Nella serata di ieri è stato attaccato
ad Ankara un edificio della polizia turca. Due razzi sono partiti contro
un palazzo adibito a sale per riunioni di polizia, causando alcuni
danni materiali e nessun ferito. Ci sono volute pochissime ore per
permettere alle forze di polizia turca di implementare una
militarizzazione dell'area e effettuare una vera e propria caccia
all'uomo, mentre si rincorrevano le voci di due persone che sono state
viste allontanarsi di corsa nei pressi dell'edificio colpito.
Posti
di blocco, unità cinofile e quant'altro, per cercare una vendetta e una
punizione esemplare, mentre le varie agenzie di stampa battevano la
notizia tirando in causa (ancor
prima di conoscere l'identità dei due “sospettati”) un gruppo di
sinistra -Dhkp-C – come l'autore dell'attacco. L'inseguimento nelle vie
limitrofe da parte della polizia ha provocato la morte di uno dei due e
il ferimento dell'altro.
Il pugno
duro delle forze dell'ordine ha forse avuto l'effetto cercato ma
l'uccisione di una persona sospettata si riconferma la prassi e la
regola della gestione
di vicende di questo tipo o simili. In un Paese come la Turchia, che
sebbene non ci stupisce per la recrudescenza in campo repressivo, morire
dopo un inseguimento da parte della polizia sembra non fare scalpore,
mentre nelle strade, al di là dell'episodio isolato dell'attacco ai
locali della polizia, continua a crescere un dissenso e un malessere
sociale nei confronti del governo.
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