di Sergio Sinigaglia
Torino, insieme a Milano, fu la "capitale" delle lotte operaie. Più del capoluogo lombardo, perché nella città sabauda c'era (e c'è) la più grande fabbrica italiana. Qui arrivarono migliaia e migliaia di meridionali che con il loro sudore permisero il cosiddetto boom economico. Quella giovane classe operaia fu artefice di uno straordinario ciclo di lotte che, praticamente, si concluse con i famosi 35 giorni di occupazione del 1980 e l'altrettanto famosa "marcia dei 40.000" che mise la parola fine ad una vera e propria "epopea metalmeccanica".
Antonino Miccichè, detto Tonino, nato a Pietraperzia, in provincia di Enna, il 6 aprile del 1950, fu uno dei tanti giovani meridionali che giunse a Torino nel settembre del 1968 e che, dopo vari lavori, all'inizio degli anni settanta, fu assunto alla Fiat, divenendo, come si diceva allora, un'avanguardia interna, sempre alla testa delle lotte operaie, dei cortei che, come un fiume in piena, irrompevano dentro e fuori la fabbrica.
Ma l'impegno di Tonino, divenuto militante di Lotta Continua, non si fermava al posto di lavoro. E proprio qualche giorno dopo una manifestazione antifascista brutalmente attaccata dalla polizia con colpi di arma da fuoco (ci furono diversi feriti), nel gennaio del 1973, fu arrestato e incarcerato per alcuni mesi. Poi la montatura della questura (lui, come gli altri erano accusati di tentato omicidio!) fu smontata grazie ad un'ampia mobilitazione che coinvolse anche il "Comitato antifascista" di Torino. Però per Tonino le porte della fabbrica si chiusero definitivamente.
La sua generosa militanza lo portò ad essere in prima fila nelle lotte per il diritto alla casa e ben presto, per tutti, divenne "Il sindaco della Falchera", dal nome del quartiere dove Lotta Continua promosse una delle lotte più importanti, a livello nazionale, e soprattutto vincente.
E il 17 aprile del 1975 la vita di una persona straordinaria per il suo slancio, la sua generosità, fu troncata dalla mano omicida di un abitante del quartiere, una guardia giurata, che per un futile motivo sparò a freddo a Tonino Miccichè, uccidendolo all'istante. L'assassino si chiamava Paolo Fiocco. Con lui si era creato un problema perché teneva occupati due garage, uno dei quali spettava ad un occupante delle case che si era dichiarato disponibile a darlo al Comitato di lotta che lo voleva trasformare in propria sede. Quel maledetto 17 aprile Fiocco tornato dal turno di lavoro si cambiò, ma non lasciò la pistola a casa. La impugnò e scese nel cortile dove Tonino era con altri compagni. Quando vide la guardia giurata gli andò incontro sorridendo per appianare qualsiasi contrasto. La risposta fu un colpo in mezzo alla fronte. Tonino Miccichè morì così con il sorriso sulla bocca. Il suo assassino se la cavò con pochi anni di carcere.
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