Di Leandro
Perrotta | 1 settembre 2013
Sono passati
venticinque anni dalla morte del sociologo, politico e giornalista, ucciso il
26 settembre 1988 a poca distanza dalla comunità Saman da lui fondata. E che
per anni, in una delle ipotesi seguite per le indagini, è stata considerata
come implicata nel delitto. Prima di arrivare al processo attuale e alla pista
mafiosa. «Sono già 55 le udienze nel processo, che è complicatissimo e di cui nessuno
parla», spiega il giornalista Lillo Venezia, che ieri, in un convegno alla
Camera del lavoro di Catania, ha proposto la realizzazione di un centro di
documentazione su Mauro Rostagno e il processo in corso a Trapani.
Sociologo, politico, giornalista: definire le tante anime di Mauro Rostagno, di cui quest’anno ricorre il venticinquesimo anniversario dell’omicidio, non è mai stato semplice. Il convegno organizzato ieri alla Camera del lavoro di Catania, dal titolo Ciao Mauro, non fa molta eccezione alla regola. «Forse, la definizione migliore è questa: “Un comunista che lottava contro il padrone della Sicilia, la mafia”», spiega Lillo Venezia, giornalista, citando il collega Riccardo Orioles. Una lotta per la quale ha perso la vita, anche se non c’è ancora una verità processuale che dica perché Rostagno quel 26 settembre del 1988 fu ucciso a Lenzi di Valderice, a poca distanza dalla Saman, la comunità che aveva fondato a pochi chilometri da Trapani. «Il processo ha già avuto 55 udienze, è molto complesso e nessuno ne scrive. O spesso lo fa usando provocazioni giornalistiche», ricorda Venezia. Che propone la costituzione di un centro di documentazione, che raccolga innanzitutto gli atti del difficile processo in corso. Per fare «memoria» di quello che fu il personaggio Rostagno, che da Torino arrivò in Sicilia, scegliendo «una dimensione locale, dopo essere stato al centro degli avvenimenti del ’68 in Italia», ricorda il professore di Storia contemporanea Luciano Granozzi.
Per
l’omicidio di Rostagno, tra i fondatori del movimento Lotta Continua,
sono state negli anni fatte varie ipotesi: ucciso dalla mafia, o per gli
intrecci tra questa e la massoneria e la politica di una Trapani che,
afferma Graziella Porto, direttrice del mensile Casablanca, «era una
città dove la mafia non esisteva». Negli anni la procura di Trapani ha seguito
due piste, che hanno avuto grande spazio sui giornali, a differenza del
processo attuale che segue la pista mafiosa. La prima rimanderebbe all’omicidio
Calabresi, seguendo un filo logico che parte dalla sua storia nella
sinistra extraparlamentare. La seconda rimanderebbe addirittura a una pista
interna alla sua comunità Saman. «L’esperienza di Rostagno diede grande
valore alla controinformazione e al giornalismo di inchiesta. Oggi purtroppo
non possiamo dimenticare che un giornalista come Marco Travaglio,
considerato dai giovani un maestro del genere, è tra i maggiori sostenitori
della pista interna», conclude Granozzi.
«Molte leggende
metropolitane vengono portate avanti ancora sulla morte di Rostagno»,
conferma Paolo Brogi, giornalista anche lui in gioventù a Lotta
Continua. Ma quelle che sono notizie e fatti realmente emersi dal processo, non
hanno avuto altrettanto successo sui media. «Il cadavere di Don Ciccio
Messina Denaro, padre di Matteo che ordinò di uccidere Rostagno, fu
trovato nei terreni dei D’Alì – racconta Brogi – Qualche mese fa il
ministro della Giustizia Annamaria Cancelleri andò a Trapani a
firmare un protocollo antimafia proprio a braccetto con il senatore Antonio
D’Alì. Se avesse letto qualcosa del processo in corso non lo avrebbe
fatto», ricorda Brogi. Che spende anche parole di stima nei confronti di Rino
Giacalone,
«l’unico giornalista che segue con costanza il processo, che è stato costretto a lasciare
il suo posto nel quotidiano catanese e ora fa il collaboratore per il Fatto
quotidiano», conclude Brogi, senza dire esplicitamente il nome del
quotidiano La Sicilia.
Per Nadia Furnari, dell’associazione antimafie Rita Atria, «se
i giornalisti facessero il loro lavoro, se i giornali facessero informazione,
le parole di Rostagno citate avrebbero un senso, per fare memoria». E ricorda
le posizioni antimilitariste di Rostagno, in particolare sulla base Nato
di Sigonella, e come oggi non ci sia nulla di diverso con la lotta contro il Muos.
Per lo scrittore Ottavio Cappellani, invece, il fatto che non si parli
del processo Rostagno sui giornali è dovuto alle emergenze della cronaca su
altri fatti di mafia, «come la trattativa Stato-mafia». Ma il motivo principale
sarebbe che «il processo Rostagno è un fallimento della magistratura
che non si può mostrare».
Daniele Lo Porto, segretario provinciale di Assostampa,
annuncia che «l’associazione di categoria cercherà di dare supporto al centro
di documentazione, ma non materiale, solo morale». Sara Fagone,
della Cgil, nel portare i saluti del sindacato ai presenti conclude il suo
intervento con una considerazione di carattere generale. «Non esistono eroi,
solo persone che fanno bene e fino in fondo il proprio dovere». E così fu per
il sociologo politico Mauro Rostagno, giornalista con uno stile unico nella sua
radio tele Cine. «Tutta Trapani, arrivati alle due del
pomeriggio, si fermava per guardare il suo telegiornale», ricorda Brogi.
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