Sante Geronimo Caserio (Motta Visconti, 8 settembre 1873 - Lione, 16 agosto 1894) è stato un anarchico italiano che, nel 1894, pugnalò a morte il presidente della repubblica francese Marie-François Sadi Carnot.
Biografia
Sante Geronimo Caserio nacque da una famiglia contadina l'8 settembre 1873.
Ebbe numerosi fratelli e il padre morì in un manicomio. Non volendo
pesare sulla madre, a cui era molto affezionato, all'età di dieci anni
scappò di casa per trasferirsi a Milano. Qui trovò lavoro come garzone
di un fornaio. Venne in contatto con gli ambienti anarchici della fine
del XIX secolo, fondò anche un piccolo circolo anarchico denominato "A
Pè" ("A Piedi"), nel senso di senza soldi). Pietro Gori
lo ricordava come un compagno molto generoso; raccontava di averlo
visto, davanti alla Camera del Lavoro, dispensare ai disoccupati pane e
opuscoli anarchici stampati con il suo misero stipendio. Venne
identificato e schedato durante una manifestazione di piazza, e fu
costretto a fuggire prima in Svizzera e poi in Francia.
Il 24 giugno
uccise il presidente Carnot durante un'apparizione pubblica a Lione
colpendolo al cuore con un coltello dal manico rosso e nero (i colori
che simboleggiano l'anarchismo). Dopo l'atto non tentò la fuga, ma corse attorno alla carrozza del moribondo gridando «Viva l'anarchia». Fu processato il 2 e 3 agosto e fu giustiziato il 16 dello stesso mese tramite ghigliottina.
Di fronte al tribunale che lo condannò alla ghigliottina tra le altre cose disse:
- «Dunque, se i governi impiegano contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dobbiamo noi anarchici, che difendiamo la nostra vita, restare rinchiusi in casa nostra? No. Al contrario noi rispondiamo ai governi con la dinamite, la bomba, lo stile, il pugnale. In una parola, dobbiamo fare il nostro possibile per distruggere la borghesia e i governi. Voi che siete i rappresentanti della società borghese, se volete la mia testa, prendetela». A proposito della patria disse al giudice:
- «La patria non esiste per noi poveri operai. La patria per noi è il mondo intero... voi siete i rappresentanti della società borghese, Signori giurati; se voi volete la mia testa, prendetevela; ma non crediate con questo di arrestare la propaganda anarchica.»[1]
Al processo, infatti, non tentò mai di negare il proprio gesto, nè di
chiedere la pietà del giudice.
Gli fu offerta la possibilità di ottenere l'infermità mentale e in
cambio avrebbe dovuto fare i nomi di alcuni compagni, ma Caserio rifiutò
sprezzatamente: «Caserio fa il fornaio, non la spia». In cella, mentre
attendeva la condanna a morte, gli fu anche mandato il parroco di Motta
Visconti per l'estrema unzione, ma egli rifiutò di confessarsi e cacciò
il prete. Sul patibolo, infine, un attimo prima di morire gridò rivolto
alla folla: «Forza, compagni! Viva l'anarchia!».
Dopo la condanna di Sante Caserio vi furono diversi atti di
violenza e intolleranza da parte dei francesi contro i lavoratori
italiani, compatrioti dell'assassino del loro presidente. Un anarchico
fu arrestato per aver gridato la propria simpatia verso Caserio in un
locale pubblico e un carcerato
venne percosso violentemente per lo stesso motivo. Il gesto
dell'anarchico italiano aveva risvegliato qualcosa nel cuore dei ribelli
oppressi di Francia.
Sulla figura di Caserio si è in seguito sviluppata una tradizione
popolare di canti e di memoria collettiva che dura ai giorni nostri.
Numerose sono le canzoni a lui dedicate, in parte tramandate oralmente.
Esempi sono Le ultime ore e la decapitazione di Caserio di Pietro Cini (nota anche come Aria di Caserio), Partito da Milano senza un soldo di autore anonimo, La ballata di Sante Caserio di Pietro Gori e Il processo di Sante Caserio. [2]
Il processo
Il racconto di Sante
«Avevano appena detto che erano le 9 e 5, tutti cominciavano ad
agitarsi. Non era passata che una sola carrozza chiusa, in procinto di
giungere dall’Opéra alla Borsa per ripartire al più presto in senso
opposto. Poi abbiamo ascoltato la Marsigliese. All’improvviso son
passati veloci, per assicurare la libertà del passaggio su via della
Repubblica, quattro cavalieri della guardia repubblicana. Poi sono
arrivati a piccoli passi dei militari a cavallo in plotoni di cinque
fila o poco meno. Dopo la prima truppa un cavaliere da solo aveva la sua
trombetta senza suonarla. Poi un secondo plotone come il primo. Infine
il calesse scoperto del presidente della Repubblica, di cui i cavalli
avevano la testa a circa tre passi dalla parte posteriore dell’ultimo
plotone.
Nel momento in cui gli ultimi cavalieri della scorta mi sono passati
di fronte, ho aperto la mia giacca. Il pugnale era, con la punta in
alto, in un’unica tasca, dal lato destro, all’interno sul petto. L’ho
afferrato con la mano sinistra e in un solo movimento, spingendo i due
giovani fermi davanti a me, riprendendo il manico con la mano destra e
facendo scivolare con la sinistra la guaina che era caduta per terra, mi
sono diretto vivamente ma senza scattare , dritto verso il presidente,
seguendo una traiettoria un poco obliqua, in senso contrario
all’andamento della vettura.
Sono saltato sul marciapiede ed ho appoggiato la mano sinistra sul bordo
dell’auto, e in un solo colpo ho portato leggermente dall’alto verso il
basso, col palmo della mano indietro, le dita serrate al pugnale fino
alla guardia, nel petto del presidente. Ho lasciato il pugnale nella
ferita ed era rimasto attaccato al manico un pezzo di carta di giornale.
Sferrando il colpo, ho gridato, forte o meno, non lo saprei dire: “Viva
la Rivoluzione!”. A colpo assestato, mi sono inizialmente rigettato
all’indietro; poi vedendo che non mi si fermava subito e che nessuno
sembrava aver compreso cosa avessi fatto, mi sono messo a correre avanti
alla carrozza e passando accanto ai cavalli del presidente, ho gridato
“Viva l’anarchia!”, grido che i guardiani della pace hanno ben udito.
Poi sono passato davanti ai cavalli del presidente, e dietro la scorta,
dirigendomi sulla sinistra di traverso per cercare di passare attraverso
la folla e sparire. Delle donne e degli uomini hanno rifiutato di
lasciarmi passare, poi hanno gridato dietro: “Fermatelo!”. Un gendarme,
di nome Nicolas Pietri, mi ha messo la mano al colletto e sono stato subito fermato da una ventina d’altri.»[3]
L'interrogatorio
- Brani estratti da Per quel sogno di un mondo nuovo di Rino Gualtieri [4].
Sante scrolla le spalle.
«Vostro padre fu malato?».
«No signore.».
«Voi appartenete ad un'onesta famiglia. Vostra madre, giudicando dalle sue lettere, è una donna di sentimenti elevati. Frequentavate la scuola, ma spesso mancavate.».
Sante sorride: «Se avessi avuto maggiore istruzione sarebbe stato meglio.».
«A dieci anni eravate garzone di calzolaio, facevate da angelo nelle processioni.».
«I ragazzi non sanno quello che fanno.».
«Voi avete atteso il Presidente per assassinarlo?».
«Sissignore.».
«Vediamo come siete arrivato a questo punto. Fu dopo il processo agli anarchici a Roma nel 1891 che siete diventato anarchico?»”.
«No.».
«Vostro padre fu malato?».
«No signore.».
«Voi appartenete ad un'onesta famiglia. Vostra madre, giudicando dalle sue lettere, è una donna di sentimenti elevati. Frequentavate la scuola, ma spesso mancavate.».
Sante sorride: «Se avessi avuto maggiore istruzione sarebbe stato meglio.».
«A dieci anni eravate garzone di calzolaio, facevate da angelo nelle processioni.».
«I ragazzi non sanno quello che fanno.».
«Voi avete atteso il Presidente per assassinarlo?».
«Sissignore.».
«Vediamo come siete arrivato a questo punto. Fu dopo il processo agli anarchici a Roma nel 1891 che siete diventato anarchico?»”.
«No.».
«Avete frequentato le conferenze dell'avvocato Gori?».
«Quando Gori venne a Milano io ero già anarchico.».
«Ma le seguiste, le conferenze?».
«Ci andavano tutti ed andai anch'io.».
«La vostra famiglia fece il possibile per togliervi dall'anarchia?».
«Voglio bene alla mia famiglia ma non può sottomettermi al suo volere. La mia famiglia è l'umanità.».
«A Milano facevate parte del gruppo cui apparteneva Ambrogio Mammoli?».
«Anche se lo conoscessi non lo direi, non sono un agente di polizia.».
«Nel 1892 foste arrestato mentre facevate propaganda anarchica fra i soldati in un quartiere detto di Porta Vittoria?».
«Sissignore.».
«Nel 1893 foste disertore?». «La mia patria è il mondo intero.».
«Voi sapevate che il giorno in cui avete ucciso il Presidente era l'anniversario della battaglia di Solferino, nella quale i francesi sparsero il loro sangue in aiuto degli italiani?».
«Il 24 giugno so che è la festa di S. Giovanni, patrono del mio paese. E poi tutte le guerre sono guerre civili.».
«L'accusa sostiene che voi abbiate compiuto il delitto premeditatamente.».
«È vero.».
«Voi avete ucciso il Presidente perché siete anarchico?».
«Sì.».
«E come tale odiate tutti i capi di Stato?».
«Sì.».
«Una volta diceste pure che sareste andato in Italia ad uccidere il Re e il Papa.».
«Quando Gori venne a Milano io ero già anarchico.».
«Ma le seguiste, le conferenze?».
«Ci andavano tutti ed andai anch'io.».
«La vostra famiglia fece il possibile per togliervi dall'anarchia?».
«Voglio bene alla mia famiglia ma non può sottomettermi al suo volere. La mia famiglia è l'umanità.».
«A Milano facevate parte del gruppo cui apparteneva Ambrogio Mammoli?».
«Anche se lo conoscessi non lo direi, non sono un agente di polizia.».
«Nel 1892 foste arrestato mentre facevate propaganda anarchica fra i soldati in un quartiere detto di Porta Vittoria?».
«Sissignore.».
«Nel 1893 foste disertore?». «La mia patria è il mondo intero.».
«Voi sapevate che il giorno in cui avete ucciso il Presidente era l'anniversario della battaglia di Solferino, nella quale i francesi sparsero il loro sangue in aiuto degli italiani?».
«Il 24 giugno so che è la festa di S. Giovanni, patrono del mio paese. E poi tutte le guerre sono guerre civili.».
«L'accusa sostiene che voi abbiate compiuto il delitto premeditatamente.».
«È vero.».
«Voi avete ucciso il Presidente perché siete anarchico?».
«Sì.».
«E come tale odiate tutti i capi di Stato?».
«Sì.».
«Una volta diceste pure che sareste andato in Italia ad uccidere il Re e il Papa.».
Sante sorride: «Il Re e il Papa non si possono ammazzare insieme, perché non sono mai insieme.».
«Un soldato vi intese dire in febbraio che sareste andato a Lione ad uccidere Carnot».
«Faccio rilevare che nel mese di febbraio non potevo dire che sarei andato a Lione per suicidare (testuale) Carnot, perché allora non si poteva sapere che il Presidente vi sarebbe andato.».
«Se la verità intera non si può sapere è pero certo che dopo il rifiuto della grazia a Vaillant, Carnot ricevette lettere di minaccia dagli anarchici; che ne dite? Voi dovete avere dei capi.».
«Nessuno mi comandò, eseguii tutto da me solo.».
«Con quale diritto avete ucciso il Presidente, il diritto naturale lo proibisce, questo lo sapete?».
«Ho ucciso quell'uomo perché era un simbolo, il responsabile di quanto era accaduto giusto l'anno prima, il 24 giugno 1893 ad Aigues Mortes alle saline vicino a Nimes.».[5]
«E l'ha ritenuto responsabile anche di non aver concesso la grazia a Vaillant»?.
«Assolvere tutti senza nemmeno una condanna è stata un'infamia, è come se i miei connazionali fossero stati uccisi una seconda volta. Vaillant è un'altra questione.».
«Quando i capi di uno Stato condannano non è per capriccio ma vi fu prima un giudizio, voi invece vi siete fatto accusatore, giudice e carnefice nello stesso tempo.».
A questo punto Caserio stenta a capire e l'interprete gli fa capire ancora meno. Fra il pubblico si sente qualche moto d'ilarità.
Quando alla fine comprende: «Ora stiamo parlando del fatto e non voglio dire perché mi sono vendicato. E i governi che fanno uccidere milioni di individui?».
«Avete vent'anni, siete ben giovane per giudicare la società.».
«Se sono giovane per giudicare la società, lo sono anche i militari che vanno a farsi ammazzare. Sono dunque degli imbecilli?».
«Ma i militari difendono la loro patria.».
«Difendono invece gli interessi degli industriali e dei banchieri, quindi sono degli imbecilli.».
«Un soldato vi intese dire in febbraio che sareste andato a Lione ad uccidere Carnot».
«Faccio rilevare che nel mese di febbraio non potevo dire che sarei andato a Lione per suicidare (testuale) Carnot, perché allora non si poteva sapere che il Presidente vi sarebbe andato.».
«Se la verità intera non si può sapere è pero certo che dopo il rifiuto della grazia a Vaillant, Carnot ricevette lettere di minaccia dagli anarchici; che ne dite? Voi dovete avere dei capi.».
«Nessuno mi comandò, eseguii tutto da me solo.».
«Con quale diritto avete ucciso il Presidente, il diritto naturale lo proibisce, questo lo sapete?».
«Ho ucciso quell'uomo perché era un simbolo, il responsabile di quanto era accaduto giusto l'anno prima, il 24 giugno 1893 ad Aigues Mortes alle saline vicino a Nimes.».[5]
«E l'ha ritenuto responsabile anche di non aver concesso la grazia a Vaillant»?.
«Assolvere tutti senza nemmeno una condanna è stata un'infamia, è come se i miei connazionali fossero stati uccisi una seconda volta. Vaillant è un'altra questione.».
«Quando i capi di uno Stato condannano non è per capriccio ma vi fu prima un giudizio, voi invece vi siete fatto accusatore, giudice e carnefice nello stesso tempo.».
A questo punto Caserio stenta a capire e l'interprete gli fa capire ancora meno. Fra il pubblico si sente qualche moto d'ilarità.
Quando alla fine comprende: «Ora stiamo parlando del fatto e non voglio dire perché mi sono vendicato. E i governi che fanno uccidere milioni di individui?».
«Avete vent'anni, siete ben giovane per giudicare la società.».
«Se sono giovane per giudicare la società, lo sono anche i militari che vanno a farsi ammazzare. Sono dunque degli imbecilli?».
«Ma i militari difendono la loro patria.».
«Difendono invece gli interessi degli industriali e dei banchieri, quindi sono degli imbecilli.».
Lettera alla madre
«Cara madre, vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia
condanna è la pena di morte.
Non pensate [male] o mia cara madre di me? Ma pensate che se io commessi
questo fatto non è che sono divenuto [un delinquente] e pure molto vi
dirano che sono un assassino un malfattore. No, perché voi conosciete il
mio buon cuore, la mia dolcezza, che avevo quando mi trovavo presso di
voi? Ebbene anche oggi è il medesimo cuore: se ho commesso questo
mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un mondo così
infame.
Ringrazio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma io non voglio confessarmi.
Addio cara mamma e abbiate un buon ricordo del vostro Sante che vi ha sempre amato.» (Lione, 3 agosto 1894)
Canzoni per Caserio
- Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio, di P.Cini
- La ballata di Sante Caserio, di Pietro Gori
- Sante Caserio del gruppo anarchico Youngang
- Su fratelli pugnamo da forti, de Les anarchistes
- Partito da Milano senza un soldo di autore anonimo
- Mesanoc an sl'aqua, della Banda Brisca
- L'interrogatorio di Caserio
Bibliografia
- Maurizio Antonioli. Voce Sante Caserio, in Autori Vari "Dizionario biografico degli anarchici italiani, vol. I", ed. BFS, Pisa 2003
- Rino Gualtieri, Per quel sogno di un mondo nuovo, Euzelia editrice, Milano 2005
- Errico Malatesta, Dialoghi sull'anarchia, Gwynplaine edizioni, Camerano (AN) 2009
- Giovanni Ansaldo, Gli anarchici della Belle Époque, Le Lettere, Milano 2010
Note
- ↑ Roberto Gremmo, Sante Caserio, ELF, 1994, p.52
- ↑ Parte di questo testo è stato estrapolato da Al caffé (1922) di Errico Malatesta, ora di pubblico dominio.
- ↑ Il racconto di Sante
- ↑ Milano, Euzelìa, 2005
- ↑ Quest'affermazione non corrisponde a quanto riportato dal libro L'anarchiste et son juge di Pierre Truche -giudice del processo- ed. Librairie Arthéme Fayard, 1994. Secondo il testo durante l'interrogatorio Sante Caserio non avrebbe mai fatto riferimento all'assassinio degli italiani ad Aigues Mortes nel 1893.
Fonte:
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