La multinazionale Usa compra dal gigante alimentare Bunge, che acquista
canna da zucchero dalla terra rubata ai Guarani. Chi protesta rischia la
vita. [Massimo Lauria]
martedì 7 gennaio 2014 16:47
di Massimo Lauria
Coca Cola Company è di nuovo alla ribalta delle cronache per uno scandaloso caso di sfruttamento. La multinazionale delle bollicine più popolari del pianeta è accusata di comprare zucchero proveniente dalle terre sottratte alla tribù brasiliana dei Guarani, che chiedono alla compagnia statunitense di interrompere i propri affari con Bunge, vera protagonista della vicenda.
Bunge, il gigante alimentare americano dei cereali, è accusato da Survaival International - il movimento per i popoli indigeni - di sfruttare gli antichi territori Guarani per procurarsi canna da zucchero «macchiata di sangue indigeno». Allarme lanciato anche dalla comunità Jata Yvary, nello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul. «Coca Cola deve smettere di comprare zucchero dalla Bunge», ha detto un portavoce Guarani a Survival International.
«Mentre queste compagnie si arricchiscono, noi soffriamo la fame, la miseria e gli omicidi». Chi lotta per difendere il proprio diritto ad abitare lì, infatti, è oggetto di rappresaglie, fino ad all'assassinio. Il 3 dicembre scorso è toccato ad Ambrósio Vilhalva, leader della comunità Guyra Roká e protagonista, insieme a Claudio Santamaria del film di Marco Bechis Birdwatcher - La terra dei rossi, in cui viene raccontata la condizione della sua tribù.
Vilhalva ha lottato per oltre 10 anni contro gli allevatori che sfruttano quelle terre, inimicandosi tra gli altri anche José Teixeira, proprietario terriero e potente politico locale. «Ecco cosa vorrei più di ogni altra cosa - aveva detto Ambrósio Vilhalva nella sua ultima intervista -: terra e giustizia... Vivremo nella nostra terra ancestrale; non ci arrenderemo mai». Ma l'esasperazione della popolazione locale cresce al ritmo di un alto tasso di suicidi.
Il trentaquattro per cento in più della media nazionale brasiliana. Il resto dei morti è dovuto ai pesticidi tossici scaricati dagli aerei sui terreni da coltivare. «Gli allevatori hanno distrutto quasi tutta la nostra foresta, le nostre piante medicinali, i nostri frutti e le nostre risorse», ha denunciato Arlindo, leader della comunità di Jata Yvary. Senza contare che i Guarani sono costretti a vivere circondati dalle coltivazioni di canna da zucchero per le multinazionali.
In quella zona, infatti, si sviluppa da anni un florido mercato di biocarburanti. I produttori locali costringono le tribù indigene a vivere in un lembo di terra, per far spazio a corporation del calibro di Bunge, Shell o Cosan - le ultime due avevano creato Raízen, una joint venture per produrre i carburanti definiti ecologici-. Tutto questo sotto gli occhi complici del governo brasiliano, che in nome della crescita economica sacrifica gli ultimi scampoli di cultura locale.
Coca Cola Company è di nuovo alla ribalta delle cronache per uno scandaloso caso di sfruttamento. La multinazionale delle bollicine più popolari del pianeta è accusata di comprare zucchero proveniente dalle terre sottratte alla tribù brasiliana dei Guarani, che chiedono alla compagnia statunitense di interrompere i propri affari con Bunge, vera protagonista della vicenda.
Bunge, il gigante alimentare americano dei cereali, è accusato da Survaival International - il movimento per i popoli indigeni - di sfruttare gli antichi territori Guarani per procurarsi canna da zucchero «macchiata di sangue indigeno». Allarme lanciato anche dalla comunità Jata Yvary, nello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul. «Coca Cola deve smettere di comprare zucchero dalla Bunge», ha detto un portavoce Guarani a Survival International.
«Mentre queste compagnie si arricchiscono, noi soffriamo la fame, la miseria e gli omicidi». Chi lotta per difendere il proprio diritto ad abitare lì, infatti, è oggetto di rappresaglie, fino ad all'assassinio. Il 3 dicembre scorso è toccato ad Ambrósio Vilhalva, leader della comunità Guyra Roká e protagonista, insieme a Claudio Santamaria del film di Marco Bechis Birdwatcher - La terra dei rossi, in cui viene raccontata la condizione della sua tribù.
Vilhalva ha lottato per oltre 10 anni contro gli allevatori che sfruttano quelle terre, inimicandosi tra gli altri anche José Teixeira, proprietario terriero e potente politico locale. «Ecco cosa vorrei più di ogni altra cosa - aveva detto Ambrósio Vilhalva nella sua ultima intervista -: terra e giustizia... Vivremo nella nostra terra ancestrale; non ci arrenderemo mai». Ma l'esasperazione della popolazione locale cresce al ritmo di un alto tasso di suicidi.
Il trentaquattro per cento in più della media nazionale brasiliana. Il resto dei morti è dovuto ai pesticidi tossici scaricati dagli aerei sui terreni da coltivare. «Gli allevatori hanno distrutto quasi tutta la nostra foresta, le nostre piante medicinali, i nostri frutti e le nostre risorse», ha denunciato Arlindo, leader della comunità di Jata Yvary. Senza contare che i Guarani sono costretti a vivere circondati dalle coltivazioni di canna da zucchero per le multinazionali.
In quella zona, infatti, si sviluppa da anni un florido mercato di biocarburanti. I produttori locali costringono le tribù indigene a vivere in un lembo di terra, per far spazio a corporation del calibro di Bunge, Shell o Cosan - le ultime due avevano creato Raízen, una joint venture per produrre i carburanti definiti ecologici-. Tutto questo sotto gli occhi complici del governo brasiliano, che in nome della crescita economica sacrifica gli ultimi scampoli di cultura locale.
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