luglio 26, 2013 16:06
Avevo
visto Lander l’ultima volta il 27 aprile, il giorno dell’estradizione.
Eravamo in una stanza della questura di Roma. Dopo ore di attesa e
trattativa, decisi di scendere un momento per aggiornare i compagn@ in
presidio rispetto alle novità in corso. Avevo scelto il momento
sbagliato, tutto era saltato, quando sono risalito Lander era già in
viaggio verso l’aeroporto. In questi mesi non ci siamo fermati. Il
nostro comitato ha continuato a sostenerlo, scrivendogli, denunciando la
sua situazione con azioni, continuando a tenere alta l’attenzione con
manifesti e concerti. Stretti in una morsa obbligata tra rabbia e
ragione, stiamo provando a mantenere uno spazio aperto di discussione a
Roma su Lander, sulla condizione dei troppi prigionieri baschi e del
conflitto storico che li vede lottare da sempre per la libertà del loro
paese. Così, un po’ perché ce lo meritavamo un po’ per orientarci meglio
sul lavoro da fare, ci siamo regalati tre giorni euskera. Tra Bilbo e
Lekeito, tra martxa eta borroka (lotta e allegria), abbiamo rincontrato e
conosciuto tante facce e tante storie, che ci danno animo e convinzione
propri solo di chi sta dalla parte giusta. Solo di chi ha avuto la
fortuna di conoscere e diventare amico di Irati e Lander.
Poco tempo prima di partire abbiamo dovuto scegliere due nomi da
Roma per l’elenco dei visitatori, quelli che potranno entrare presso il
carcere dove è detenuto Lander, nei prossimi mesi. Uno di questi sono
io, e di questo non ringrazierò mai abbastanza i miei compagn@. Cosi
durante questi giorni baschi sono partito per Madrid con il fratello e
un suo amico verso il carcere di Estremera. La poca attenzione del
controllo di turno e una buona dose di fortuna hanno fatto il resto.
Documento, foto, impronte digitali e tutti dentro. A sentire i baschi un
miracolo. L’effetto sorpresa è stato devastante. Lander non ci
aspettava tutti insieme e subito l’incontro si è trasformato in una
festa. Il vetro che ci divideva è spesso e il citofono certo non
restituisce il giusto grado di intensità ad ogni emozione, ma quelle
ultime barriere ci sono sembrate poca cosa. In quaranta minuti spesso ci
siamo parlati sopra. Io ero l’unico a parlare in romanaccio ma mi sono
fatto valere contro il loro euskera, che mai mi è sembrato cosi gentile e
intimo. Lander era felicissimo di saperci nella sua Bilbo, nella sua
Lekeito, con i suoi compagn@ e la sua famiglia. Sa del lavoro che stiamo
portando avanti e che c’ero io solo perché tutti insieme non si può
andare. Ringrazia per la solidarietà manifestata nella sua permanenza a
Roma, ha un bel ricordo anche di quella maledetta giornata di aprile. Ha
il volto pieno e rilassato, è aggiornato su ogni questione che riguarda
Roma, il Paese Basco e il suo Athletic. Riceve molta posta e sente
spesso i compagn@ nelle chiamate che ha a disposizione. Il suo regime di
detenzione normale gli permette la mattina di correre e andare in
palestra, partecipare a dei corsi di formazione, in particolare di
lingue. Pranza e cena con altri due detenuti politici baschi e questo
gli da molta forza. C’è pure una compagna dell’ala femminile che però
non possono incontrare. Legge, ascolta la radio e tra poco riceverà
anche una televisione. Veste magliette politiche o almeno per il momento
gli è permesso. Estremera si trova a settanta kilometri da Madrid,
intorno sembra un vero e proprio deserto, senza colori ne profumi. Cosi
lontano, anche in questo, dal Paese Basco cosi pieno di foreste, fiumi,
mare e montagne. Ho avuto questo pensiero stupido ripartendo dal
carcere, senza sapere nemmeno se Lander ha una finestra o gli permesso
guardare fuori. Ma tant’è. L’immagine che mi porto dentro di quei
quaranta minuti è il sorriso perenne di Lander. Questo ho provato a
trasmettere ai compagni che mi hanno fatto questo regalo, e al nipote
piccolo che dopo poche ore mi chiedeva in lacrime perché lo zio a cui
vuole tanto bene, non era lì con tutti noi. Quel sorriso l’ho imparato a
conoscere quando l’ho incontrato a Regina Coeli, ce lo ha poi regalato
davanti a quel cancello mentre lo scortavo per essere estradato, l’ho
rivisto sabato. Sta lì ed è per tutti. So che “Lander sta bene” vuol
dire poco e che è ingiusto pensarlo. Bene non può stare un detenuto.
Bene non sta chi lotta per la libertà e si trova prigioniero. Bene non
sta chi è lontano dal suo paese, dai suoi affetti, dai suoi compagn@.
Bene non sta chi ha superato un anno di detenzione senza nemmeno essere
stato condannato e senza neppure sapere l’inizio del processo. Lander
dice sempre che il conflitto basco è una lotta contro due stati potenti,
la Francia e la Spagna. Sarà questo genere di consapevolezza che fa
vivere diversamente la repressione che subisce ogni militante basco;
sarà che la detenzione in carcere è una condizione che un basco vive in
ogni famiglia, quartiere, paese piccolo o grande che sia, da sempre;
sarà che in fondo questi baschi so strani. Sarà che in questa condizione
non c’è nulla di retorico. Sarà ma a chi mi domanda come sta Lander?
Rispondo che sta bene e che per esserne sicuro il 24 agosto, con tutto
il comitato, torneremo a trovarlo.
“Fermare l’estradizione non era solo una vittoria, era scrivere un
pezzetto di storia. Forse essere stati cosi vicini dal raggiungere
l’obiettivo da più rabbia e impotenza”
Davide
Un caso basco a Roma
Fonte:
Per saperne di più sul caso di Lander Fernandez Arrinda visitare il sito
http://uncasobascoaroma.noblogs.org/
http://uncasobascoaroma.noblogs.org/
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