JAN PALACH
16
gennaio 1969
di
Matteo Liberti
Il 16 gennaio del
1969, nel centro di Praga,
precisamente in piazza San Venceslao, un ragazzo si
cosparse di benzina e si diede fuoco.
Si trattava di Jan Palach, uno studente di filosofia che divenne,
quel giorno, uno dei simboli più efficaci della
rivolta praghese freddamente soffocata dai carri
armati dell'Unione Sovietica.
Erano giornate di febbrile contestazione, con il paese
ormai prossimo all’inizio del sesto mese di
occupazione sovietica della Cecoslovacchia (21
agosto 1968).
L’invasione, volta a frenare le tendenze democratiche
del presidente del partito nazionale Alexander Dubcek
ed il suo socialismo dal volto umano, venne dai
russi spacciata come aiuto
fraterno.
Le
forze del Patto di Varsavia accorse in aiuto
contavano su circa 600.000 uomini (l'unico paese che
non inviò uomini fu la Romania).
Di fronte alla progressiva
occupazione, il numero degli esuli cecoslovacchi
iniziò a crescere velocemente, e con gli esuli
cresceva anche la rassegnazione di fronte al gesto di
forza e di prepotenza dell’ URSS.
In tutto il
paese le molte proteste erano finite soffocate nella
violenza e molti morirono negli scontri con le truppe.
Il 17 aprile, tre mesi dopo il rogo, Dubcek verrà
allontanato completamente dalla sua carica e
sostituito dal più malleabile Husak.
Il gesto di Jan Palach era indirizzato esattamente
contro questa situazione ormai divenuta stagnante.
Non fu neppure una sbagliata rinuncia a quel dono di
Dio che è la vita,
ebbe a dire il Vaticano.
Jan Palach portava con se una lettera, che non volle
bruciasse con lui.
Venne letta subito dopo la sua morte.
"Poiché i nostri popoli sono sull'orlo della
disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di
esprimere la nostra protesta e di scuotere la
coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da
volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa.
Poiché ho avuto l'onore di estrarre il numero 1, è mio
diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima
torcia umana.
Noi esigiamo l'abolizione della censura e la
proibizione di Zprav (giornale delle forze di
occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non
saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio
1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno
sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero
generale e illimitato, una nuova torcia s'infiammerà".
Firmato: la torcia numero uno.
Altri s'immolarono come lui, almeno sette in
Cecoslovacchia, ma, colpa anche della censura, le
notizie che si ebbero furono assai scarse. Si sa però
che... Jan Palach aveva compiuto parte dei suoi studi
universitari direttamente in Unione Sovietica e
probabile argomento della sua tesi di laurea sarebbe
stato Karl Marx e la terza internazionale.
Il
gruppo politico cui apparteneva, seppur clandestino,
non era affatto un gruppo anticomunista. Il suo
intento non era il ritiro delle truppe, piuttosto la
fine immediata della censura sulla stampa...
La
sua tomba divenne presto una meta di manifestazioni
silenziose contro gli abusi del regime comunista.
Preoccupate per questi ripetuti episodi, le autorità
decisero così, nel 1973, di traslare i resti di Palach
a Vsetaty, a pochi chilometri dal suo luogo di
nascita.
Dal mese di ottobre del 1990 le sue ceneri si trovano
nel cimitero di Olsany, a Praga.
Riferimenti
bibliografici:
Giancarlo
Giordano, Storia della politica internazionale,
1870-1992, Franco angeli, 1994
Storia
universale dei popoli e delle civiltà, l'età
contemporanea, UTET
www.cronologia.it/storia/a1969g.htm
Fonte:
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