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Donatella Quattrone


mercoledì 12 giugno 2013

TURCHIA: "LA NOSTRA RIVOLUZIONE RESTA PACIFICA, ORA TOCCA ALLA COMUNITA' INTERNAZIONALE"

Ankara, 12 giugno. A parlare è una manifestante che non ha mai abbandonato la strada, "perché quello che sta accadendo è semplicemente straordinario".




di Marcello Canepa



Ad Ankara stiamo vivendo qualcosa di straordinario. Nei miei primi 10 giorni trascorsi in strada, ho assistito ad alcune scene che mai potrò dimenticare. Al solo pensiero della violenza usata dalla polizia, le labbra cominciano a bruciare e gli occhi a lacrimare. Vedere una signora anziana aprire la porta di casa per far entrare perfetti sconosciuti per salvarli dalla polizia, è qualcosa di singolare che non saprei come spiegare ad un estraneo. Episodi come questi sono ormai all'ordine del giorno ma nonostante gli appelli, e in barba alla nostra richiesta di libertà, la risposta è sempre negativa.

"What is happening here, is not democracy anymore".



Quali i punti strategici della rivoluzione?


Oggi la partita si gioca tra piazza Kizilay e Kugulu Park. Il primo si trova nel centro della città, mentre il secondo è immerso nel quartiere delle ambasciate. Questi i punti focali delle prime due settimane di risveglio civile.


Kizilay raccoglie fino a 10.000 persone, ma è un arma a doppio taglio perché, se è vero che da una parte la sua posizione permette a noi di essere al centro dell'attenzione, è anche vero che le quattro strade che confluiscono nella piazza la rendono facile bersaglio per gli attacchi della polizia.


A Kugulu Park, così come a Gezi Park a Istanbul, i ragazzi hanno provato a creare una "città nella città", ma la polizia è rapidamente intervenuta con lacrimogeni, cannoni ad acqua e manganelli.




Chi si cela dietro le maschere antigas?


In questi giorni abbiamo sentito parlare della presenza di Black Bloc, di infiltrazione di reparti speciali della polizia tra i manifestanti.


Quello di cui sono sicura è che, a parte possibili casi sporadici, ad indossare le protezioni contro il gas sono persone comuni stanche della politica dittatoriale messa in atto dal governo.


Dietro alle maschere si celano persone normali, stanche delle continue privazioni, stanche di non veder riconosciuti i propri diritti, stanche di assistere alla svendita del paese. Ho avuto modo di sedere vicino ad avvocati, di dividere un panino con uno studente di ingegneria, di aiutare una signora colpita da un getto d'acqua e di prestare aiuto ad alcuni dottori oberati di lavoro.


La cosa brutta è che i media nazionali, salvo sporadici casi, sono ancora impegnati a supportare le tesi di Erdoğan ed è toccato ai social network rivelare il vero volto della rivolta. Non più tardi di due giorni fa il premier ha duramente attaccato Twitter definendolo 'una cancrena nelle mani dei manifestanti'.



Un poliziotto ha sparato ad un manifestante. Quale è stata la reazione della piazza?


Personalmente ho avuto paura. É successo tutto così velocemente che ho avuto bisogno di alcuni secondi per capire cosa fosse successo. Nella confusione totale qualcuno inveiva contro la polizia, altri cercavano di chiamare un ambulanza ed altri ancora hanno chiesto ai poliziotti stessi di lasciare le armi e aiutare il ragazzo.


In pochissimi attimi si è creato un gruppo di persone che lo ha portato al sicuro dai tafferugli, in attesa dei medici. Anche la polizia ha fatto un passo indietro... probabilmente stordita e impaurita per l'accaduto.


Nonostante l'episodio, la nostra linea rimane quella della protesta pacifica e non cederemo alla rabbia la costruzione del nostro futuro.



Domenica Erdoğan è rientrato in Turchia. 


Innanzitutto vorrei sottolineare quanto il viaggio di Erdoğan in Africa fosse inutile e fuori luogo. La tensione era già alle stelle e ad Istanbul si erano già verificati i primi tafferugli.


La notizia della sua partenza è stata presa come l'ennesima riprova del suo 'assenteismo' democratico nel confronto con i suoi cittadini ed elettori.


Non si è mai esposto fisicamente e le uniche 'uscite' pubbliche sono state a mezzo stampa dal Marocco, dalla Tunisia e dall'aeroporto di Ankara gremito di supporter a pagamento.


Da tre giorni inoltre sta cercando di aumentare la tensione, spingendo i suoi sostenitori allo scontro. Poco fa ho visto alcuni suoi supporter muniti di coltelli e bastoni schierarsi al fianco della polizia contro il popolo della rivoluzione.



Ieri lo smantellamento di Gezi Park. E ora?


Ad essere sincera non so come questo possa cambiare qualcosa qui ad Ankara o altrove in Turchia. Quello che sta succedendo è un evento inaspettato e insperato.


Gezi Park ha avuto la forza di unire persone con differenti visioni politiche, religioni o credenze, compattandole verso un obiettivo comune.


Come dicevo, credo che quanto successo ieri ad Istanbul non abbia il potere di cambiare le carte in tavola perché oggi le persone hanno aperto gli occhi e non sono più disposte a credere alle bugie di Erdoğan.


Sicuramente adesso ci aspettano le ore più difficili e il rischio che gli scontri si inaspriscano è molto alto. Dall'altra parte la risposta armata del premier sta creando dei malcontenti a livello internazionale e spero che questo possa essere l'elemento risolutivo degli scontri.



Fino a quando sei disposta a rimanere in strada?


Alla fine di maggio ho deciso di cavalcare l'onda e ho intenzione di arrivare fino alla fine. Da parte mia credo che le sorti di questo paese, oggi più che mai, siano nelle mani di un premier ignorante, classista e devoto solo ai soldi.


Sono fermamente convinta sia arrivato il momento di esprimere tutto il nostro sdegno e il nostro malcontento, costi quel che costi.




12 giugno 2013

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