Di Fabio
Cuzzola
13 luglio
2008
Il tempo in
provincia non ha peso. La storia, quella ufficiale, dei libri, delle
celebrazioni, scorre altrove. L'orizzonte a Reggio sembra diventato un eterno
presente, frutto di una vita ormai americanizzata nello stile e nei costumi; se
non fosse per la "sacra pedata" ed il lungomare, la nostra città
potrebbe essere uguale a quella di altre centinaia di piccole città di provincia,
pronte a vedere la storia passargli davanti senza neanche accorgersene.
E stato così
per il terremoto del 1908, che a pochi mesi dal suo centenario non ha ancora
trovato un degno progetto memoria, e rischia di essere così per la storia della
Rivolta, la cui vicinanza cronologica non deve ingannare sul rischio
dell'oblio.
Mentre stavo
svolgendo le mie ricerche, finalizzate alla pubblicazione di "Reggio
1970", ho condotto insieme a Lillo Pontari, un collega del Liceo
Campanella che mi ha trasmesso l'amore per l'insegnamento, un laboratorio
storico per capire cosa era rimasto nei giovani di quelle giornate reggine.
I risultati
sono stati sconfortanti. Pochi giovani accostavano il 14 luglio alla nostra
città, meno ancora avevano ancora sentito parlare di capoluogo o barricate, e
le notizie erano confuse e frammentarie.
Tuttavia la
colpa di questa memoria cancellata non è attribuibile ai giovani.
La nostra
storia, intendo la storia locale, non ha mai trovato spazio nei programmi
scolastici, se non nell'ardimento di qualche docente coraggioso nel rompere le
assurdità di programmi datati regio decreto.
Gli studiosi
della nostra Terra, ad esclusione dei grandi Cingari e Placanica, hanno
trattato gli avvenimenti storici da ottiche localistiche, restringendole ad una
cronologia evenemenziale, senza inquadrarle in un rapporto causa-effetto.
Anche il
"nostro 14 luglio" non può pertanto essere solo una bega
Reggio-Catanzaro, ma deve essere riletto con un triplice sguardo che vi
propongo.
Uno sguardo
meridionalista, ovvero capire che quella di Reggio, come sosteneva Fortunato
Seminara, fu "la somma di collera antica", l'ultima occasione per
risolvere una questione meridionale, che da quel momento in poi sparì
dall'agenda politica nazionale.
Un secondo
sguardo legato alla macrostoria. Reggio è stata un laboratorio per la destra
eversiva nell'ambito della strategia della tensione, e questa non è
un'invenzione romanzesca, ma testimonianza viva di migliaia di pagine di atti,
processi, sentenze e deposizioni documentati dalla Commissione stragi e dalle
operazioni Olimpia. Non fare i conti con questo approccio significa relegare la
Rivolta ad esperienza da Via Pal e quindi consegnarla all'oblio richiudendola
fra i confini dell'Annunziata e del Calopinace.
L'ultimo
sguardo è quello delle vittime. Tutte! Da Labate fino a Malacaria,
cittadino di Catanzaro ucciso durante una manifestazione contro la Rivolta nel
febbraio del '71, come giustamente sottolineato dalla giunta Scopelliti in un
ordine del giorno votato nel 2005 a difendere la memoria della Rivolta.
Tutte le
vittime, comprese i cinque anarchici, i morti della strage di Gioia
Tauro, tutte vittime senza giustizia.
Ripenso alla
famiglia di Angelo Campanella, onesto lavoratore, ucciso mentre si
riposa sulla veranda di casa, da un colpo di moschetto esploso da un
carabiniere. [...]
A mio
avviso, invece che litigare su nomi di vie o piazze, la giunta, il consiglio
comunale dovrebbero sostenere questa lotta, dichiarandosi parte civile nel
processo e patrocinare con i propri avvocati la causa di Angelo Campanella,
perché la memoria non sia solo una corona posta in un angolo del rione
Pescatori, ma storia viva di persone umili che in un caldo giorno di luglio
decisero di fare la storia e non subirla.
Note: