martedì, luglio 23, 2013
di Mauro Annarumma per Italians for Darfur ONLUS
Sette 'caschi blu' uccisi e altri 17 colpiti da armi da fuoco in un attacco a Khor Abeche, nel Darfur meridionale.
La capitale del Sud, Nyala, per quasi una settimana sotto assedio.
Sono solo gli ultimi episodi cruenti, da giugno ad oggi, registrati nella regione sudanese dove infuria un conflitto, a fasi alterne, da oltre dieci anni. Negozi dati alle fiamme, una ventina di vittime e oltre trenta feriti il bilancio degli scontri a fuoco e dei bombardamenti che hanno coinvolto le forze di sicurezza locali e la milizia dei janjaweed, i cosiddetti 'diavoli a cavallo' ritenuti responsabili dei massacri perpetrati dal 2003 in Darfur.
Per giorni la distribuzione degli alimenti di prima necessità, tra cui l'acqua, e dei medicinali da parte delle organizzazioni governative operanti sul territorio è stata sospesa a causa della morte di due operatori, rimasti uccisi in un attacco alla base che ospita gran parte dei cooperanti impegnati nella missione coordinata da Ocha, l'agenzia umanitaria delle Nazioni Unite.
In contemporanea si è aperto un ulteriore fronte di guerriglia in un'altra area strategica della regione, che ha spinto migliaia di civili in fuga dal Jebel Marra dove si sta consumando l'ennesimo combattimento tra i ribelli del Fronte Rivoluzionario del Sudan e le Forze Armate sudanesi.
Quasi 20mila sfollati avrebbero già lasciato la zona est del Darfur, che prende il nome dal massiccio montuoso che la sovrasta, bombardata, secondo fonti riportate da Radio Dabanga, dall'aviazione di Khartoum. I raid sono stati confermati anche dalla missione di pace congiunta dell'Onu e dell'Unione africana (Unamid) che ha riferito di aver raccolto notizie sui bombardamenti aerei dai civili in fuga. I peacekeeper stanziati a Khor Abeche, a sud della capitale del Darfur del Nord, ElFasher, hanno accolto gli sfollati nei campi di Al Saalam e Zam Zam che si sono aggiunti a coloro che erano stati registrati lo scorso aprile, fuggiti dagli scontri tra due tribù arabe nel distretto di Oum Dukhun, alla frontiera con il Ciad. Le violenze sono scoppiate quando un membro dei Messiriya ha ucciso un esponente dei Salamat, etnia con cui sono da sempre in contrasto. Quella che doveva essere una divergenza finita tragicamente tra due persone ha invece portato a conseguenze mortali per decine di esponenti di entrambe le fazioni.
Dall'inizio dell'anno ad oggi oltre 70mila persone sono fuggite dal Sudan occidentale riportando a oltre un milione e 700mila gli sfollati interni, ai quali vanno aggiunti i 50mila rifugiati in Ciad. Dieci anni dopo lo scoppio del conflitto e l’avvio di quella che è definita 'la crisi umanitaria più grande del mondo', in Darfur si continua a morire e circa il 50 per cento della popolazione della regione è direttamente coinvolta nel conflitto. Nonostante le risoluzioni sul disarmo delle milizie, l’embargo sulle armi deliberato nel 2004 e l’imponente missione di peacekeeping dispiegata dal 2008 la 'guerra dimenticata' del Darfur prosegue nell'indifferenza della comunità internazionale.
Articolo di Antonella Napoli per Limes
La capitale del Sud, Nyala, per quasi una settimana sotto assedio.
Sono solo gli ultimi episodi cruenti, da giugno ad oggi, registrati nella regione sudanese dove infuria un conflitto, a fasi alterne, da oltre dieci anni. Negozi dati alle fiamme, una ventina di vittime e oltre trenta feriti il bilancio degli scontri a fuoco e dei bombardamenti che hanno coinvolto le forze di sicurezza locali e la milizia dei janjaweed, i cosiddetti 'diavoli a cavallo' ritenuti responsabili dei massacri perpetrati dal 2003 in Darfur.
Per giorni la distribuzione degli alimenti di prima necessità, tra cui l'acqua, e dei medicinali da parte delle organizzazioni governative operanti sul territorio è stata sospesa a causa della morte di due operatori, rimasti uccisi in un attacco alla base che ospita gran parte dei cooperanti impegnati nella missione coordinata da Ocha, l'agenzia umanitaria delle Nazioni Unite.
In contemporanea si è aperto un ulteriore fronte di guerriglia in un'altra area strategica della regione, che ha spinto migliaia di civili in fuga dal Jebel Marra dove si sta consumando l'ennesimo combattimento tra i ribelli del Fronte Rivoluzionario del Sudan e le Forze Armate sudanesi.
Quasi 20mila sfollati avrebbero già lasciato la zona est del Darfur, che prende il nome dal massiccio montuoso che la sovrasta, bombardata, secondo fonti riportate da Radio Dabanga, dall'aviazione di Khartoum. I raid sono stati confermati anche dalla missione di pace congiunta dell'Onu e dell'Unione africana (Unamid) che ha riferito di aver raccolto notizie sui bombardamenti aerei dai civili in fuga. I peacekeeper stanziati a Khor Abeche, a sud della capitale del Darfur del Nord, ElFasher, hanno accolto gli sfollati nei campi di Al Saalam e Zam Zam che si sono aggiunti a coloro che erano stati registrati lo scorso aprile, fuggiti dagli scontri tra due tribù arabe nel distretto di Oum Dukhun, alla frontiera con il Ciad. Le violenze sono scoppiate quando un membro dei Messiriya ha ucciso un esponente dei Salamat, etnia con cui sono da sempre in contrasto. Quella che doveva essere una divergenza finita tragicamente tra due persone ha invece portato a conseguenze mortali per decine di esponenti di entrambe le fazioni.
Dall'inizio dell'anno ad oggi oltre 70mila persone sono fuggite dal Sudan occidentale riportando a oltre un milione e 700mila gli sfollati interni, ai quali vanno aggiunti i 50mila rifugiati in Ciad. Dieci anni dopo lo scoppio del conflitto e l’avvio di quella che è definita 'la crisi umanitaria più grande del mondo', in Darfur si continua a morire e circa il 50 per cento della popolazione della regione è direttamente coinvolta nel conflitto. Nonostante le risoluzioni sul disarmo delle milizie, l’embargo sulle armi deliberato nel 2004 e l’imponente missione di peacekeeping dispiegata dal 2008 la 'guerra dimenticata' del Darfur prosegue nell'indifferenza della comunità internazionale.
Articolo di Antonella Napoli per Limes
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