3 agosto 2013 at 09:35
Nella notte di venerdì 19 luglio, centinaia di uomini e donne No Tav
cercano di avvicinarsi alle recinzioni che espropriano una parte della
Val Susa: terra di boschi e lavande, terra che dovrebbe dare frutti,
terra che uomini e donne hanno vissuto e rispettato. Terra di lotte partigiane, sentieri che hanno visto combattere, e
vincere, contro i nazisti. Ma quella terra ora è deserto, ruspe che
scavano e abbattono, recinti e check point, gas che avvelenano, con le
popolazioni civili, i loro campi e le loro vigne.
Una terra strappata al presente in nome di un “progresso” che avvelena le vite delle donne e degli uomini, impegnato a distruggere i valori e la dignità delle comunità. Un salto indietro nella storia.
Venerdì 19 luglio uomini e donne No Tav si avvicinano nel buio per
battere sulle reti e gridare: “mia nonna partigiana me l’ha insegnato,
tagliare le reti non è reato”.
Qualcosa è accaduto, venerdì notte, in Val Susa. Centinaia di agenti,
esercito armato e attrezzato per la guerra, hanno assalito quegli
uomini e quelle donne armati di torce e limoni e bottiglie d’acqua.
Hanno chiuso loro ogni via d’uscita e, novella Diaz, hanno operato una
mattanza. I più giovani, come testimoniano gli anziani della valle,
hanno cercato di proteggere una via d’uscita ai più deboli,
consentendoli di arrampicarsi sulla montagna, fuori dai sentieri chiusi
dalle “forze dell’ordine”. Hanno pagato un prezzo altissimo, 63 feriti, 2
fermati, 7 arrestati.
Una nostra amica, Marta, 33 anni, pisana, viene fermata, colpita alle
spalle durante la fuga. La sua testimonianza racconta le manganellate
alla schiena mentre è schiacciata per terra dagli scarponi di agenti di
cui non riesce neanche a vedere il volto. La notte è satura di gas e lei
non è protetta da maschere, a differenza degli agenti. La trascinano in
due, uno le stringe il collo, dell’altro restano sul suo braccio le
impronte livide della stretta. La trascinano mentre altri intervengono.
Uno alza il manganello e le spacca la bocca (6 punti esterni, 2
interni), altri le palpeggiano il seno e il pube. E’ un coro di insulti,
un gridare “puttana”. Sanguinante la portano dentro il cantiere, gli
insulti e gli sputi continuano, ci sono i magistrati e anche una donna
poliziotto che non porta conforto ma altri sputi e insulti e molestie
verbali.
Un medico di polizia raccomanda il ricovero immediato in Pronto
Soccorso. Passeranno quattro ore. Quattro ore di sangue sul volto e
sputi e insulti al suo essere donna.
Dal Pronto Soccorso la rilasceranno indagata a piede libero. Non è il caso di farla vedere a un giudice.
Ma la Diaz di Marta non è finita. Non è bastato il pestaggio, non
sono bastate le violazioni al suo corpo di donna, non sono stati
sufficiente “lezione” gli insulti e gli sputi e il ritardo nei soccorsi.
Marta non è stata zitta. Ha alzato la faccia ferita, è andata davanti alla stampa e ha osato raccontare.
Lei, l’unica dei fermati di quella notte d’inferno che poteva parlare.
E allora la caccia alle streghe riparte. Come donne conosciamo i toni
e i modi e la violenza profonda di chi ti umilia e viola e insulta
un’altra volta. Ed ecco spuntare l’UGL, sindacato di destra, a chiedere
per Marta punizioni esemplari. Ed ecco un senatore della Repubblica,
Stefano Esposito, Partito Democratico, divertirsi a twittare che Marta è
bugiarda, che le manganellate giuste che ha preso se l’è cercate con la
sua “guerra allo Stato” e che certo nessuna molestia c’è stata. Una
follia di machismo, una banale arcaica prepotenza sulle donne umiliate e
su Marta violata che si permette ancora di ribadire, dalle frequenze di
una radio nazionale.
Come donne non possiamo tacere. Non possiamo tollerare che la terra,
gli uomini e le donne continuino ad essere violati. Non possiamo più
sopportare che la vita e i bisogni di tutte e di tutti siano travolti
dall’arroganza dei pochi che su questo possono lucrare. Un arroganza che
si crede onnipotente, che pensa di poter travolgere i corpi e le vite
delle donne e degli uomini, con la violenza delle armi, prima, con
quella degli insulti e della denigrazione e delle menzogne, poi.
Per Marta e i feriti della Val Susa esigiamo giustizia.
Per le donne violate esigiamo rispetto. Se il carnefice è pagato dallo Stato ne esigiamo di più.
Donne della Pisa No Tav
l’appello è in continuo aggiornamento, per firmarlo invia una mail a senonconmarta@gmail.com
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