Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


lunedì 7 gennaio 2013

7 gennaio 1978: Acca Larentia

Lunedì 07 Gennaio 2013 07:04 
 
 Roma, 7 Gennaio del 1978, ore 18,20: cinque militanti del Fronte della Gioventù escono dalla sede dell'Msi di via Acca Larentia 28, nel quartiere Appio Latino, lasciando un biglietto sul tavolo "Siamo a Prati, ci vediamo domani".
Acca Larentia è tristemente famosa in quegli anni, per i numerosi attacchi squadristi che troppe volte sono partiti proprio da quella sede.
Fuori, ad attendere i neofascisti, un gruppo di cinque o sei persone che, appena vede aprirsi la porta, apre immediatamente il fuoco.
Franco Bigonzetti, studente di 20 anni, rimane ucciso sul colpo; tre riescono a fuggire e a rientrare nella sede, dotata di porta blindata. L'ultimo militante, Francesco Ciavatta, diciottenne, viene ferito e tenta di fuggire attraverso una scalinata situata a lato della sezione. Viene però colpito nuovamente alla schiena e morirà in ambulanza.
Alcuni giorni dopo l'azione viene rivendicata tramite una cassetta, fatta trovare accanto ad una pompa di benzina, da un giovane con la voce contraffatta a nome dei "Nuclei Armati di Contropotere Territoriale".
 
« Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell'esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l'ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. Da troppo tempo lo squadrismo insanguina le strade d'Italia coperto dalla magistratura e dai partiti dell'accordo a sei. Questa connivenza garantisce i fascisti dalle carceri borghesi, ma non dalla giustizia proletaria, che non darà mai tregua. Abbiamo colpito duro e non certo a caso, le carogne nere sono picchiatori ben conosciuti e addestrati all'uso delle armi. »  
 
Nelle ore successive al raid antifascista centinaia di missini romani (sono presenti tra gli altri Gianfranco Fini, Maurizio Gasparri, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti) si radunano sul luogo. Una telecamera del Tg1 inizia a riprendere l'ingresso della sede, inquadrando i volti dei giovani neo-fascisti, che aggrediscono il giornalista, provocando così una carica da parte delle forze dell'ordine.
Nel caos creato da un fitto lancio di lacrimogeni, tra le fila dei neofascisti spuntano spranghe e pistole, qualcuno spara.
Il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori punta la pistola ad altezza d'uomo, ma l'arma si inceppa. Toglie dalle mani di un suo attendente un'altra pistola e spara con quella, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, che morirà due giorni dopo in ospedale, provocando l'ira dei neofascisti che daranno vita a tre giorni di scontri e guerriglia in molte città italiane.
La vicenda giudiziaria legata ad Acca Larentia sarà lunga e senza risoluzione: gli unici accusati del duplice omicidio sono cinque militanti di Lotta Continua, secondo le dubbie rivelazioni di Livia, ex br pentita che afferma di averli visti partecipare ad una riunione in cui veniva decisa la firma per rivendicare il raid.
Dei cinque imputati Daniela Dolce è tutt'ora latitante, Mario Scrocca si suiciderà in carcere, mentre Fulvio Turrini, Cesare Cavallari e Francesco de Martiis saranno assolti per insufficienza di prove.
Nella miglior tradizione italiana il comandante Sivori verrà invece condannato per "eccesso colposo di legittima difesa".
L'aggressione del 7 gennaio avrà inoltre un ulteriore seguito: il 28 febbraio, anniversario della morte di Mikis Mantakas, alcuni membri dei Nar, guidati da Valerio Fioravanti, decidono di farsi vendetta. Con alcune auto si avvicinano a Piazza S.Giovanni Bosco, luogo di ritrovo per molti compagni della zona. Irrompono nella piazza, facendo fuoco. Viene colpito al torace Roberto Scialabba, militante di Lotta Continua di 24 anni, poi giustiziato, mentre è disteso a terra, dallo stesso Fioravanti con due colpi alla nuca. Poche ore dopo i Nar rivendicheranno l'attentato con una telefonata al Messaggero, affermando di aver vendicato Acca Larentia.
10 gennaio 1978, 93.400 Radio Onda Rossa - "Compagni, non scandalizziamoci, è inutile stare lì a mascherarci: siamo di fronte a un momento di antifascismo".


 

Gaza, 7 gennaio 2009

Di Vittorio Arrigoni

07/01/2009




Sfilano timorosi con gli occhi rivolti in alto, arresi ad un cielo che piove su di loro terrore e morte, timorosi della terra che continua a tremare sotto ogni passo, che crea crateri dove prima c’erano le case, le scuole, le università, i mercati, gli ospedali, seppellendo per sempre le loro vite.
Ho visto carovane di palestinesi disperati sfollare da Jabilia, Beit Hanoun e da tutti i campi profughi di Gaza, ed andare ad affollare le scuole delle Nazioni Unite come terremotati, come vittime di uno tsunami che giorno per giorno sta inghiottendo la Striscia di Gaza e la sua popolazione civile, senza pietà, senza alcuna minima osservanza dei diritti umani e delle convenzioni di Ginevra. Soprattutto senza che nessun governo occidentale muova un solo dito per fermare questi massacri, per inviare qui personale medico, per arrestare il genocidio di cui si sta macchiando Israele in queste ore.
Continuano gli attacchi indiscriminati contro gli ospedali e il personale medico. Ieri dopo aver lasciato l’ospedale di Al Auda di Jabilia ho ricevuto una telefonata da Alberto, compagno spagnolo dell’ISM, una bomba è caduta sull’ospedale. Abu Mohammed, infermiere, è rimasto seriamente ferito al capo. Giusto poco prima, con Abu Mohammed, comunista, davanti ad un caffè ascoltavo le eroiche gesta dei leaders del Fronte Popolare, i suoi miti: George Habbash, Abu Ali Mustafa,  Ahmad Al Sadat. Gli si erano illuminati gli occhi nel sapere che le prime nozioni di cosa fosse la Palestina e della sua immensa tragedia mi erano stati impartiti dai miei genitori, comunisti convinti. Da mia madre “raissa”, sindaco di un paese nel nord Italia. Mi aveva chiesto quali erano i leader di sinistra italiani veramente rivoluzionari, del passato, e gli avevo risposto Antonio Gramsci. È quelli odierni? Avevo preso tempo,  gli avrei risposto oggi. Abu Mohammed giace ora in coma, nello stesso ospedale dove lavorava, si è risparmiato la mia deludente risposta. 
Verso mezzanotte ho ricevuto un’altra chiamata, questa volta da Eva, l’edificio in cui si trovava era sotto attacco. Conosco bene anche quel palazzo, al centro di Gaza city, ci ho passato una notte con alcuni amici fotoreporters palestinesi, è la sede dei principali media che stanno cercando di raccontare con immagini e parole la catastrofe innaturale che ci ha colpito da dieci giorni. Reuters, Fox news, Russia today, e decine di altre agenzie locali e non, sotto il fuoco di sette razzi partiti da un elicottero israeliano. Sono riusciti a evacuare tutti in tempo prima di rimanere seriamente feriti, i cameramen, i fotografi, i reporters, tutti palestinesi, dal momento in cui Israele non permette a giornalisti internazionali di mettere piede a Gaza. Non ci sono obiettivi “strategici” attorno a quel palazzo, nè resistenza che combatte l’avanzata dei mortiferi blindati israeliani, ben più a nord. Chiaramente qualcuno a Tel Aviv non riesce a digerire le immagine dei massacri di civili che si sovrappongono a quelle dei briefing dei colonnelli israliani, con rinfresco offerto per i giornalisti prezzolati. Tramite queste conferenze stampa stanno dichiarando al mondo che gli obbiettivi delle bombe sono solo terroristi di Hamas, e non quei bambini orrendamente mutilati che tiriamo fuori ogni giorno dalle macerie.
A Zetun, una decina di chilometri da Jabalia, un edificio bombardato è crollato sopra una famiglia, una decina le vittime, le ambulanze hanno atteso diverse ore prima di poter correre sul posto, i militari continuavano a spararci contro. Sparano alle ambulanze, bombardano gli ospedali. Pochi giorni fa, da una nota emittente radiofonica milanese, una “pacifista” israeliana mi avevo detto a chiare lettere che questa è una guerra dove le due parti contrapposte utilizzano tutte le loro armi a disposizione. Invito allora Israele a sganciarci addosso una delle sue tante bombe atomiche che tiene segretamente stivate contro tutti i trattati di non proliferazione nucleare. Ci tiri addosso la bomba risolutiva metta fine all’inumana agonia di migliaia di corpi maciullati nelle corsie sovraffollate degli ospedali che ho visitato. Ho scattato alcune fotografie in bianco e nero ieri, alle carovane di carretti trascinati dai muli, carichi all’inverosimile di bambini sventolanti un drappo bianco rivolto verso il cielo, i volti pallidi, terrorizzati.
Riguardando oggi quegli scatti di profughi in fuga, mi sono corsi i brividi lungo la schiena. Se potessero essere sovrapposte a quelle fotografie che testimoniano la Nakba del 1948, la catastrofe palestinese, coinciderebbero perfettamente. Nel vile immobilismo di Stati e governi che si definiscono democratici, c’è una nuova catastrofe in corso da queste parti, una nuova Nakba,  una nuova pulizia etnica che sta colpendo la popolazione palestinese. Fino a qualche istante fa si contava 650 morti, 153 bambini uccisi, più di 3.000 i feriti, decine e decine i dispersi. Il computo delle morti civili in Israele, fortunatamente, rimane fermo a quota 4. Dopo questo pomeriggio il bilancio sul versante palestinese va drammaticamente aggiornato, l’esercito israeliano ha iniziato a bombardare le scuole delle Nazioni Unite. Le stesse che stavano raccogliendo i migliaia di sfollati evacuati dietro minaccia di un imminente attacco. Li hanno scacciati dai campi profughi, dai  villaggi, solo per raccoglierli tutti in posto unico, un bersaglio più comodo. Sono tre le scuole bombardate oggi, l’ultima, quella di Al Fakhura, a Jabalia, è stata centrata in pieno. Più di 50 morti. In pochi istanti se ne sono andati uomini, anziani, donne, bambini che si credevano al sicuro dietro le mura dipinte in blu con i loghi dell’ONU. Le altre 20 scuole delle Nazioni Unite tremano.
Non c’è via di scampo nella Striscia di Gaza, non siamo in Libano, dove i civili dei villaggi del Sud sotto le bombe israeliane evacuarono al nord, o in Siria e in Giordania. La Striscia di Gaza da enorme prigione a cielo aperto, si è tramutata in una trappola mortale. Ci si guarda sconvolti e ci si chiede se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu riuscirà questa volta a pronunciare un’unanime condanna, dopo che anche le sue scuole sono prese di mira. Qualcuno fuori di qui ha deciso davvero di fare un deserto, e poi chiamarlo pace. Ci aspetta una lunga nottata sulle ambulanze, anche se l’alba da queste parti è ormai una chimera. I ripetitori dei cellulari lungo tutta la Striscia sono stati distrutti, abbiamo rinunciato a contarci. Spero di riuscire a rivedere un giorno tutti gli amici che non posso più contattare, ma non mi illudo.
Qui a Gaza siamo tutti bersagli ambulanti, nessuno escluso. Mi ha appena contattato il consolato italiano, dicono che domani evacueranno l’ultima nostra concittadina. Una anziana suorina che da vent’anni anni abita nei pressi della chiesa cattolica di Gaza, ormai adottata dai palestinesi della Striscia. Il console mi ha gentilmente pregato di cogliere quest’ultima opportunità, aggregarmi alla suora e scampare da questo inferno. L’ho ringraziato per la sua offerta, da qui non mi muovo, non ce la faccio. Per i lutti che abbiamo vissuto, prima ancora di italiani, spagnoli, inglesi, australiani, in questo momento siamo tutti palestinesi. Se solo per un minuto al giorno lo fossimo tutti, come molti siamo stati ebrei durante l’olocausto, credo che tutto questo massacro ci verrebbe risparmiato.

Restiamo umani.

Vik