28/12/2008
Di Vittorio Arrigoni
Il mio articolo su Il Manifesto di oggi:
Il
mio appartamento di Gaza dà sul mare, una vista panoramica che mi ha
sempre riconciliato il morale, spesso affranto da tanta miseria a cui è
costretta una vita sotto l’assedio.
Prima di stamane. Quando dalla mia finestra si è affacciato l’inferno.
Ci siamo svegliati sotto le bombe stamane a Gaza, e molte sono cadute a poche centinaia di metri da casa mia.
E amici miei, ci sono rimasti sotto.
Siamo
a 210 morti accertati finora, ma il bilancio è destinato
drammaticamente a crescere. Una strage senza precedenti. Hanno spianato
il porto, dinnanzi a casa mia, e raso al suolo le centrali di polizia.
Mi
riferiscono che i media occidentali hanno digerito e ripetono a
memoria i comunicati diramati dai militari israeliani secondo i
quali gli attacchi avrebbero colpito chirurgicamente solo le basi
terroristiche di Hamas.
In
realtà visitando l’ospedale di Al Shifa, il principale della città,
abbiamo visto nel caos d’inferno di corpi stesi sul cortile, alcuni in
attesa di cure, la maggior parte di degna sepoltura, decine di civili.
Avete presente Gaza?
Ogni
casa è arroccata sull’altra, ogni edificio è posato sull’altro, Gaza è
il posto al mondo a più alta densità abitativa, per cui se bombardi a
diecimila metri di altezza è inevitabile che compi una strage di civili.
Ne sei coscente, e colpevole, non si tratta di errore, di danni
collaterali.
Bombardando la centrale di polizia di Al Abbas, nel centro,
è rimasta seriamente coinvolta nelle esplosioni la scuola elementare lì a fianco.
Era la fine delle lezioni, i bambini erano già in strada, decine di grembiulini azzurri svolazzanti si sono macchiati di sangue.
Bombardando la scuola di polizia Dair Al Balah, si sono registrati
morti e feriti nel mercato lì vicino, il mercato centrale di Gaza.
Abbiamo visto corpi di animali e di uomini mescolare il loro sangue in
rivoli che scorrevano lungo l’asfalto. Una Guernica trasfigurata nella
realtà.
Ho
visto molti cadaveri in divisa nei vari ospedali che ho visitato, molti
di quei ragazzi li conoscevo. Li salutavo tutti i giorni quando li
incontravo sulla strada recandomi al porto, o la sera camminando verso i
caffè del centro.
Diversi li conoscevo per nome. Un nome, una storia, una famiglia mutilata.
La
maggior parte erano giovani, sui diciotto vent’anni, per lo più non
politicamente schierati nè con Fatah nè con Hamas, ma che semplicemente
si erano arruolati nella polizia, finita l’università, per aver
assicurato un posto di lavoro in una Gaza che, sotto il
criminale assedio israeliano, vede più del 60% della popolazione
disoccupata.
Mi
disinteresso della propaganda, lascio parlare i miei occhi, le mie
orecchie tese dallo stridulo delle sirene e dai boati del tritolo.
Non ho visto terroristi fra le vittime di quest’oggi, ma solo civili, e poliziotti.
Esattamente
come i nostri poliziotti di quartiere, i poliziotti palestinesi
massacrati dai bombardamenti israeliani se ne stavano tutti i giorni
dell’anno a presidiare la stessa piazza, lo stesso incrocio, la stessa
strada.
Solo ieri notte li prendevo in giro per come erano imbacuccati per ripararsi dal freddo, dinnanzi a casa mia.
Vorrei che almeno la verità donasse giustizia a queste morti.
Non
hanno mai sparato un colpo verso Israele, nè mai lo avrebbero fatto,
non è nella loro mansione. Si occupavano di dirigere il traffico, e
della sicurezza interna, tanto più che al porto siamo ben distanti dai
confini israeliani.
Ho una videocamera con me, ma ho scoperto oggi di essere un pessimo cameraman,
non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime.
Non ce la faccio. Non riesco perché piango anche io.
All’ospedale
AL Shifa con gli altri internazionali dell’ISM ci siamo recati a
donare il sangue. E lì abbiamo ricevuto la telefonata: Sara, una nostra
cara amica è rimasta uccisa da un frammento di esplosivo mentre si
trovava vicino alla sua abitazione nel campo profughi di Jabalia. Una
persona dolce, un’anima solare, era uscita per comprare il pane per la
sua famiglia. Lascia 13 figli.
Poco fa invece mi ha chiamato da Cipro Tofiq.
Tofiq
è uno dei fortunati studenti palestinesi che grazie alle nostre barche
del Free Gaza Movement è riuscito a lasciare l’immensa prigionia di Gaza
e ricominciare altrove una vita nuova. Mi ha chiesto se ero andato a
trovare suo zio e se l’avevo salutato da parte sua, come gli avevo
promesso.Titubante mi sono scusato perchè non avevo ancora trovato il
tempo.
Troppo tardi, è rimasto sotto le macerie del porto insieme a tanti altri.
Da
Israele giunge la terribile minaccia che questo è solo il primo giorno
di una campagna di bombardamenti che potrebbe protrarsi per due
settimane.
Faranno il deserto,
e lo chiameranno pace.
Il
silenzio del “mondo civile” è molto più assordante delle esplosioni che
ricoprono la città come un sudario di terrore e morte.
Vik in Gaza
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