Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


mercoledì 25 gennaio 2012

Omicidio Bianzino: lo Stato si oppone ad una nuova perizia


25 gennaio 2012

Se tuo padre muore dopo due giorni passati sotto la tutela dello stato, come minimo vuoi sapere le cause della sua morte, prima ancora che vengano accertati i diversi gradi di responsabilità. Rudra, Elia e Aruna sono i figli di Aldo Bianzino, falegname umbro morto in circostanze ancora da chiarire il 14 ottobre 2007 dopo due giorni di detenzione nel carcere di Perugia.
I figli di Bianzino hanno attraversato in questi anni diverse fasi processuali. Prima l'archiviazione del processo per omicidio volontario, poi l'apertura del processo per omissione di soccorso in cui l'unico imputato è Gianluca Cantoro, guardia penitenziaria in servizio al Carcere di Capanne la notte in cui morì Aldo.
All'udienza del 16 Gennaio, i medici legali, consulenti del Pubblico Ministero si sono confrontati su tesi opposte con il perito di parte civile, il Dott. Vittorio Fineschi. Il punto di partenza è comune: Aldo Bianzino è morto per un'emorragia sub aracnoidea, inoltre è presente una lacerazione epatica. Ma che cosa ha provocato questa emorragia? Potrebbe essere stato un aneurisma, per altro mai riscontrato su Bianzino. I periti si scontrano anche sulle cause delle lesioni al fegato: il consulente del p.m. sostiene possano essere state causate da manovre rianimatorie, al perito di parte civile questa pare essere un’ipotesi del tutto improbabile: le cause scatenanti potrebbero essere altre, non esclusa l’origine traumatica. Nell’ultima udienza del 23 gennaio, i tre figli hanno ascoltato per la prima volta l'imputato, Gianluca Cantoro, sovrintendente della polizia penitenziaria, accusato di omissione di soccorso. La guardia giurata ha negato in qualsiasi modo di aver ricevuto e ignorato una qualsiasi richiesta di aiuto da parte di Aldo Bianzino: “Nessuno chiese l’intervento medico, il campanello della cella non ha mai suonato, l’ho visto sempre dormire nel suo letto “. Quella notte accaddero alcune stranezze che la guardia non ha saputo spiegare: ad esempio il fatto che la finestra della cella di Bianzino fosse spalancata ed era autunno inoltrato quando alle otto di mattina l’uomo fu ritrovato senza vita. Nel capo di imputazione si scrive che Cantoro non fece i passaggi di ispezione delle celle dalle tre e alle sette del mattino, almeno questo è quanto si può dedurre dalle telecamere interne. “Io ho fatto i miei giri, i miei controlli- ha dichiarato l’imputato - le telecamere riprendono solo otto secondi ogni due minuti “.
Al termine dell’udienza i legali di parte civile, Fabio Anselmo, Cinzia Corbelli e Massimo Zaganelli, hanno richiesto una nuova perizia medico legale per chiarire le cause della morte. Alla richiesta si sono opposti il pubblico ministero e l’avvocatura dello stato in base al principio che “è estranea a questo processo”, si è invece astenuto il legale che difende il sovrintendente di polizia. I giudici decideranno alla fine dell’istruttoria, il prossimo 27 febbraio.
I figli di Aldo Bianzino hanno diffuso questo comunicato:

"Dopo che lo stato ci ha restituito nostro padre morto, quando viceversa stava benissimo prima del suo arresto, ci saremmo aspettati un atteggiamento diverso.
E’ incredibile che, se l'imputato non si è opposto alla richiesta di perizia sulle cause della morte di nostro padre, si siano invece opposti proprio i massimi rappresentanti dello Stato: il pubblico ministero e l'avvocato del ministero di grazia e giustizia.
Ne deduciamo che se l'imputato non teme la perizia, la temono invece loro.
Ci chiediamo in tutto ciò dove sia l'interesse pubblico e della collettività, vista la natura del processo.
Siamo indignati,

i figli di Aldo Bianzino

Elia, Rudra e Aruna Bianzino."

Tutto cominciò in un casolare sulle colline di Perugia. Qui abitava Aldo Bianzino, 44 anni, con la seconda moglie, Roberta Radici e con il figlio Rudra, quattordicenne, quando fu arrestato per la coltivazione di qualche piantina di marijuana. La storia ci parla non solo di un uomo morto in un carcere nel quale era entrato in perfetto stato di salute, ma ci propone anche la vicenda del figlio più giovane, a cui la vita ha strappato l’adolescenza, costringendolo a diventare grande. Ed è la prima e quasi violenta sensazione che si prova quando lo si vede e lo si sente parlare.
Rudra ma quanti anni hai ?”Sono ancora minorenne” ci disse l’anno scorso, quando lo incontrammo per la prima volta a Roma.

Chissà, forse Rudra sarebbe stato così lo stesso, maturo e profondo. Ti ascolta e poi sorprendendoti risponde alla vera domanda che non hai avuto il pudore e il coraggio di fargli:

“La mia casa è sperduta sulle colline, c’è un lungo sterrato” ci telefona poco prima dell’appuntamento, “aspettatemi al distributore che vi vengo a prendere”.
Rudra arriva alla pompa di benzina di Pietralunga dentro al suo ape cross, sorridente e contento di vederci. Entriamo in un bar, la gente ci guarda, tutti hanno ben presente chi è Rudra.
Alla domanda come stai risponde : "Il mio avvocato è stato aggredito, ecco come sto”.
Vorremmo andarci piano con le domande, ascoltarlo e basta, ma abbiamo poco tempo, e lui ha chiaro quello che vogliamo sapere da lui.
Mi sento come in prigione, incastrato in una situazione irrisolvibile. Se muore tuo padre e tu hai 14 anni, probabilmente ti sembra di aver già perso molto. Poi se perdi dopo qualche mese tua nonna novantenne, probabilmente assorbi il colpo. Poi però, quando muore qualche mese dopo anche tua madre, allora sei certo di aver perso tutto, di essere solo, di non aver riferimenti, non c’è nessun che ti dice cosa devi fare o che ti spiega cosa fare. Ho vissuto a lungo come sospeso, in una casa senza regole, senza porte e doveri, nemmeno libero di piangere, perché tanto non arrivava nessuno quando avevo bisogno. Ma questa casa non l’ho mai voluta abbandonare, rappresenta la memoria che non se ne deve andare. Da questa casa è ripartita in qualche modo la mia seconda vita di bambino, come se fossi tornato piccolo con una lunga lista di perché. Perché è morto tuo padre e nessuno ti dice il motivo. Perché se un uomo entra in carcere sano e giovane, ne esce morto dopo due giorni. Perché per sapere cosa è successo devi assumere un avvocato, devi andare in tribunale a vedere gente che litiga e che poco ha a che fare con te e la tua realtà. Perché devi imparare in tribunale, invece che a scuola, termini giuridici, perché devi affidarti ad un avvocato e perché devi anche pagarlo. Già, i soldi: un tempo li chiedevo per il gelato, il cinema, semplicemente quando servivano. Poi, invece avevo proprio bisogno di soldi, quelli veri. Soldi per l’avvocato, per i documenti, per le bollette, ma prima di tutto soldi per mangiare. Se muoiono i tuoi genitori e hai 14 anni, allora lo Stato ti cerca un tutore, altrimenti ti mette in istituto. Per questo motivo mio zio ha lasciato il suo lavoro in Germania ed è venuto a vivere con me, con suo nipote. Ha perso il lavoro là, ma qui non l’ha trovato. Di cosa viviamo? Sto ancora utilizzando i soldi che mi ha dato Beppe Grillo, che qualche hanno fa mi ha aperto un conto, in cui ha depositato una cifra consistente, che ora sta per esaurirsi.
Oggi ho 18 anni, quest’anno finisco le superiori, mi piacerebbe continuare gli studi, ma anche in questo caso mi chiedo se valga la pena di lasciare qui parte della mia vita per continuare a scontrarmi con le istituzioni che non hanno mai risposto alla mia unica domanda: "Come è morto mio padre?". Oltre ad aver perso tutti i miei affetti ho anche perso fiducia non solo nello Stato, ma in qualsiasi autorità, in qualsiasi adulto che ricopra un ruolo istituzionale, gente che dovrebbe proteggerti e invece ti lascia orfano e senza nemmeno spiegarti il perché. Io sono sempre qua, tornate presto e la prossima volta se avete più tempo saliamo insieme fino alla mia casa in collina. Vi mostrerò la strada dove ho visto per l’ultima volta mio padre mentre se ne andava sulla macchina dei carabinieri”.

A presto Rudra.
 
a cura di Filippo Vendemmiati e Claudia Guido per Articolo21

Fonte:

Roma: cariche della polizia davanti Montecitorio contro i pescatori in lotta

25 gennaio 2012




I pescatori  arrivati a Roma da tutta Italia di prima mattina, molti di loro con addosso giubbotti arancioni di salvataggio. «La Comunità Europea ci affonda», «Vi state mangiando anche le nostre barche», «Le regole del Nord Europa non valgono per il Mediterraneo», sono stati caricati dalle forze dell’ordine davanti Montecitorio. Negli scontri sarebbero finora almeno 5 le persone rimaste ferite durante le cariche: 2 pescatori sono stati ricoverati all'ospedale San Giovanni e al Santo Spirito.

Fonte:

http://www.osservatoriorepressione.org/2012/01/roma-cariche-della-polizia-davanti.html


EGITTO: LA RIVOLUZIONE UN ANNO DOPO CONTINUA

Oggi grande manifestazione in Piazza Tahrir per il primo anniversario della sollevazione contro Hosni Mubarak. Bilancio di un anno esaltante. Ma la rivoluzione non e' terminata, continuera'

 

GIULIA SUDANO

Il Cairo, 25 gennaio 2012, Nena News – “#25Jan C’è ancora speranza”, “#25Jan la seconda parte sta per cominciare”. Il canale Twitter #25Jan è un fiume in piena. Straripa delle speranze e della voglia di riscatto dei giovani egiziani, determinati più che mai in vista del primo anniversario dell’inizio della rivoluzione a impedire che quest’ultima resti incompiuta. E’ partito il conto alla rovescia per il prossimo 25 gennaio. La schiacciante vittoria elettorale delle forze islamiche nell’elezione della camera bassa del parlamento e i feroci scontri di fine novembre e metà dicembre fra manifestanti e militari nei pressi di Piazza Tahrir, sembrano aver dato alla ricorrenza un significato e un’importanza che vanno al di là del semplice cerimoniale. Per i movimenti rivoluzionari, il 25 gennaio rappresenta un nuovo trampolino di lancio per far ripartire il processo di cambiamento, iniziato con la caduta del presidente Mubarak e in seguito tradito dal Consiglio Supremo delle Forze Armate che ne ha assunto ad interim i poteri esecutivi.
Gli scontri di metà dicembre, la cui immagine simbolo è divenuta la scena del pestaggio e del parziale denudamento di una donna velata da parte di un gruppo di soldati, hanno profondamente segnato la società egiziana. Un numero crescente di politici, giornalisti, attivisti, ha reagito richiedendo il rapido passaggio dei poteri esecutivi dal consiglio dei militari a un’autorità civile. Nel corso di una conferenza stampa lo scorso 20 dicembre, la Coalizione della Gioventù Rivoluzionaria e il gruppo “We are all Khaled Said” (Siamo tutti Khaled Said-uno dei gruppi promotori della manifestazione del 25 gennaio 2011) hanno avanzato la proposta di anticipare le elezioni presidenziali alla data simbolica del 25 gennaio. La proposta, oltre a generare i forti dubbi degli analisti politici per la breve tempistica e per le conseguenze dell’elezione di un presidente con eccessivi poteri prima della redazione della nuova costituzione, ha incassato il netto rifiuto dei Fratelli Musulmani. Non ha avuto migliore fortuna Ibrahim Eissa, caporedattore del quotidiano Al-Tahrir, con la sua idea del passaggio immediato di consegne dal Consiglio Supremo delle Forze Armate al futuro presidente della Camera, in attesa delle elezioni presidenziali previste il prossimo giugno. I Fratelli Musulmani hanno rifiutato poiché non intendono accettare proposte che si discostino dalla dichiarazione costituzionale, a cui tutte le forze politiche hanno aderito lo scorso marzo. Mentre, le forze liberali e secolari hanno declinato lo scenario proposto da Eissa, perché favorirebbe i Fratelli Musulmani, in quanto detentori della maggioranza parlamentare. La terza ipotesi in circolazione, già emersa nel corso degli scontri di fine novembre, consiste nella formazione di un consiglio presidenziale temporaneo, a cui lo SCAF affiderebbe i suoi poteri esecutivi in attesa delle elezioni presidenziali.
Il dibattito sul passaggio dei poteri esecutivi dai militari a un’autorità civile è stato portato in strada lo scorso 4 gennaio da decine di attivisti, capitanati da Alaa Abdel-Fattah, il blogger egiziano rilasciato il giorno di Natale dopo circa due mesi di carcere per l’accusa di aver incitato alla violenza contro le forze armate, nel corso della manifestazione del 9 ottobre dei copti cristiani davanti a Maspero (edificio della tv di stato). E’ stata un’interessante occasione di confronto di diversi e anche contrastanti punti di vista. Abdel-Fattah ha sottolineato la necessità che i cittadini mantengano alta la pressione sui parlamentari neoeletti affinché realizzino le domande della rivoluzione e ha ribadito che la responsabilità politica della popolazione non può esaurirsi nel semplice voto. Haitham El-Shawaf, coordinatore generale dell’Alleanza delle Forze Rivoluzionarie che riunisce circa 60 partiti e movimenti rivoluzionari,  ha rifiutato invece l’idea di cedere l’autorità esecutiva all’attuale parlamento dominato dalle forze islamiche.
La posizione di El-Shawaf è esemplificatrice di un pericoloso antagonismo che va prefigurandosi fra molti gruppi rivoluzionari, che sentono di mantenere la legittimità “rivoluzionaria”, e i partiti politici, che hanno ottenuto la legittimità “rappresentativa” derivante dal processo elettorale. Nell’attuale contesto politico post-elezioni, se il blocco rivoluzionario si contrapporrà al nuovo parlamento, divenuto il detentore della legittimità popolare grazie all’elevata affluenza elettorale (circa il 50%), correrà il grave rischio di perdere la propria credibilità e legittimità simbolica. Del resto, gli scontri iniziati lo scorso 19 novembre avevano già evidenziato la presenza di numerosi segmenti della società contrari alla proteste verso i militari, perché convinti che potessero ostacolare la transizione democratica del paese e incrementare le perdite economiche, già stimate intorno ai 7,5 miliardi di dollari dal gennaio scorso. Una realtà confermata dai numeri della piazza che non si sono mai avvicinati all’obiettivo prefissato del milione. A questo proposito, è significativo riportare anche le parole pronunciate nel corso della manifestazione del 4 gennaio dall’attivista Ziad Aly, pubblicate dal quotidiano egiziano Al-Ahram il giorno seguente: “mi guardo intorno e quel che vedo sono le solite facce […] non potremo essere efficaci fino a quando un maggior numero di persone non si unirà a noi”.
Le iniziative dei movimenti giovanili e degli attivisti, finalizzate a richiamare i propri sostenitori in piazza il 25 gennaio e ad accrescere la consapevolezza degli obiettivi e delle richieste rivoluzionarie,  si moltiplicano sempre di più con l’avvicinarsi dell’attesa ricorrenza. Ad esempio, l’Associazione Nazionale per il Cambiamento, guidata da Mohammed El-Baradei, sta promuovendo numerose campagne per coinvolgere i cittadini a partecipare alle manifestazioni del 25 gennaio, inclusa una campagna porta-a-porta per distribuire cd e posters che documentano le violazioni commesse dai militari. La Coalizione della Gioventù Rivoluzionaria del 25 gennaio sta pianificando come coinvolgere gli egiziani nelle zone rurali a partecipare alle manifestazioni. Il movimento del 6 Aprile, uno dei principali organizzatori delle manifestazioni che hanno portato alla caduta del presidente Mubarak l’11 febbraio 2011, ha annunciato giovedì scorso di voler organizzare delle marce quotidiane in preparazione dell’ “Iniziativa dell’Unità” che ha programmato il 25 gennaio, con lo scopo di coordinare tutte le attività dei rivoluzionari nel restante periodo di transizione politica.
Prosegue anche la campagna “Liars” (Bugiardi), promossa da numerosi attivisti e movimenti, a seguito degli scontri fra manifestanti e militari davanti la sede del consiglio dei ministri il 16 dicembre, per incrementare la consapevolezza del pubblico sulle violazioni commesse dal Consiglio Supremo delle Forze Armate.  La campagna si è ormai estesa in tutto il paese in maniera spontanea e decentralizzata con lo scopo di diffondere un’informazione alternativa rispetto a quella promossa dai media statali sui fatti accaduti in piazza Tahrir fra novembre e dicembre scorsi. Ogni cittadino può organizzare in un luogo pubblico una proiezione dei video e delle foto che mostrano gli abusi dei militari contro i manifestanti negli scontri degli ultimi mesi, perché, come ripetono i promotori su Twitter, “la campagna non ha coordinatori ed è una proprietà pubblica”.
Le forze rivoluzionarie sono determinate a continuare la loro azione per portare a termine la rivoluzione e il primo anniversario del suo inizio rappresenta un importante appuntamento politico. Ad ogni modo, la partita rivoluzionaria non si gioca a Piazza Tahrir il 25 gennaio, ma tutti i giorni nelle strade, nelle moschee e nei vari luoghi di aggregazione sociale del paese. Molti attivisti ne sono ormai consapevoli. La rivoluzione continua. Nena News

Fonte:

http://nena-news.globalist.it/?p=16581