Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


martedì 8 gennaio 2013

IL SANGUE VERDE: DOCUMENTARIO SULLA RIVOLTA DI ROSARNO

  • Pubblicato il 15/09/2010

di Andrea Segre

da un'idea di Roberto Galante
 






















I volti dei giovani immigrati africani protagonisti di quella che ormai viene ricordata come la “rivolta di Rosarno” sono arrivati fino al 67mo Festival del Cinema di Venezia e Andrea Segre che ha realizzato su di loro il documentario “Il sangue Verde” ha ricevuto il premio “Cinema Doc” alle Giornate degli Autori.
Rosarno e la rivolta dei neri sfruttati. Pochi euro per raccogliere arance, dormire per terra e se si azzardavano a dire qualcosa scattava la violenza. Con la consulenza della ‘ndrangheta.

La storia di Abraham, John, Amadou, Zongo, Jamadu, Abraham e Kalifa, sette migranti africani. Girato tra Rosarno, Caserta e Roma, il film propone un resoconto di quei giorni e di quelli che seguirono raccogliendo le voci di chi, pur protagonista, viene spesso lasciato nel silenzio, restituendo loro così la dignità del racconto in prima persona. Tutti parlano, senza rancore, di cosa è successo dal loro punto di vista e descrivono com'era, e com'è ora, la loro vita in Italia.

Andrea Segre ci racconta come sono cambiati i loro destini. Dopo centinaia di ore di talk-show di uomini bianchi, finalmente la parola agli uomini neri.

L'AUTORE
Oltre ad essere regista di documentari - tra i più noti Marghera canale Nord e il pluripremiato Come un uomo sulla terra, trasmesso nella scorsa stagione di Doc3 - Andrea Segre è dottore in scienze delle comunicazioni  e autore di una tesi di dottorato sul racconto video della sofferenza a distanza.



Fonte:


G4S, COMPAGNIA PRIVATA MILITARE E DI SICUREZZA, E' COMPLICE DELL'OCCUPAZIONE ISRAELIANA DELLA PALESTINA



La votazione si chiude il 23 di gennaio.
Vota qui: http://www.publiceye.ch/en/vote/
G4S è in lizza per il Public Eye People's Award del 2013, il premio 'fai i nomi e fai vergognare' che nessuna società vorrebbe vincere. G4S, la più grande compagnia privata militare e di sicurezza del mondo, è complice dell'occupazione israeliana della Palestina e trae profitti dal conflitto e dall'insicurezza in tutto il mondo. War on Want e altre organizzazioni europee hanno nominato G4S per i premi che aiutano a "puntare i riflettori internazionali sugli scandali delle corporation". L'azienda è stata selezionata ed è ora in lizza per il voto del pubblico.
Prendete un minuto per votare per G4S e poi dite ai vostri amici di fare lo stesso.

votaPerché votare per G4S?

G4S è complice dell'occupazione israeliana della Palestina attraverso la fornitura di attrezzature di sicurezza e di servizi per l'impiego ai posti di blocco e agli insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata. Essa contribuisce anche a mantenere e trarre profitto dal sistema carcerario israeliano. Nel 2007, la filiale israeliana di G4S ha firmato un contratto con l'Autorità carceraria israeliana per la fornitura di sistemi di sicurezza per grandi prigioni israeliane.
L'Amministratore Delegato di G4S, Nick Fibbie, ha detto che gli ambienti ad alto rischio offrono "grandi opportunità" e ha confermato che G4S ha recentemente condotto un lavoro preparatorio con le compagnie petrolifere e del gas per i contratti in Iraq. G4S solo il mese scorso ha anche esteso il suo contratto in Afghanistan in un accordo del valore di circa £ 72 milioni.
Nonostante il suo curriculum di complicità nelle violazioni dei diritti umani nel Regno Unito e all'estero, G4S continua a ricevere appalti per servizi pubblici, tra cui quelli di pubblica sicurezza, alloggi per richiedenti asilo e gestione delle deportazioni. G4S svolge un ruolo diretto nella gestione dei centri di detenzione per immigrati nel Regno Unito e nelle deportazioni del Ministero degli Interni. Nel mese di ottobre del 2010, Jimmy Mubenga morì durante la sua deportazione forzata effettuata da G4S in Angola. Ma nel luglio del 2012 il Crown Prosecution Service ha deciso di non perseguire G4S o le sue guardie di sicurezza per la sua morte. In risposta a tale decisione, la moglie di Jimmy Mubenga ha dichiarato: "Non riusciamo a capire perché gli ufficiali e G4S non sono responsabili verso la legge come lo saremmo noi o qualsiasi altro membro del pubblico.".
E 'tempo di aumentare la pressione internazionale sulla G4S e accertarsi che entri a far parte dell'Albo della Vergogna delle aziende che sono state ritenute le peggiori aziende dell'anno.
Vota G4S per il Public Eye People's Award del 2013   http://www.publiceye.ch/en/vote/
La votazione si chiude il 23 di gennaio ed il vincitore sarà annunciato durante il World Economic Forum di Davos.

Fonte: War On Want

Gaza, 9 gennaio 2009

09/01/2009



Il dentifricio, lo spazzolino, le lamette e la mia schiuma da barba. I vestiti che indosso, lo sciroppo per curarmi una brutta tosse che mi affligge da settimane, le sigarette comprate per Ahmed, il tabacco per il mio arghilè. Il mio telefono cellulare, il computer portatile su cui batto ebefrenico per tramandare una testimonianza dell’inferno circostante. Tutto il necessario per una vita umile e dignitosa a Gaza, proviene dall’Egitto, ed è arrivato sugli scaffali dei negozi del centro passando attraverso i tunnel. Gli stessi tunnel che caccia F16 israeliani hanno continuato a bombardare massicciamente nelle ultime 12 ore, coinvolgendo nelle distruzioni le migliaia di case di Rafah  vicini al confine. Un paio di mesi fa mi sono fatto sistemare tre denti malconci, alla fine dell’intervento ricordo che ho chiesto al mio dentista palestinese dove si procurava tutto il materiale odontotecnico, anestetico, siringhe, corone in ceramica e ferri del mestiere, sornione, il dentista mi aveva fatto un cenno con le mani: da sotto terra.
Non vi è alcun dubbio che attraverso i cunicoli sotto Rafah passavano anche esplosivo e armi, le stesse che la resistenza sta impiegando oggi per cercare di arginare la temibile avanzata dei mortiferi blindati israeliani, ma è poca cosa rispetto alle tonnellate di beni di consumo che confluivano in una Gaza ridotta alla fame da un criminale assedio. Su internet è facile reperire foto che documentano come anche il bestiame passava per i tunnel al confine con l’Egitto. Capre e bovini addormentati e imbragati venivano fatti calare in un pozzo egiziano per riemergere da quest’altra parte e rifornire Gaza di latte, formaggi e carne. Anche i principali ospedali della Striscia si approvvigionavano clandestinamente al confine. I tunnel erano l’unica risorsa che ha consentito alla popolazione palestinese di sopravvivere all’assedio; un assedio che qui, ben prima dei bombardamenti, causava un tasso di disoccupazione del 60%, e  costringeva l’80% delle famiglie a vivere di aiuti umanitari.
I nostri compagni dell’ISM a Rafah ci descrivono l’ennesimo esodo a cui stanno assistendo. Carovane di disperati che su carretti trainati da muli o sopra mezzi di fortuna stanno lasciando le loro case dinnanzi all’Egitto. Copione già visto, i giorni precedenti erano piovuti dal cielo volantini che intimavano l’evacuazione, Israele mantiene sempre le sue minacce, ora stanno piovendo bombe. Gli sfollati di oggi passeranno la notte da parenti, amici e conoscenti a Gaza. Nessuno si fida più ad andare ad affollare le scuole delle Nazioni Unite, dopo il massacro di ieri a Jabalia. Moltissimi però non si sono mossi, non hanno alcun posto dove riparare. Passeranno la notte pregando un Dio che li scampi alla morte, dato che nessun uomo pare interessarsi alle loro esistenze. Finora sono 768 i morti palestinesi, 3.129 i feriti, 219 i bambini ammazzati.
Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. A Zaytoun, quartiere a Est di Gaza city, le ambulanze delle Croce Rossa hanno potuto accorrere sul luogo di una strage solo dopo diverse ore, dietro coordinamento dei vertici militari israeliani. Quando sono arrivati, hanno raccolto 17 cadaveri, e 10 feriti tutti appartenenti alla famiglia Al Samoui. Una esecuzione perfetta, nei corpicini dei  bambini morti, è possibile notare non schegge di esplosivo, ma fori di proiettile. Le ultime due notti negli ospedali di Gaza city sono state più tranquille del solito, abbiamo soccorso decine di feriti e non centinaia. Evidentemente dopo la strage della scuola di Al Fakhura l’esercito israeliano ha sfondato il budget quotidiano di morti civili da offrire in pasto ad un governo assetato di sangue in vista delle imminenti elezioni. Abbiamo sentore che già da stanotte torneranno a riempire gli obitori fino a far scoppiare.
A sirene spiegate continuiamo a scortare negli ospedali donne gravide, che partoriscono prematuramente. Come se la natura, la conservazione della specie, induca queste madri coraggio ad anticipare la messa al mondo di nuove vite per sopperire al crescente numero di morti. Il primo vagito di questi neonati, quando sopravvivono, sovrasta per un attimo il boato delle bombe. Leila, compagna dell’ISM, ha chiesto ai figli dei nostri vicini di casa di scrivere dei pensieri sull’immane tragedia che stiamo vivendo. Questi alcuni stralci dei loro temi, gli orrori della guerra osservati da uno sguardo puro e innocente, quello dei bambini di Gaza:
Da Suzanne, 15 anni: “La vita a Gaza è molto difficile. In realtà non si può descrivere tutto. Non possiamo dormire, non possiamo andare a scuola o studiare. Proviamo molte emozioni, a volte abbiamo paura e ci preoccupiamo perché gli aerei e le navi colpiscono 24 ore su 24. A volte ci annoiamo perché durante il giorno non c’è elettricità, e la notte ce l’abbiamo solo per circa quattro ore, e quando c’è, guardiamo il notiziario in TV. E vediamo bambini e donne feriti o morti. Così viviamo l’assedio e la guerra.”
Da Fatma, 13 anni: “E’ stata la settimana più difficile della mia vita. Il primo giorno eravamo a scuola, a dare l’esame del primo trimestre, poi sono iniziate le esplosioni e molti studenti sono stati uccisi o feriti, e gli altri sicuramente hanno perso un parente o vicino. Non c’è elettricità, cibo o pane. Che possiamo fare – sono gli israeliani! Tutti nel mondo festeggiano il nuovo anno, anche noi lo festeggiamo, ma in modo diverso.”
Da Sara, 11 anni : “Gaza vive in un assedio, come in una grande prigione: niente acqua, niente elettricità. La gente ha paura e non dorme la notte, e ogni giorno nuove persone vengono uccise. Fino ad ora, più di 700 sono state uccise e più di 3.000 ferite. E gli studenti davano gli esami del primo trimestre, così Israele ha colpito le scuole, il Ministero dell’educazione, e molti ministeri. Ogni giorno la gente chiede quando finirà, e aspettano altre navi di attivisti come Vittorio e Leila.”
Da Darween, 8 anni “Sono un bambino palestinese e non lascerò il mio paese così avrò molti vantaggi perché non lascerò il mio paese e sento il rumore di razzi così non lascerò il mio paese!.”
Meriam ha quattro anni. I suoi fratellini le hanno chiesto: “Cosa provi quando senti I razzi?” E lei ha detto: “Ho paura!”, e subito è corsa a nascondersi dietro le gambe del papà.
Gaza è tristemente avvolta nell’oscurità da dieci giorni, solo negli ospedali ci è concesso ricaricare computer e cellulari, e guardare la televisione con i dottori e i paramedici in attesa di una chiamata di soccorso. Ascoltiamo i boati in lontananza, dopo qualche minuto le reti satellitare arabe riferiscono esattamente dove è avvenuta l’esplosione. Spesso ci riguardiamo sullo schermo trarre fuori dalle macerie corpi, come se non bastasse averli visti in diretta. Ieri sera col telecomando sono capitato su una televisione israeliana. Davano un festival di musica tradizionale, con tanto di soubrette in vestiti succinti e fuochi artificiali finali. Siamo tornati al nostro orrore, non sullo schermo, ma sulle ambulanze. Israele ha tutti i diritti di ridere e cantare anche mentre massacra il suo vicino di casa. I palestinesi chiedono solo di morire di una morte diversa, che so, di vecchiaia.

Restiamo umani.

Vittorio Arrigoni


Gaza, 8 gennaio 2009

08/01/2009



Di Vittorio Arrigoni:

Il mio articolo per Il Manifesto di oggi:
 

"Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola" mi dice Jamal, chirurgo dell'ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. "Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l'ultimo miagolio soffocato." Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua "Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste..." il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. "Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l'ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati."
A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia,  più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito. Poco prima mi ero intrattenuto in una discussione con il dottor Abdel, oftalmologo, circa i rumors, le voci incontrollate che da giorni circolano lungo tutta la Striscia secondo le quali l'esercito israeliano ci starebbe tirando addosso una pioggia di armi non convenzionali, vietate dalla Convenzione di Ginevra. Cluster bombs e bombe al fosforo bianco. Esattamente le stesse che l'esercito di Tsahal utilizzò nell'ultima guerra in Libano, e l'aviazione USA a Falluja, in violazione delle le norme internazionali. Dinnanzi all'ospedale Al Auda siamo stati testimoni e abbiamo filmato dell'utilizzo di bombe al fosforo bianco, a circa cinquecento metri da dove ci trovavamo, troppo lontano per essere certi che sotto gli Apache israeliani ci fossero dei civili, ma troppo tremendamente vicino a noi. Il Trattato di Ginevra del 1980 prevede che il fosforo bianco non debba essere usato direttamente come arma di guerra nelle aree civili, ma solo come fumogeno o per l'illuminazione. Non c'è dubbio che utilizzare quest'arma sopra Gaza, una striscia di terra dove si concentra la più alta densità abitativa del mondo, è già un crimine a priori. Il dottor Abdel mi ha riferito che all'ospedale Al Shifa non hanno la competenza militare e medica, per comprendere se alcune ferite di cadaveri che hanno esaminato siano state prodotte effettivamente da proiettili al fosforo bianco. A detta sua però, in venti anni di mestiere, non ha mai visto casi di decessi come quelli portati all'ospedale nelle ultime ore. Mi ha spiegato di traumi al cranio, con fratture a  vomere, mandibola, osso zigomatico, osso lacrimale, osso nasale e osso palatino che indicherebbero l'impatto di una forza immensa con il volto della vittima. Quello che ha detta sua è totalmente inspiegabile, è la totale assenza di globi oculari, che anche in presenza di traumi di tale entità dovrebbe rimanere al loro posto, almeno in tracce, all'interno del cranio. Invece stanno arrivando negli ospedali palestinesi cadaveri senza più occhi, come se qualcuno li avesse rimossi chirurgicamente prima di consegnarli al coroner. Israele ci ha fatto sapere che da oggi ci è generosamente concessa una tregua ai suoi bombardamenti di 3 ore quotidiane, dalle 13 alle 16. Queste dichiarazioni dei vertici militari israeliani vengono apprese dalla popolazione di Gaza, con la stessa attendibilità dei leaders di Hamas quando dichiarano di aver fatto strage di soldati nemici. Sia chiaro, il peggior nemico dei soldati di Tel Aviv sono gli stessi combattenti sotto la stella di Davide. Ieri una nave da guerra al largo del porto di Gaza, ha individuato un nutrito gruppo di guerriglieri della resistenza palestinese muoversi compatto intorno a Jabalia e ha cannoneggiato. Erano invece dei loro commilitoni, risultato: 3 soldati israeliani uccisi, una ventina i feriti. Alle tregue sventolate da Israele qui non ci crede ormai nessuno, e infatti alle 14 di oggi Rafah era sotto l'attacco degli elicotteri israeliani, e a Jabalia l'ennesima strage di bambini: tre sorelline di 2, 4, e 6 della famiglia Abed Rabbu. Una mezz'ora prima sempre a Jabilia ancora una volta le ambulanze della mezzaluna rossa sotto attacco.Eva e Alberto, miei compagni dell'ISM, erano sull'ambulanza, e hanno videodocumentato l'accaduto, passando poi i video e le foto ai maggiori media. Hanno gambizzato Hassan, fresco di lutto per la morte del suo amico Araf, paramedico ucciso due giorni fa mentre soccorreva dei feriti  a Gaza city. Si erano fermati a raccogliere il corpo di un moribondo agonizzante in mezza alla strada, sono stati bersagliati da una decina di colpi sparati da un cecchino israeliano. Un proiettile ha colpito alla gamba Hassan, e ridotto un colabrodo l'ambulanza. Siamo arrivati a quota 688 vittime, 3070 i feriti, 158 i bambini uccisi, decine e decine i dispersi. Solo nella giornata di ieri si sono contati 83 morti, 80 dei quali civili. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Recandomi verso l'ospedale di Al Quds dove sarò di servizio sulle ambulanze tutta la notte, correndo su uno dei pochi taxi temerari che zigzagando ancora sfidano il tiro a segno delle bombe, ho visto fermi ad una angola di una strada un gruppo di ragazzini sporchi, coi vestiti rattoppati, tali e quali i nostri sciuscià del dopoguerra italiano, che con delle fionde lanciavano pietre verso il cielo, in direzione di un nemico lontanissimo e inavvicinabile che si fa gioco delle loro vite. La metafora impazzita che fotografa l'assurdità di questa di tempi e di questi luoghi.

Restiamo umani.

Vik




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