il manifesto 2013.08.17
Di Paolo Cacciari
Un corridoio
autostradale lungo 400 km, con centinaia di cavalcavia e gallerie. Si
tratta della più grande opera dopo il Ponte sullo Stretto. Aggirando il
patto di stabilità grazie ai privati
La cupola delle grandi opere da realizzare
in project financing ha da tempo programmato di sventrare l'Italia da
Orte a Venezia con un nuovo corridoio autostradale lungo 396 chilometri,
139 dei quali in viadotti e ponti, 64 in galleria, con 246 tra
cavalcavia e sottovie, 83 svincoli, aree di servizio ecc. ecc.
Movimentazione di terra per 34 milioni di metri cubi prelevati fin dalla
Puglia e - già che ci siamo - dal canale industriale del porto di
Ravenna che ha bisogno di dragaggi. Lazio, Toscana, Umbria, Emilia,
Veneto attraversate. Aggrediti ventidue siti di interesse ambientale
riconosciti dall'Europa comprese le valli di Comacchio, il parco del
Delta del Po, la laguna sud di Venezia, la Riviera del Brenta, le valli
del Mezzano e le Foreste Casentinesi negli Appennini Centrali. Anche se
ancora poco conosciuta, si tratta della più grande grande opera, dopo il
ponte sullo Stretto di Messina, compresa nell'elenco delle 390
«infrastrutture strategiche» dichiarate di «interesse pubblico» e
inserite nella Legge Obiettivo in attesa di essere finanziata dal Cipe
(Comitato interministeriale per la programmazione economica). Peccato
che la nuova autostrada non avrà mai i veicoli/giorno in transito minimi
necessari (90 mila contro i soli 18 mila attualmente rilevati, ad
esempio, nel tratto veneto) per ammortare i costi di realizzazione e
sostenere le spese di gestione dell'opera. Ciò nonostante il progetto
preliminare è stato approvato dall'Anas con tanto di attestato di
Valutazione di Impatto Ambientale rilasciato dalla Commissione
nazionale, che oramai non lo nega a nessuno, neppure a chi chiede di
fare un parcheggio nel Colosseo.
Qualche dubbio sembra averlo avuto nel passato governo solo l'ex ministro Barca. Per esplicita ammissione dei proponenti, infatti, il piano economico e finanziario del progetto (ancora riservato) non sta in piedi. Per la precisione, non sarebbe "bancabile". Per esserlo lo Stato italiano dovrebbe impegnarsi a: 1) versare direttamente un generoso contributo a fondo perduto di 1,4 miliardi di euro; 2) detassare le imprese costruttrici rinunciando ad altri 1,5 miliardi di entrate; 3) autorizzare l'emissione di project bond sul mercato finanziario da parte delle imprese, garantiti però dalla Cassa Depositi e Prestiti (con i soldi dei correntisti postali) e assicurati dalla Sace; 4) affidare l'opera in gestione con un contratto che garantisca un minimo di proventi tariffari e, soprattutto, le autorità statali concessionarie dovrebbe fingere di credere che l'opera venga a costare davvero "solo" 10 miliardi di euro.
Insomma, come è stato detto a un recente convegno organizzato a Ravenna dalla rete ambientalista Stop Orte-Mestre (www.stoporme.org), la nuova autostrada è un mostro che dorme sornione, pronto a mettersi in moto al segnale del nuovo, arrembante ministro Maurizio Lupi.
Chi invece non dorme affatto sono i cittadini dei 48 comuni che saranno investiti dai cantieri. Sono questi i veri instancabili presidi democratici a difesa del territorio e dei denari pubblici che da più di dieci anni si battono a mani nude per denunciare la follia di questa grande opera inutile e devastante. Decine di comitati locali sorti un po' per volta, con un passaparola iniziato dal comitato Opzione Zero della Riviera del Brenta. Comune per comune lungo il tracciato, hanno prima conquistato l'appoggio delle grandi associazioni quali Legambiente, Wwf, Lipu, Mountain Wilderness e Pro Natura, poi hanno dato vita ad un coordinamento e alla rete Stop Or Me con la campagna Salviamo il Paesaggio e i gruppi politici che ci sono stati: Movimento 5 Stelle e Alba. I comitati avrebbero potuto limitarsi a denunciare l'insostenibilità di alcuni impatti quali l'attraversamento dello storico canale navigabile Brenta, in mezzo al paesaggio palladiano delle ville venete, o i viadotti sulle Valli di Comacchio, o le "varianti di valico" sulle Foreste Casentinesi, e sarebbero stati nel giusto. Hanno invece preferito affrontare un lungo percorso di studi multidisciplinari (trasportistici, economici, ambientali, paesaggistici, giuridici) e di autoformazione, scoprendo quanto solitamente non viene detto dai grandi organi di informazione e, tantomeno, divulgato dalle istituzioni politiche. Ad esempio, che promotrice del progetto è la Gefip Holdin, il gruppo di famiglia di Vito Bonsignore, europarlamentare del Pdl, che nel 2003 comprò per 4,5 milioni di euro la prima società promotrice del progetto, la Newco Nuova Romea SpA presenti le maggiori coop rosse Cmc e Ccc. Che, a sua volta, nacque per concretizzare l'indicazione della Associazione Nuova Romea Commerciale, il cui presidente era niente meno che Pierluigi Bersani. Quel che si dice grandi e losche intese!
Grazie al lavoro dei comitati scopriamo che il vice-presidente della allora NewCo, Lino Brentan, e l'amministratore delegato (ora dimissionario) della Mantovani, una delle principali imprese della associazione di imprese promotrici, l'ing. Baita, sono agli arresti per corruzione, associazione a delinquere e frode fiscale. Scopriamo che in realtà le società di progetto sono scatole vuote create dagli intermediari finanziari per farci affluire i finanziamenti bancari. Scopriamo che la finanziarizzazione dell'economia - tanto deprecata a parole - in realtà nasce per mano e per volere dello stato attraverso il meccanismo truffaldino del project financing. Come non si stanca di spiegare l'ingegnere Ivan Cicconi, la finanza di progetto, figlia della Legge Obiettivo, serve a bypassare i patti di stabilità (che comporterebbero il blocco degli investimenti) concedendo a società di diritto privato la realizzazione e la gestione delle opere (così da evitare persino di cadere nelle maglie dei reati di corruzione) ma pur sempre scaricando, alla fine e tramite i contratti di concessione dell'opera, sulla spesa pubblica allargata i costi della realizzazione e gestione dell'infrastruttura che non dovessero essere coperti dai pedaggi, dalle royalties, dai canoni degli autogrill o delle pompe di benzina... In barba al rischio di impresa! Un keynesismo alla rovescia che gonfia i costi di realizzazione e moltiplica le intermediazioni finanziarie. Con molto meno si potrebbero realizzare molti più interventi puntuali, a portata del sistema delle piccole imprese, creando lavoro per più persone. Come, ad esempio, mettere in sicurezza le strade esistenti, diversificare il traffico pesante, attrezzare i porti come scali delle autostrade del mare e collegandoli con la rete ferroviarie. La differenza sta tutta nell'obiettivo che ci si pone: aumentare il flusso di denari gestito dal sistema finanziario o migliore la mobilità del maggior numero di persone e la quantità delle merci trasportare per mare e per treno?
Qualche dubbio sembra averlo avuto nel passato governo solo l'ex ministro Barca. Per esplicita ammissione dei proponenti, infatti, il piano economico e finanziario del progetto (ancora riservato) non sta in piedi. Per la precisione, non sarebbe "bancabile". Per esserlo lo Stato italiano dovrebbe impegnarsi a: 1) versare direttamente un generoso contributo a fondo perduto di 1,4 miliardi di euro; 2) detassare le imprese costruttrici rinunciando ad altri 1,5 miliardi di entrate; 3) autorizzare l'emissione di project bond sul mercato finanziario da parte delle imprese, garantiti però dalla Cassa Depositi e Prestiti (con i soldi dei correntisti postali) e assicurati dalla Sace; 4) affidare l'opera in gestione con un contratto che garantisca un minimo di proventi tariffari e, soprattutto, le autorità statali concessionarie dovrebbe fingere di credere che l'opera venga a costare davvero "solo" 10 miliardi di euro.
Insomma, come è stato detto a un recente convegno organizzato a Ravenna dalla rete ambientalista Stop Orte-Mestre (www.stoporme.org), la nuova autostrada è un mostro che dorme sornione, pronto a mettersi in moto al segnale del nuovo, arrembante ministro Maurizio Lupi.
Chi invece non dorme affatto sono i cittadini dei 48 comuni che saranno investiti dai cantieri. Sono questi i veri instancabili presidi democratici a difesa del territorio e dei denari pubblici che da più di dieci anni si battono a mani nude per denunciare la follia di questa grande opera inutile e devastante. Decine di comitati locali sorti un po' per volta, con un passaparola iniziato dal comitato Opzione Zero della Riviera del Brenta. Comune per comune lungo il tracciato, hanno prima conquistato l'appoggio delle grandi associazioni quali Legambiente, Wwf, Lipu, Mountain Wilderness e Pro Natura, poi hanno dato vita ad un coordinamento e alla rete Stop Or Me con la campagna Salviamo il Paesaggio e i gruppi politici che ci sono stati: Movimento 5 Stelle e Alba. I comitati avrebbero potuto limitarsi a denunciare l'insostenibilità di alcuni impatti quali l'attraversamento dello storico canale navigabile Brenta, in mezzo al paesaggio palladiano delle ville venete, o i viadotti sulle Valli di Comacchio, o le "varianti di valico" sulle Foreste Casentinesi, e sarebbero stati nel giusto. Hanno invece preferito affrontare un lungo percorso di studi multidisciplinari (trasportistici, economici, ambientali, paesaggistici, giuridici) e di autoformazione, scoprendo quanto solitamente non viene detto dai grandi organi di informazione e, tantomeno, divulgato dalle istituzioni politiche. Ad esempio, che promotrice del progetto è la Gefip Holdin, il gruppo di famiglia di Vito Bonsignore, europarlamentare del Pdl, che nel 2003 comprò per 4,5 milioni di euro la prima società promotrice del progetto, la Newco Nuova Romea SpA presenti le maggiori coop rosse Cmc e Ccc. Che, a sua volta, nacque per concretizzare l'indicazione della Associazione Nuova Romea Commerciale, il cui presidente era niente meno che Pierluigi Bersani. Quel che si dice grandi e losche intese!
Grazie al lavoro dei comitati scopriamo che il vice-presidente della allora NewCo, Lino Brentan, e l'amministratore delegato (ora dimissionario) della Mantovani, una delle principali imprese della associazione di imprese promotrici, l'ing. Baita, sono agli arresti per corruzione, associazione a delinquere e frode fiscale. Scopriamo che in realtà le società di progetto sono scatole vuote create dagli intermediari finanziari per farci affluire i finanziamenti bancari. Scopriamo che la finanziarizzazione dell'economia - tanto deprecata a parole - in realtà nasce per mano e per volere dello stato attraverso il meccanismo truffaldino del project financing. Come non si stanca di spiegare l'ingegnere Ivan Cicconi, la finanza di progetto, figlia della Legge Obiettivo, serve a bypassare i patti di stabilità (che comporterebbero il blocco degli investimenti) concedendo a società di diritto privato la realizzazione e la gestione delle opere (così da evitare persino di cadere nelle maglie dei reati di corruzione) ma pur sempre scaricando, alla fine e tramite i contratti di concessione dell'opera, sulla spesa pubblica allargata i costi della realizzazione e gestione dell'infrastruttura che non dovessero essere coperti dai pedaggi, dalle royalties, dai canoni degli autogrill o delle pompe di benzina... In barba al rischio di impresa! Un keynesismo alla rovescia che gonfia i costi di realizzazione e moltiplica le intermediazioni finanziarie. Con molto meno si potrebbero realizzare molti più interventi puntuali, a portata del sistema delle piccole imprese, creando lavoro per più persone. Come, ad esempio, mettere in sicurezza le strade esistenti, diversificare il traffico pesante, attrezzare i porti come scali delle autostrade del mare e collegandoli con la rete ferroviarie. La differenza sta tutta nell'obiettivo che ci si pone: aumentare il flusso di denari gestito dal sistema finanziario o migliore la mobilità del maggior numero di persone e la quantità delle merci trasportare per mare e per treno?
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