Mauro De
Mauro
Attilio
Bolzoni
Fonte:
Repubblica, 18 giugno 2005
De Mauro
ucciso per uno scoop.
scoprì il patto tra boss e golpisti
scoprì il patto tra boss e golpisti
In redazione
l'aveva confidato a più di un collega: "Ho uno scoop che farà tremare
l'Italia". Era venuto a sapere che il principe Junio Valerio Borghese
stava preparando un golpe. E che Cosa Nostra complottava con i generali. Mauro
De Mauro però fece le domande giuste alle persone sbagliate. Prima lo rapirono
e lo "interrogarono", poi lo strangolarono.
Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo.
Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo.
È la
"pista nera" che puzza di mafia. È la sola, l'unica che resiste a più
di tre decenni di aggrovigliate investigazioni. I fascisti progettavano di fare
il colpo di stato alleandosi in Sicilia con i boss, fu la scoperta di quel
patto la condanna a morte di Mauro De Mauro, reporter del quotidiano della sera
L'Ora, corrispondente dall'isola de Il Giorno e della Reuters, giornalista
famoso e dal burrascoso passato repubblichino nella Decima Mas. Ucciso nel
settembre 1970 per una notizia che gli avevano soffiato amici frequentati in
gioventù, compagni d'armi e camerati. Mandanti dell'omicidio i capi della
Cupola Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Salvatore Riina. Ordinarono il
suo rapimento dopo un incontro a Roma con il principe Borghese e due alti
ufficiali del Sid, il servizio segreto militare di allora. Il golpe era
previsto per dicembre, nella notte tra il 7 e l'8, nome in codice del piano
insurrezionale "Tora Tora". Fu un omicidio "preventivo",
sostengono i magistrati nella loro ultima ricostruzione sul sequestro del
giornalista.
A soffocarlo
furono Mimmo Teresi, Emanuele D'Agostino e Stefano Giaconia, picciotti di Santa
Maria di Gesù, tutti e tre assassinati nella guerra di mafia degli anni 80. Con
loro ci sarebbe stato anche Bernardo Provenzano. Nei prossimi giorni,
l'inchiesta giudiziaria sarà ufficialmente definita dai sostituti procuratori
Gioacchino Natoli e Antonio Ingroia. Già decisa una richiesta di rinvio a
giudizio per Totò Riina, gli altri due mandanti sono ormai morti. Incerta
ancora la posizione di Provenzano. Ad accusarlo c'è solo il pentito Francesco
Di Carlo, non ci sono altre "chiamate" o riscontri alle sue
dichiarazioni.
Sta finendo
in archivio così il caso De Mauro, il più misterioso dei gialli palermitani,
una trama che si è intrecciata con tanti altri affaire italiani, primo tra
tutti l'attentato di Bascapè del 27 ottobre del 1962, l'aereo del presidente
dell'Eni Enrico Mattei che decollò da Catania e precipitò a pochi chilometri da
Linate.
L'inchiesta
sulla morte del giornalista è stata ripescata l'ultima volta 10 anni fa, dopo
che un magistrato di Pavia - Vincenzo Calia, quello che aveva riaperto le
indagini su Mattei - chiese e inviò carte a Palermo. Uno scambio di documenti
che ha dato spinta all'istruttoria siciliana. Praticamente è ricominciata
daccapo. Tanti i testimoni mai ascoltati, gli indizi mai approfonditi, gli
interrogatori mai verbalizzati. Un depistaggio dopo l'altro. Trovata traccia
anche di un colloquio riservato dell'allora capo della omicidi della squadra
mobile Boris Giuliano con Ugo Saito, il giudice titolare della prima inchiesta:
il commissario lo avvertiva che "c'era qualcuno al ministero a Roma che
non voleva andare a fondo alla morte di De Mauro".
Scartate
tutte le altre ipotesi sul sequestro - quella che portava al traffico di
stupefacenti seguita precipitosamente dal colonnello dei carabinieri Carlo
Alberto dalla Chiesa, e quella che conduceva alle esattorie dei cugini Salvo
inutilmente battuta dai poliziotti - la procura di Palermo 35 anni dopo ha
ricostruito il movente del delitto.
Il
giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura che scoprisse
qualcosa sull'"incidente" al presidente dell'Eni, lui lavorava alla
sceneggiatura del film che Francesco Rosi stava girando proprio sull'attentato
di Bascapè. Ma De Mauro non custodiva segreti su Mattei. Si era invece
imbattuto in quell'altra storia, il colpo di stato, il golpe che il
"principe nero" voleva far scattare da lì a tre mesi coinvolgendo
anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero dovuto occupare la sede Rai di Palermo,
le prefetture e le questure delle città siciliane.
Erano quasi
le 9 di sera del 16 settembre quando sparì proprio sotto casa sua, in via delle
Magnolie, la Palermo del sacco edilizio. Mauro uscì dalla redazione de L'Ora e
fermò la sua Bmw davanti a un bar, comprò due etti di caffè macinato, due
pacchetti di Nazionali senza filtro e una bottiglia di bourbon. Stava
posteggiando l'auto quando sua figlia Franca - la ragazza si sarebbe dovuta
sposare la mattina dopo - dalla finestra vide il padre "che parlava con
due o tre uomini". Poi la Bmw all'improvviso ripartì. Fu ritrovata la
mattina dopo dall'altra parte della città. Aveva ancora le chiavi inserite nel
cruscotto. A Palermo è il rituale della lupara bianca. Così Mauro scomparve per
sempre.
Per più di
vent'anni solo silenzio. Dopo le stragi del 1992 cominciarono a parlare i
pentiti. Il primo fu Gaspare Mutolo. Svelò due nomi: "Lo strangolarono
Stefano Giaconia ed Emanuele D'Agostino". Poi arrivò Buscetta. E poi
ancora Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado. Tranne don
Masino che è morto, gli altri sono stati tutti riascoltati dai magistrati. E
tutti hanno indicato la "pista nera". Per ultimo Francesco Di Carlo
ha ricordato di summit a Roma tra capimafia e generali. E ha spiegato: "De
Mauro non fu nemmeno trascinato via a forza quella sera..". Conosceva bene
una di quelle "due o tre persone" che sua figlia Franca intravide
dalla finestra di casa. Era Emanuele D'Agostino, l'autista di Bontate. De Mauro
si fidava in qualche modo di D'Agostino. E forse proprio da lui stava cercando
di avere quel pezzo mancante per il suo scoop. Lo portarono in un casolare e fu
Mimmo Teresi a interrogarlo, a tirargli fuori quello che sapeva sul colpo di stato.
Poi lo uccisero. Nessuno dei pentiti sa dove sia esattamente la sua tomba,
tutti dicono che è "sicuramente sotterrato" a Villagrazia, sul letto
di quello che una volta era il fiume Oreto.
Il resto di
questa storia italiana è confinato tra le pieghe di un'inchiesta che è stata
dimenticata per anni, insabbiata. I magistrati di Palermo dopo tanto tempo
hanno voluto interrogare ancora Vittorio Nisticò, il direttore de L'Ora, il
giornale dell'altra Palermo. E per la prima volta da quel lontano 1970 hanno ascoltato
Bruno Carbone, un collega che lavorava nella stessa stanza con De Mauro.
Carbone ci aveva confessato nel 2001: "Mauro mi disse che aveva per le
mani un colpo straordinario, io sono stato testimone della sua vita eppure non
c'è mai stato un poliziotto o un magistrato che abbia sentito il dovere di
chiedermi qualcosa". E aveva aggiunto: "Pochi giorni prima di sparire
avevo suggerito a Mauro di parlare con il procuratore Pietro Scaglione. Lui ci
andò. Dopo pochi mesi uccisero anche Scaglione".
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