Riceviamo e pubblichiamo il report della prima giornata del
campo di solidarietà organizzato dal centro Amal Al Mustakbal, nel campo
profughi di Aida (Betlemme).
Quest’esperienza di lotta inizia proprio mentre Israele rilascia 26 tra i 104 prigionieri palestinesi che dovrebbe liberare nell’arco di un anno.
Quest’esperienza di lotta inizia proprio mentre Israele rilascia 26 tra i 104 prigionieri palestinesi che dovrebbe liberare nell’arco di un anno.
Mentre gli Stati Uniti garantiscono lo strapotere del colonialismo
sionista, celebrando l’inizio dell’ennesima “fine” chiamata “accordi di
pace” e bacchettando pateticamente Israele per i nuovi piani
espansionistici, la repressione dell’occupazione continua perpetua con
arresti nei confronti di chi difende la propria terra, come nel caso di
tre ragazzi arrestati ieri a Kufr Qaddum.
Il rilascio dei 26 prigionieri palestinesi vorrebbe umanizzare
l’ennesimo piano internazionale in appoggio al colonialismo israeliano.
Tutto il mondo rivolge la propria attenzione ad un’ingiustizia chiamata
“pace”, accordi che solo il potere crede appetibili.
Content*, in ogni caso, che 26 persone internate nelle carceri sono
tornate nelle proprie comunità in festa, riabbracciando le persone care,
vi proponiamo la prima di alcune interviste che 4 nostre compagne hanno
documentato durante i loro incontri in Palestina.
Voci di donne palestinesi, testimonianze di tenacia, dignità e resistenza, alle quali daremo il massimo della visibilità.
Per accompagnare il report che leggerete, abbiamo quindi scelto la
voce di Renan, prigioniera per 7 anni nelle carceri israeliane,
recentemente rilasciata nello scambio per la liberazione del soldato
israeliano Shalit. Renan fa parte di una famiglia di Nablus i cui membri
sono stati tutti in carcere.
Voci di donne dalla Palestina: Renan prigioniera nelle carceri israeliane
14.08.2013
Oggi, primo giorno ufficiale del campo, è stata una giornata molto interessante.
Abbiamo iniziato questa mattina con le attività ludiche e di
animazione presso il centro con i/le bambin* di Aida, una prima
occasione per conoscerl* e stabilire un primo contatto.
Basandoci sulla favola araba “Il ritorno di Giubeina e la perla blu”, i/le bambin* faranno una serie di attività di riflessione sulla tematica del “ritorno” strutturate in quattro laboratori (teatro, fotografia, disegno, sport) che culmineranno con una rappresentazione teatrale durante la festa finale del campo di solidarietà.
Basandoci sulla favola araba “Il ritorno di Giubeina e la perla blu”, i/le bambin* faranno una serie di attività di riflessione sulla tematica del “ritorno” strutturate in quattro laboratori (teatro, fotografia, disegno, sport) che culmineranno con una rappresentazione teatrale durante la festa finale del campo di solidarietà.
Nel pomeriggio abbiamo avuto l’opportunità di incontrare un giovane
ex prigioniero del campo profughi, detenuto per 5 mesi nella prigione di
Ofer, nei pressi di Ramallah.
Rilasciato meno di un mese fa, Rashid (nome di fantasia) è un giovane compagno il cui unico capo di imputazione è quello di appartenere al Fronte Popolare, aver avuto fratelli già detenuti nelle infami carceri, e che ogni giorno lotta per resistere all’occupazione e per rivendicare il proprio diritto al ritorno.
Rilasciato meno di un mese fa, Rashid (nome di fantasia) è un giovane compagno il cui unico capo di imputazione è quello di appartenere al Fronte Popolare, aver avuto fratelli già detenuti nelle infami carceri, e che ogni giorno lotta per resistere all’occupazione e per rivendicare il proprio diritto al ritorno.
Il
suo arresto, come quello di molti altri, si inserisce in un’ondata
repressiva che ha colpito i giovani del campo di Aida 6 mesi fa, a
seguito di proteste per l’uccisione di Mohammad Zaid Awwad Salayam
di Hebron. Il racconto di Rashid è la testimonianza diretta delle
condizioni dei detenuti palestinesi all’interno delle carceri israeliane
e del vissuto delle loro famiglie.
Solitamente, i giovani vengono prelevati nel cuore della notte nelle loro abitazioni con incursioni mirate e portati via sotto gli occhi impotenti delle famiglie a cui non è concesso neanche un saluto.
Solitamente, i giovani vengono prelevati nel cuore della notte nelle loro abitazioni con incursioni mirate e portati via sotto gli occhi impotenti delle famiglie a cui non è concesso neanche un saluto.
La prigione israeliana di Ofer detiene circa 6000 palestinesi
rinchiusi in celle sovraffollate con una piccola finestra che non
permette di guardare fuori; i detenuti sono privati della possibilità di
incontrarsi, di potersi lavare e sono soggetti a continue pressioni
psicologiche e violenze fisiche.
Esiste all’interno del carcere un’unica cucina gestita dai prigionieri i cui costi dei pasti ricadono direttamente sulle famiglie dei detenuti, poichè la direzione carceraria non fornisce alcun alimento.
Esiste all’interno del carcere un’unica cucina gestita dai prigionieri i cui costi dei pasti ricadono direttamente sulle famiglie dei detenuti, poichè la direzione carceraria non fornisce alcun alimento.
Alcuni detenuti che hanno la cittadinanza anche indiretta gazawi, al
momento della scarcerazione non vengono fatti tornare nei loro villaggi
di origine, ma deportati in quella prigione a cielo aperto, che è la
Striscia di Gaza.
Il prossimo incontro sarà con la popolazione del villaggio di Al Masaara…
Yallah
Shebab del summer camp
Yallah
Shebab del summer camp
Fonte:
Nessun commento:
Posta un commento