Il procuratore di Sanremo ammette: «Di questa morte lo Stato deve farsi
carico. Si tratterà di un brutto processo". Tre indagati [Checchino
Antonini]
martedì 6 agosto 2013 21:09
Bohli Kayes in una foto scattata durante una festa per gli europei di calcio
di Checchino Antonini
"Arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica". Non riusciva a respiare, Bohli Kayes, il tunisino morto la sera del 5 giugno scorso in seguito ad un arresto particolarmente concitato - per spaccio di droga - da parte dei carabinieri di Santo Stefano al Mare, poco distante da Sanremo. Un caso Aldrovandi, un altro caso Rasman, l'ennesimo fatto di malapolizia in questo Paese. «C'è una grossa responsabilità - dice stavolta un Procuratore - da parte dell'Istituzione dello Stato. Al di là di quello che il soggetto ha commesso la vita è sacra ed è una morte di cui lo Stato deve farsi carico e deve chiedere scusa alla famiglia. C'è qualcuno che è responsabile di aver impedito a Bohli Kayes di respirare».
Era la sera del 5 giugno scorso a Riva ligure, il 36enne, dopo essere stato bloccato dai militari mentre spacciava nel piazzale davanti a un supermercato, ha cercato di fuggire e, una volta preso, di liberarsi ad ogni costo, anche scalciando: a questo punto, durante la colluttazione i carabinieri lo avrebbero schiacciato a terra per tenerlo fermo. Poi, una volta trasferito in caserma, il malore. Ma, escluso un infarto e l'assunzione di droga, sarebbe stato ucciso dallo schiacciamento meccanico che non lo avrebbe fatto respirare autonomamente.
I risultati dell'autopsia sono stati depositati ieri dai medici legali. «I risultati degli esami tossicologici hanno dato esito negativo - ha detto in conferenza stampa il Procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone - quindi si esclude che il ragazzo abbia assunto sostante stupefacenti. Da subito il medico del pronto soccorso della città dei fiori, dove Bohli Kayes è morto aveva escluso un infarto». Tutto è durato almeno un minuto o, al massimo, tre minuti tra il momento dell'arresto e il trasporto nella caserma, a 500 metri di distanza dal piazzale dell'arresto.
Ora ci sono tre carabinieri indagati per omicidio colposo e durante l'interrogatorio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Quanto prima un comunicato di qualche sindacato o di qualche esponente di centrodestra proverà ad inquinare l'aria di Sanremo. Per ora spicca l'onestà di un magistrato che ammette in pubblico, pochi istanti dopo aver letto la perizia, che «Di questa morte lo Stato deve farsi carico. Si tratterà di un brutto processo"».
Il corpo di Bohli Kayes mostrava escoriazioni alle mani, alle ginocchia e, un'ecchimosi all'altezza dello zigomo destro, dovuti all'arresto animato.
Pochi giorni dopo l'arresto, nel centro smistamento delle poste centrali di Genova, il 17 giugno, viene intercettata una busta contenente una lettera di minacce accompagnata da alcuni proiettili. E' indirizzata ad un carabiniere che ha partecipato all'arresto di Bohli. Verrà trasferito per motivi di sicurezza. Previsto il trasferimento anche per gli altri due colleghi indagati. La busta è al Ris di Parma per gli esami per rilevare eventuali tracce di Dna. Resta il giallo delle foto su facebook che sarebbero state postate dopo il pestaggio da un collega dei tre, forse sconvolto dalle modalità dell'operazione.
"Arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell'espansione della gabbia toracica". Non riusciva a respiare, Bohli Kayes, il tunisino morto la sera del 5 giugno scorso in seguito ad un arresto particolarmente concitato - per spaccio di droga - da parte dei carabinieri di Santo Stefano al Mare, poco distante da Sanremo. Un caso Aldrovandi, un altro caso Rasman, l'ennesimo fatto di malapolizia in questo Paese. «C'è una grossa responsabilità - dice stavolta un Procuratore - da parte dell'Istituzione dello Stato. Al di là di quello che il soggetto ha commesso la vita è sacra ed è una morte di cui lo Stato deve farsi carico e deve chiedere scusa alla famiglia. C'è qualcuno che è responsabile di aver impedito a Bohli Kayes di respirare».
Era la sera del 5 giugno scorso a Riva ligure, il 36enne, dopo essere stato bloccato dai militari mentre spacciava nel piazzale davanti a un supermercato, ha cercato di fuggire e, una volta preso, di liberarsi ad ogni costo, anche scalciando: a questo punto, durante la colluttazione i carabinieri lo avrebbero schiacciato a terra per tenerlo fermo. Poi, una volta trasferito in caserma, il malore. Ma, escluso un infarto e l'assunzione di droga, sarebbe stato ucciso dallo schiacciamento meccanico che non lo avrebbe fatto respirare autonomamente.
I risultati dell'autopsia sono stati depositati ieri dai medici legali. «I risultati degli esami tossicologici hanno dato esito negativo - ha detto in conferenza stampa il Procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone - quindi si esclude che il ragazzo abbia assunto sostante stupefacenti. Da subito il medico del pronto soccorso della città dei fiori, dove Bohli Kayes è morto aveva escluso un infarto». Tutto è durato almeno un minuto o, al massimo, tre minuti tra il momento dell'arresto e il trasporto nella caserma, a 500 metri di distanza dal piazzale dell'arresto.
Ora ci sono tre carabinieri indagati per omicidio colposo e durante l'interrogatorio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Quanto prima un comunicato di qualche sindacato o di qualche esponente di centrodestra proverà ad inquinare l'aria di Sanremo. Per ora spicca l'onestà di un magistrato che ammette in pubblico, pochi istanti dopo aver letto la perizia, che «Di questa morte lo Stato deve farsi carico. Si tratterà di un brutto processo"».
Il corpo di Bohli Kayes mostrava escoriazioni alle mani, alle ginocchia e, un'ecchimosi all'altezza dello zigomo destro, dovuti all'arresto animato.
Pochi giorni dopo l'arresto, nel centro smistamento delle poste centrali di Genova, il 17 giugno, viene intercettata una busta contenente una lettera di minacce accompagnata da alcuni proiettili. E' indirizzata ad un carabiniere che ha partecipato all'arresto di Bohli. Verrà trasferito per motivi di sicurezza. Previsto il trasferimento anche per gli altri due colleghi indagati. La busta è al Ris di Parma per gli esami per rilevare eventuali tracce di Dna. Resta il giallo delle foto su facebook che sarebbero state postate dopo il pestaggio da un collega dei tre, forse sconvolto dalle modalità dell'operazione.
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