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Donatella Quattrone


lunedì 28 gennaio 2013

GLI STUPRI DI PIAZZA TAHRIR

  • 28 gennaio 2013
  • 16.08
Durante le proteste contro il presidente Morsi al Cairo, il 27 gennaio. (Mohamed Abd El Ghany, Reuters/Contrasto)

I violenti scontri in Egitto degli ultimi cinque giorni hanno portato a un aumento degli abusi sulle donne. Dopo i “test di verginità” sulle attiviste da parte dell’esercito nel 2011, almeno venticinque donne hanno subìto violenze sessuali nel corso delle proteste a piazza Tahrir, denunciano le organizzazioni per i diritti umani.
La dinamica è sempre la stessa: un gruppo di uomini circonda una donna e comincia a spogliarla e a palpeggiarla. La donna aggredita è poi abbandonata nuda per strada. Nei casi più gravi ha subìto uno stupro o è stata ferita con armi da taglio.
Per combattere questa pratica gli attivisti si sono organizzati in gruppi per fornire alle vittime assistenza medica, legale e psicologica. Uno di questi è l’Operation anti-sexual harassment, che il 25 gennaio ha registrato diciannove casi di violenze in cui le donne erano state spogliate e violentate in pubblico. “È stata una delle peggiori giornate di cui siamo testimoni”, ha detto al Guardian Leil-Zahra Mortada, portavoce dell’organizzazione.
“Tra gli attivisti ci sono donne che in passato hanno subìto violenze. Pur conoscendo il pericolo a cui vanno incontro, si mettono lo stesso a disposizione”, scrive Tom Dale del sito Egypt Independent, che ha assisto personalmente a un attacco durante le manifestazioni di venerdì.
“Stavo camminando in un’area della piazza dove di solito viene posizionato il palcoscenico e, trenta metri più avanti, ho visto formarsi un crocicchio di persone con al centro una donna che urlava. Ho cercato di avvicinarmi. Quando l’ho vista era completamente nuda e terrorizzata. Era difficile avvicinarsi perché molti di quelli che dicevano di volerla aiutare erano in realtà i suoi aggressori”, racconta il giornalista.
Il racconto di Dale è simile a quello che una vittima ha scritto per il sito del gruppo femminista Nazra ed esperienze simili sono state raccolte su Twitter da @TahrirBodyguard, un’altra organizzazione in difesa delle donne.
“Mi vergogno per l’Egitto, il paese in cui vivo da ormai dieci anni”, scrive Ursula Lindsey sul blog The Arabist. “Questi atti dobbiamo chiamarli per quello che sono: stupri di gruppo. Non corrispondono alla mia esperienza dell’Egitto, dove le continue molestie e la misoginia sono sempre state bilanciate da una sensazione generale di sicurezza”.
Non è chiaro chi siano i responsabili delle violenze sessuali, ma secondo Operation anti-sexual harassment, sono commesse da chi si oppone alle proteste. “Si tratta di attacchi organizzati perché capitano sempre negli stessi angoli di piazza Tahrir e seguono lo stesso schema”, sostiene Mortada.
Secondo un rapporto del 2008 redatto dall’Egyptian centre for women’s rights, l’83 per cento delle egiziane ha subìto molestie sessuali. Il problema è reso più grave dal fatto che i colpevoli raramente sono puniti.
“Non possiamo più accettare che succeda”, dichiara un esponente di Tahrir Bodyguard, secondo cui gli attacchi derivano da una cultura maschilista dominante: “Dobbiamo affrontare il problema non solo al Cairo, ma in tutto l’Egitto”.


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