GIOVANNI
ARICO', ANGELO CASILE, LUIGI LO CELSO, FRANCO SCORDO, ANNELISE BORTH
Maria Itri
È la notte
del 26 settembre 1970; quattro ragazzi anarchici di origine calabrese, e
una giovanissima tedesca, muoiono in un incidente stradale alle porte di Roma.
Erano partiti poche ore prima da Vibo Valentia ed erano diretti verso la
capitale: scopo del viaggio, partecipare ad una manifestazione contro la visita
del presidente americano Nixon, ma non solo. Ad attenderli a Roma ci sono anche
alcuni compagni anarchici e l'avvocato Edoardo Di Giovanni, al quale i cinque
devono consegnare alcuni documenti.
Sono mesi cruciali per il Paese: i ragazzi muoiono in un'Italia che, appena nove mesi prima, ha conosciuto l'orrore di piazza Fontana, dopo un'intensa stagione di scontri sociali; muoiono in un paese confuso, mentre il "mostro" Valpreda è ancora in carcere e in altre stanze pare si stia preparando- di lì a poco- un colpo di stato. Due mesi prima, a Gioia Tauro, il deragliamento di un treno aveva provocato la morte di sei persone. Le prime indagini, frettolose e farraginose, avevano stabilito che si trattava solo di un incidente ma le cose in realtà erano molto diverse. Gli anarchici reggini avevano lavorato a lungo sulla vicenda, scoprendo un intreccio tra destra eversiva e 'ndrangheta, e il loro collegamento aveva portato dritto a Junio Valerio Borghese, il principe nero. La verità sulla strage di Gioia Tauro, per i tribunali, arriverà solo nel 2001, quando la Corte d'Assise di Palmi, dopo le rivelazioni del pentito Giacomo Ubaldo Lauro, stabilirà che la tesi dei cinque anarchici era corretta, e che la tragedia non era da imputare ad una fatalità, ma all'esplosivo che era stato collocato sui binari prima del passaggio del treno. Mandanti ed esecutori, però, restano ignoti o sono morti, e la giustizia italiana deve fermarsi qui.
Si fermano invece a Ferentino [...] anche i documenti dei ragazzi, quando la loro Mini si incastra sotto al rimorchio di un autotreno. Incidente, come sostiene la procura di Frosinone, o omicidio, come ripetono i compagni e le famiglie? "In Italia va di moda l'incidente" scriveva Camilla Cederna raccontando come nei mesi successivi la strage di piazza Fontana numerosi testimoni o persone in qualche modo legate alla vicenda avevano perso la vita in misteriosi scontri d'auto. Nella storia dei cinque ragazzi le prime coincidenze riguardano la figura di Borghese, che appare in maniera inquietante sullo sfondo in più occasioni. I fratelli Aniello , alla guida del Tir contro il quale impatta l'auto,risultano essere suoi dipendenti; in secondo luogo l'incidente avviene in vista del castello di Artena, di proprietà del principe Borghese. Nello stesso punto, otto anni prima, era morta in un incidente d'auto la moglie del comandante della Decima Mas, la nobile russa Daria Osluscieff, e nella stessa occasione era rimasto ucciso Ferruccio Troiani, il giornalista che l'accompagnava: stesso incidente d'auto nello stesso punto. Ancora più inquietanti appaiono però le dichiarazioni del pentito Giuseppe Albanese: "L'avvocato Barbalace di Pizzo Calabro, durante la comune detenzione nel carcere di Lecce, ebbe a confidarmi che i giovani anarchici erano stati uccisi da una squadra che era alle dipendenze del principe Borghese. Aggiunse che quello stesso sistema era stato utilizzato per eliminare una parente scomoda dello stesso Borghese". E ancora, i rapporti dell'incidente della polizia stradale sono firmati da Crescenzio Mezzana, che pochi mesi più tardi si precipiterà a Roma per partecipare al fallito golpe. Dieci giorni prima dell'incidente di Ferentino, inoltre, viene ucciso a Palermo il giornalista Mauro De Mauro, marò della X Mas; tra le molte ipotesi sulla sua scomparsa c'è chi ha sostenuto che fosse a conoscenza delle collusioni tra la mafia siciliana e i piani di realizzazione del colpo di stato diretto da Borghese. Dalla tessera ferroviaria di Casile risulta che il ragazzo aveva compiuto nell'estate 1970 numerosi viaggi proprio a Palermo: è possibile che anche l'anarchico stesse seguendo una traccia simile a quella di De Mauro? Cosa stava accadendo a Palermo in quei mesi tanto da richiamare tutta questa attenzione? Infine, esiste un'informativa del controspionaggio su quello che è successo a Ferentino: il documento però, contro ogni logica, è compilata dal controspionaggio di Palermo, diretto nel settembre 1970 dal colonnello Bonaventura, braccio destro del generale Miceli, accusato di aver partecipato ad alcune riunioni a Roma come referente dei servizi deviati siciliani. Nel novembre 2001 Aldo Giannuli, consulente della commissione stragi, consegna una relazione al tribunale di Brescia: sostiene di avere identificato una nuova struttura clandestina parallela ai servizi segreti, attiva dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta, denominata come "Noto servizio". La struttura era stata fondata da un gruppo di ex repubblichini riuniti attorno alla figura di Junio Valerio Borghese, e può contare su un gruppetto di "specialisti" in grado di simulare incidenti stradali, eliminando così elementi scomodi. Oltre alla dinamica dell'incidente di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, risultano incomprensibili alcune questioni: perché alle famiglie non furono mai restituiti gli oggetti personali e le agende dei ragazzi? E perché agli amici fu impedito di visitare le salme e di vedere Annelise se non quando la ragazza entrò in uno stato di coma ormai irreversibile? E ancora, cosa c'era dentro il fascicolo intestato ai ragazzi scoperto in un deposito della via Appia dallo stesso Giannuli nell'estate del 1996, e trovato completamente vuoto? E poi ci sono le testimonianze, che raccontano di una misteriosa telefonata a casa Lo Celso la sera precedente l'incidente, nella quale un amico di famiglia che lavora nella polizia politica avverte il padre di Luigi di non far partire il figlio con gli altri ragazzi. E ancora, è esistito davvero questo dossier di controinformazione? Il 6 settembre, tre settimane prima dell'incidente, Aricò telefona a Roma e comunica agli anarchici della federazione che la controinchiesta procede bene, e che una parte del materiale è stata spedita al compagno Veraldo Rossi, che non riceverà mai il plico. Lo stesso Aricò prende poi un appuntamento con l'avvocato Edoardo De Gennaro per il 27 settembre a Roma: non arriverà mai. Fra la fine di agosto e il mese di settembre, raccontano i compagni dei cinque, succedono strani episodi: rullini fotografici che scompaiono, minacce telefoniche, aggressioni. Nel 1993 il pentito Giacomo Ubaldo Lauro, nel corso dell'inchiesta Olimpia, torna a parlare di quella vecchia storia dimenticata. Racconta di come quella morte, in realtà, possa avere una spiegazione, parla di conversazioni a proposito dei presunti mandanti; voci, appunto, non sufficienti, però,a riaprire il caso. Ricorda Tonino Perna, il cugino di Aricò: "Ho sempre di fronte l'immagine di mio cugino che due giorni prima di partire l'ho visto scuro in viso, veramente terrorizzato. Credo che un paio di giorni prima di partire per Roma avevano capito di aver toccato un nervo vitale. Avevano paura".
Sono mesi cruciali per il Paese: i ragazzi muoiono in un'Italia che, appena nove mesi prima, ha conosciuto l'orrore di piazza Fontana, dopo un'intensa stagione di scontri sociali; muoiono in un paese confuso, mentre il "mostro" Valpreda è ancora in carcere e in altre stanze pare si stia preparando- di lì a poco- un colpo di stato. Due mesi prima, a Gioia Tauro, il deragliamento di un treno aveva provocato la morte di sei persone. Le prime indagini, frettolose e farraginose, avevano stabilito che si trattava solo di un incidente ma le cose in realtà erano molto diverse. Gli anarchici reggini avevano lavorato a lungo sulla vicenda, scoprendo un intreccio tra destra eversiva e 'ndrangheta, e il loro collegamento aveva portato dritto a Junio Valerio Borghese, il principe nero. La verità sulla strage di Gioia Tauro, per i tribunali, arriverà solo nel 2001, quando la Corte d'Assise di Palmi, dopo le rivelazioni del pentito Giacomo Ubaldo Lauro, stabilirà che la tesi dei cinque anarchici era corretta, e che la tragedia non era da imputare ad una fatalità, ma all'esplosivo che era stato collocato sui binari prima del passaggio del treno. Mandanti ed esecutori, però, restano ignoti o sono morti, e la giustizia italiana deve fermarsi qui.
Si fermano invece a Ferentino [...] anche i documenti dei ragazzi, quando la loro Mini si incastra sotto al rimorchio di un autotreno. Incidente, come sostiene la procura di Frosinone, o omicidio, come ripetono i compagni e le famiglie? "In Italia va di moda l'incidente" scriveva Camilla Cederna raccontando come nei mesi successivi la strage di piazza Fontana numerosi testimoni o persone in qualche modo legate alla vicenda avevano perso la vita in misteriosi scontri d'auto. Nella storia dei cinque ragazzi le prime coincidenze riguardano la figura di Borghese, che appare in maniera inquietante sullo sfondo in più occasioni. I fratelli Aniello , alla guida del Tir contro il quale impatta l'auto,risultano essere suoi dipendenti; in secondo luogo l'incidente avviene in vista del castello di Artena, di proprietà del principe Borghese. Nello stesso punto, otto anni prima, era morta in un incidente d'auto la moglie del comandante della Decima Mas, la nobile russa Daria Osluscieff, e nella stessa occasione era rimasto ucciso Ferruccio Troiani, il giornalista che l'accompagnava: stesso incidente d'auto nello stesso punto. Ancora più inquietanti appaiono però le dichiarazioni del pentito Giuseppe Albanese: "L'avvocato Barbalace di Pizzo Calabro, durante la comune detenzione nel carcere di Lecce, ebbe a confidarmi che i giovani anarchici erano stati uccisi da una squadra che era alle dipendenze del principe Borghese. Aggiunse che quello stesso sistema era stato utilizzato per eliminare una parente scomoda dello stesso Borghese". E ancora, i rapporti dell'incidente della polizia stradale sono firmati da Crescenzio Mezzana, che pochi mesi più tardi si precipiterà a Roma per partecipare al fallito golpe. Dieci giorni prima dell'incidente di Ferentino, inoltre, viene ucciso a Palermo il giornalista Mauro De Mauro, marò della X Mas; tra le molte ipotesi sulla sua scomparsa c'è chi ha sostenuto che fosse a conoscenza delle collusioni tra la mafia siciliana e i piani di realizzazione del colpo di stato diretto da Borghese. Dalla tessera ferroviaria di Casile risulta che il ragazzo aveva compiuto nell'estate 1970 numerosi viaggi proprio a Palermo: è possibile che anche l'anarchico stesse seguendo una traccia simile a quella di De Mauro? Cosa stava accadendo a Palermo in quei mesi tanto da richiamare tutta questa attenzione? Infine, esiste un'informativa del controspionaggio su quello che è successo a Ferentino: il documento però, contro ogni logica, è compilata dal controspionaggio di Palermo, diretto nel settembre 1970 dal colonnello Bonaventura, braccio destro del generale Miceli, accusato di aver partecipato ad alcune riunioni a Roma come referente dei servizi deviati siciliani. Nel novembre 2001 Aldo Giannuli, consulente della commissione stragi, consegna una relazione al tribunale di Brescia: sostiene di avere identificato una nuova struttura clandestina parallela ai servizi segreti, attiva dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta, denominata come "Noto servizio". La struttura era stata fondata da un gruppo di ex repubblichini riuniti attorno alla figura di Junio Valerio Borghese, e può contare su un gruppetto di "specialisti" in grado di simulare incidenti stradali, eliminando così elementi scomodi. Oltre alla dinamica dell'incidente di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, risultano incomprensibili alcune questioni: perché alle famiglie non furono mai restituiti gli oggetti personali e le agende dei ragazzi? E perché agli amici fu impedito di visitare le salme e di vedere Annelise se non quando la ragazza entrò in uno stato di coma ormai irreversibile? E ancora, cosa c'era dentro il fascicolo intestato ai ragazzi scoperto in un deposito della via Appia dallo stesso Giannuli nell'estate del 1996, e trovato completamente vuoto? E poi ci sono le testimonianze, che raccontano di una misteriosa telefonata a casa Lo Celso la sera precedente l'incidente, nella quale un amico di famiglia che lavora nella polizia politica avverte il padre di Luigi di non far partire il figlio con gli altri ragazzi. E ancora, è esistito davvero questo dossier di controinformazione? Il 6 settembre, tre settimane prima dell'incidente, Aricò telefona a Roma e comunica agli anarchici della federazione che la controinchiesta procede bene, e che una parte del materiale è stata spedita al compagno Veraldo Rossi, che non riceverà mai il plico. Lo stesso Aricò prende poi un appuntamento con l'avvocato Edoardo De Gennaro per il 27 settembre a Roma: non arriverà mai. Fra la fine di agosto e il mese di settembre, raccontano i compagni dei cinque, succedono strani episodi: rullini fotografici che scompaiono, minacce telefoniche, aggressioni. Nel 1993 il pentito Giacomo Ubaldo Lauro, nel corso dell'inchiesta Olimpia, torna a parlare di quella vecchia storia dimenticata. Racconta di come quella morte, in realtà, possa avere una spiegazione, parla di conversazioni a proposito dei presunti mandanti; voci, appunto, non sufficienti, però,a riaprire il caso. Ricorda Tonino Perna, il cugino di Aricò: "Ho sempre di fronte l'immagine di mio cugino che due giorni prima di partire l'ho visto scuro in viso, veramente terrorizzato. Credo che un paio di giorni prima di partire per Roma avevano capito di aver toccato un nervo vitale. Avevano paura".
Fonte:
e soprattutto leggete e scaricatevi gratuitamente il libro di Fabio Cuzzola Cinque anarchici del Sud:
RispondiEliminahttp://greennotgreed.noblogs.org/post/2012/07/19/fabio-cuzzola-5-anarchici-del-sud/