Nel carcere di Gerusalemme è in fin di vita Samer al-Issawi, un ragazzo palestinese arrestato senza un’accusa formale nei suoi confronti né tantomeno una condanna.
Samer è nato il 16 dicembre 1979 a Issawiya (da lì il suo cognome), un villaggio palestinese vicino Gerusalemme est. Partecipare alla prima Intifada gli costò una condanna, da parte di un tribunale militare, a 30 anni di prigionia. Rilasciato nel 2011 nello scambio di prigionieri in cui il carrista israeliano Gilad Shalit è stato liberato, Samer ha ottenuto l’amnistia.
UN NUOVO ARRESTO. Nel luglio del
2012 un nuovo arresto. Perché ha oltrepassato il confine del territorio
da lui “calpestabile”, abusando della libertà di movimento limitata
dalle autorità israeliane. Confine che, secondo quanto dichiarato dal
padre di Samer, veniva spostato quasi ogni settimana. Il suo arresto è
avvenuto senza un’accusa formale né tantomeno una condanna a suo carico;
è stato semplicemente l’ennesimo caso di detenzione amministrativa.
LO SCIOPERO DELLA FAME. Nel 2011 Khader Adnan
e Hana Shalabi rifiutarono il cibo dei carcerieri; sul loro esempio
circa 2mila altri prigionieri palestinesi digiunarono per 66 giorni, al
termine dei quali riuscirono a raggiungere un accordo
(poi disatteso più volte dal servizio carcerario) per ottenere migliori
condizioni. Con lo stesso spirito che ha guidato queste azioni di
protesta pacifica, anche Samer, in seguito al suo arresto, ha iniziato
uno sciopero della fame.
LA SALUTE COMPROMESSA. Dopo oltre 180 giorni senza
cibo (a parte una lieve somministrazione di vitamine e liquidi per via
endovenosa avvenuta, come ricorda NenaNews,
dietro minaccia israeliana di iniettargli a forza del glucosio che,
visto il suo stato di salute, probabilmente l’avrebbe ucciso) e dopo
numerosi ricoveri in ospedale, lui fu ridotto alla sedie a rotelle, i
suoi reni smisero di lavorare come avrebbero dovuto e il suo peso
raggiunse i 48 chili. Come riportato dal blogger Abed Enen, la sera
dell’11 febbraio la Croce Rossa ha comunicato quello che molti temevano:
nel 202esimo giorno di sciopero della fame Samer “sta per morire”. Ai
famigliari ha dichiarato: “O vinco la battaglia per la libertà e per la
dignità, oppure muoio combattendo. Vi voglio bene”.
“NON STRINGERE QUELLA MANO”. Senza aver mai ricevuto
un’accusa formale, Samer ha più volte chiesto udienze ai giudici.
Alcune volte questi rifiutarono all’ultimo momento di concederla,
rinviandola – dopo un’attesa di almeno 20 giorni – a corti militari.
Altre volte veniva accettata, come quella volta in cui, di fronte al
giudice e alla famiglia, venne picchiato dai soldati perché voleva
stringere la mano alla madre. A proposito di quell’udienza, la sorella
Shereen ha raccontato:
“Ogni qual volta Samer ha cercato di stringere la mano a mia madre o
anche solo di toccarla, i soldati israeliani glielo hanno impedito. E
dato che Samer ci ha provato più volte, i soldati hanno assalito lui e
la mia famiglia. È stato veramente brutale e disumano”.
UNA FAMIGLIA MARTORIATA, IN UNA TERRA MARTORIATA. La
famiglia al-Issawi non è nuova ad arresti e uccisioni. La nonna di
Samer è stata uccisa durante la prima Intifada, i suoi genitori sono
stati arrestati nei primi anni ’70, suo fratello maggiore è stato ucciso
negli scontri che hanno seguito l’eccidio nella Moschea di Abramo e anche i suoi sei fratelli e sorelle hanno affrontato arresti.
In questo momento anche i detenuti Ayman Sharawna, Jafar Azzidine, Tarek Qa’adan, e Yousef Yassin sono in sciopero della fame.
Valerio Evangelista
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