ultimo. Alcune finestre
e il tetto della casa sono stati distrutti durante l'attacco
israeliano chiamato piombo fuso, ed il tetto è stato rimpiazzato con
una lastra ondulata di Eternit, che costa poco, ma che, si sa,
contiene amianto che è cancerogeno.
Khaled racconta che,
nella notte tra giovedì e venerdì, a mezzanotte a casa dormivano
tutti. Avevano sentito che pioveva, ma non sembrava una pioggia
forte, e non c'era elettricità, quindi erano al buio. Dormivano per
terra, e si sono svegliati perché il materasso era umido, l'acqua è
arrivata fino a cinque centimetri sopra il materasso, così hanno
chiamato la protezione civile, ma la protezione civile ha risposto
che tutta Gaza era in emergenza alluvione, e che quindi non potevano
fare nulla; così hanno chiamato il 109, da cui hanno risposto che
avrebbero mandato un mezzo della municipalità, ma questo mezzo non
si è mai visto. L'acqua di cui erano invasi era acqua fognaria,
hanno dovuto aprire il tubo fuori casa, per far si che l'acqua
defluisse nel cortile. Poi hanno dovuto fare un buco nel muro che
separa il giardino dallo spazio davanti alla porta della cucina, per
lasciarla correre: tutto al buio e senza corrente. “Abbiamo passato
delle ore orribili” spiega la prima moglie di Khaled “in tre ore
abbiamo svuotato l'acqua che si era accumulata in casa con dei
secchi. Potete ancora sentirne la puzza!” Questa famiglia è solo
un esempio di cosa comporta il maltempo qui a Gaza, e sicuramente non
è il caso peggiore. Khaled ha esclamato, prima di lasciarci,
“preghiamo Allah perché faccia terminare l'assedio! Avessimo
l'elettricità, quando succede qualcosa del genere, almeno potremmo
vedere e capire cosa accade!”
Da tre giorni i figli di
Khaled non vanno a scuola, perché la scuola elementare del quartiere
è allagata: sarebbe meglio dire che si è formato un lago e che la
scuola sembra galleggiare in esso, il che la rende raggiungibile solo
in barca. Anche il campo da calcio di fronte alla scuola ha l'aspetto
di un lago rettangolare. L'acqua nei giorni scorsi arrivava fino al
primo piano delle case, e 10 famiglie, per un totale di 70-80
persone, sono state evacuate con delle barche mentre si calavano
dalle finestre del primo piano delle loro abitazioni. Alcune sono
state prelevate venerdì sera, ed altre giovedì mattina, e sono
state portate in una scuola vicina che serve da rifugio. Ma non sono
casi isolati.
Reuters riporta infatti che, secondo il ministero dell'informazione, 5246
persone sono state evacuate e disposte in rifugi o nelle scuole.
Sempre secondo Reuters, il numero di feriti dovuti al maltempo (che
includono quelli feriti da oggetti che cadono o dai danneggiamenti
alle povere case della striscia, o dagli incidenti stradali causati
dalle pozze) è arrivato a 100. Inoltre, la stessa fonte riporta di
un morto, un ragazzo di 22 anni, deceduto per aver respirato i gas di
un fuoco che aveva acceso per riscaldare la sua casa. Noor Harazeen
riporta su facebook i nomi di tre bambini morti per assideramento: Wardaa
Al-Emawi, di 3 anni; Malak Al-Shaer, di 2 anni; Lamees Fojo, di 3
anni. Tutto questo è aggravato dalla mancanza di corrente elettrica,
che servirebbe tra l'altro anche per pompare le acque reflue, e dal
fatto che, come riportato da Ma'an, Israele ha aperto le dighe a est di Gaza inondando la Gaza Valley.
Il tetto in Ethernit |
hanno aperto il tubo all'esterno per fare uscire l'acqua |
hanno fatto un buco nel muro per far defluire l'acqua |
Parte della famiglia di Khaled |
Il livello raggiunto dall'acqua nel giardino |
Pubblicato da
Silvia Todeschini
a
11:22 PM
Fonte:
Etichette:
alluvione a gaza,
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piombo fuso,
silvia todeschini,
sionismo,
wardaa al-emawi
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