Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


venerdì 29 giugno 2012

Michele Ferrulli

«Michele Ferrulli è deceduto improvvisamente durante un'azione di contenimento accompagnato da percosse di agenti della polizia». All'indomani dell'avviso di fine indagini recapitato ai quattro agenti indagati, giunge la perizia della parte civile a confermare e chiarire il quadro fornito dall'autopsia. A scriverla, ancora una volta, Gaetano Thiene dell'Università di Padova, perito anche nei processi Aldrovandi e Cucchi. Proprio come i legali della famiglia, i ferraresi Fabio Anselmo e Alessandra Pisa. «La causa della morte -si legge nella perizia che Globalist è riuscito a consultare- è stata un violento attacco ipertensivo, verosimilmente precipitato dallo stress emotivo del contenimento, dall'eccitazione da intossicazione da alcool e dalle percosse con tempesta emotova e iperattivazione adrenergica».

Pesava 147 chili Michele Ferrulli ed era alto nemmeno 1 metro e 80. Obeso e iperteso. Il 30 giugno del 2011 stava ascoltando musica ad alto volume a Milano, in via Varsavia, davanti a un bar. Per gli uomini della volante che intervennero era troppo aggressivo e «ostile». Quindi fecero venire un altro equipaggio. Seguì una colluttazione così sopra le righe che i quattro agenti subiranno un processo per eccesso colposo nell'omicidio colposo del Ferrulli. Perché le manganellate di quella sera e le modalità dell'intervento lo fecero fuori.
Alle 22 arrivarono sgommando le volanti. 13 minuti dopo fu avvisato il 113. Mezz'ora di manovre rianimative non servirono a nulla. Alle 22.50 verso l'ospedale si mossero ma l'uomo ci arrivò cadavere. E, il giorno appresso, secondo il pm, i quattro firmarono pure un rapporto artefatto smentiti da un telefonino di nuova generazione che li avrebbe immortalati mentre lo pestavano di brutto che lui era già a terra. L'autopsia del 5 luglio parlerà di insufficienza contrattile acuta del ventricolo sinistro con edema polmonare e cerebrale. La sbornia di quella sera, secondo i medici, non c'entrava nulla con la morte. L'avevano ucciso le botte.
 
Checchino Antonini da Globalist
 

Una graphic novel sulla strage di Viareggio

VIAREGGIO, UNA STRAGE ANNUNCIATA 

Viareggio, una strage annunciata
Viareggio, una strage annunciata 


Viareggio, una strage annunciata 


Viareggio, una strage annunciata


Sceneggiatura e disegni: Gianfranco Maffei
Caratteristiche: 144 pagine, brossura, b/n


Alle 23:48 del 29 giugno 2009, il treno merci 50325 con il suo convoglio di quattordici carri cisterna contenenti GPL deraglia per il cedimento dell’asse del carrello del primo convoglio. Il gas GPL che fuoriesce si incendia al contatto con l’ossigeno provocando la morte di 32 persone e ferendone 25. Diverse abitazioni nella zona dell’incidente vengono abbattute su ordinanza delle autorità comunali perché non più agibili, compreso il sovrappasso principale della stazione, la cui struttura è stata gravemente danneggiata dallo stress termico. Gianfranco Maffei, che nella strage ha perso il cognato, ricostruisce le cause, gli interessi, le dinamiche che hanno portato alla strage del 29 giugno, documentandole con profonda indignazione e commozione.

“Voglio tranquillizzare gli italiani. Tutto ha funzionato. La rete italiana è la più sicura d’Europa. Non sono io a dirlo, ma le statistiche.”
 
Mauro Moretti, Amministratore Delegato di FS



Fonte:


http://www.beccogiallo.org/shop/edizioni-beccogiallo/67-viareggio-una-strage-annunciata.html





giovedì 28 giugno 2012

CONTRO IL CARCERE E L'ERGASTOLO

  27 giugno, 2012 - 22:13

 
Testimonianza dell'iniziativa all'Ergastolo dell'isola di Santo Stefano (Ventotene) all'interno di una campagna contro l'ergastolo in particolare l'ergastolo "ostativo". Una quarantina di persone hanno portato un fiore sulle tombe del cimitero adiacente all'Ergastolo, cercando di dare un nome ai morti di ergastolo. Ne parliamo con una compagna e un compagno che hanno partecipato all'iniziativa.
Denuncia del tentativo di introdurre il Soft (Sex offenders full treatment), un trattamento psichiatrico per "trattare i detenuti condannati per reati di violenza sessuale. E' il primo passo per dispiegare la "medicalizzazione" di chiunque trasgredisce la legge. Un tentativo squallido e pericoloso che dobbiamo impedire.

Fonte:

mercoledì 27 giugno 2012

Ustica, l'anniversario della vergogna

mercoledì 27 giugno 2012 14:55

 La presidente dell'associazione dei parenti delle vittime, Daria Bonfietti accusa: lo Stato ha sospeso i risarcimenti per non accettare che il Dc9 sia stato abbattuto.


Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione delle vittime della strage di Ustica
Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione delle vittime della strage di Ustica

"E' vergognoso e inaccetabile che dopo 32 anni si sappia che hanno abbattuto un aereo civile in tempo di pace e non si sappia chi è stato: non conoscere gli autori di quell'evento è il pezzo di verità che manca". Nell'anniversario della strage di Ustica è duro il messaggio della presidente dell'Associazione delle vittime Daria Bonfietti, lanciato durante la commemorazione tenutasi a Bologna, a Palazzo D'Accursio, insieme al sindaco Virginio Merola e al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, in rappresentanza delle due città tra cui volava il Dc 9 Itavia quando precipitò in mare, davanti alle coste siciliane, provocando la morte di 81 persone.

"Invito il governo e la diplomazia italiani ad attivarsi presso gli stati che hanno ricevuto le rogatorie in maniera un po' più determinata, forte e convinta affinché i Paesi alleati rispondano" ha continuato l'ex senatrice, ricordando che "il Belgio ha risposto e ha detto per la prima volta di avere delle cose da dire ma che non ce le dice per interessi superiori e militari, eppure si chiedeva solo della presenza di loro aerei a Solenzara".
"Allora - ha sollecitato Bonfietti - vogliamo chiedere al Belgio questa impossibilità di darci la sua versione?".

Ma il nodo da sciogliere resta la Libia. "Abbiamo presentato alla Procura di Roma un'istanza affinché si cerchi Abdel Salam Jalloud (ex primo ministro del regime di Gheddafi), che si dovrebbe ancora trovare in Italia, e lo si interroghi" ha proseguito la presidente dell'Associazione, ricordando che la Libia non ha mai risposto alle rogatorie, quando invece "Gheddafi ha sempre rivendicato di essere lui la vittima designata di quella notte, quindi crediamo che dalle carte possano emergere elementi in più per chiarire la verità".

E proprio il fronte libico è legata anche alla necessità di "fare luce sul Mig libico caduto sulla Sila e ritrovato 18 giorni dopo" la strage di Ustica.

E poi c'è ancora la questione dei risarcimenti alle famiglie, oltre 100 milioni che lo Stato dovrebbe versare ai parenti delle vittime, ma che è stato sospeso. Secondo Bonfietti "c'è fatica da parte delle istituzioni del nostro Paese ad accettare la verità che il Dc9 è stato abbattuto". "Quando il Tribunale civile di Palermo condanna il ministero della Difesa e quello dei Trasporti e quindi determina dei risarcimenti, ma l'Avvocatura dello Stato ne chiede la sospensione - ha rimarcato Bonfietti - io non contesto il fatto che il condannato usi le armi che il diritto prevede, ma contesto il fatto che l'Avvocatura stia chiedendo ai suoi ministeri di non accettare questa verità, non dando luogo ai risarcimenti".

"Ora aspettiamo l'appello, ma il dramma è che stato fissato al 2015 - ha spiegato l'ex parlamentare - e questa non è giustizia". In questo modo, "ci si vieta di vedere prevalere la verità e la responsabilità dei nostri ministeri".

Infine resta da capire il ruolo dei servizi segreti in tutta la vicenda che, secondo Bonfietti, "avrebbero dovuto essere gli occhi che controllano quanto di doloso avviene in Italia, ma purtroppo non sempre è stato così nella nostra storia". Anche per questo, l'associazione chiede ormai da anni di aprire gli archivi e di rendere disponibili le carte dell'intelligence italiana.

Fonte:

martedì 26 giugno 2012

Giovane madre suicida nel carcere di Sollicciano

Di Valentina Perniciaro dal blog http://baruda.net/

25 giugno 2012

Se si apre il sito di Repubblica oggi, in prima pagina da questa mattina, troviamo la notizia del Carabiniere morto in Afghanistan.
Un esperto, un volontario alla sua quinta missione in quel martoriato paese.
Per trovare la notizia del suicidio avvenuto ieri sera nel carcere di Sollicciano, durante i quarti di finale dei campionati europei di calcio, bisogna aprire la pagina di Firenze,
e scorrere scorrere scorrere,
fino a trovare la notizia.
Si è suicidata una giovane donna, una giovane mamma, tossicodipendente.
Era entrata in carcere a gennaio, per una pena di 12 mesi..
e s’è impiccata alle sbarre della sua finestra.
Perché una mamma di due bambini con un solo anno di condanna era in carcere?
Perché una tossicodipendente arriva a suicidarsi in una cella?
Che schifo è questo?
Ora ci son due bimbi senza la loro mamma,
due bimbi che cresceranno consapevoli che la loro mamma è stata uccisa,
uccisa da uno stato che invece di aiutarla l’ha rinchiusa,
uccisa da uno stato che chiude una madre, 36enne, per una condanna ad un anno.
Non c’è parola alcuna, maledetti assassini.

Fonte:

Aldrovandi. I poliziotti insultano la madre di Federico


















  





Lunedì 25 Giugno 2012 10:52

di  Adriano Chiarelli 

La rabbia per la condanna in Cassazione porta Paolo Forlani a insultare pesantemente Patrizia Moretti. A fargli compagnia Simona Cenni, presidente di Prima Difesa, l'associazione per la tutela dei diritti dei poliziotti, e Sergio Bandoli, l'alpino che definisce Federico "cucciolo di maiale".
Pensavamo ingenuamente che dopo la sentenza della Cassazione, il caso Aldrovandi potesse essere consegnato per sempre alla storia, a servire da bussola giuridica per tutti i processi simili ancora in corso. Invece no, c’è chi non riesce a digerire la sconfitta; c’è chi dopo aver scelto un basso profilo per sette anni di processo - semplicemente per motivi d’appartenenza alla polizia di Stato, e non per coscienza - ora si sente in diritto di aggiungere veleno ai veleni, dall’alto della propria posizione di pregiudicato.
Quest’uomo è Paolo Forlani, il più anziano del quartetto di ex poliziotti; il più esperto e con maggiore anzianità di servizio, a quanto si legge dalle carte processuali. Quello che nel momento del pestaggio, in virtù della propria esperienza avrebbe dovuto placare i bollenti spiriti delle “schegge impazzite”, ma che invece ha spezzato sul corpo di Federico uno dei due manganelli. Quello che, si legge sempre dagli atti, piangeva lacrime di coccodrillo per lo scempio che lui e i suoi quattro colleghi avevano appena compiuto. E per un ipocrita che piangeva c’era mezza questura di Ferrara che rideva e fumava sigarette, davanti al cadavere di Federico steso a terra come un cumulo di stracci: il tutto è immortalato nel video della scientifica.
Dalla pagina facebook del gruppo PRIMA DIFESA, l’associazione che dovrebbe difendere i diritti umani degli appartenenti alle forze dell’ordine e alle forze armate, un manipolo di commentatori capeggiato da Forlani si è lanciato in una serie di pesanti insulti contro la madre di Federico, Patrizia Aldrovandi. Paolo Forlani è lo stesso che già aveva querelato la donna per aver pronunciato la parola “assassini” a processo ancora in corso. Non si poteva pronunciare la parola “assassini”, non si poteva dire niente finché non l’avessero stabilito i giudici. Ora si può dire, tutti lo possono dire: assassini, pregiudicati, ex-poliziotti seppur non ancora destituiti.
La sconfitta processuale è dura da digerire così come deve essere stato duro digerire l’aver buttato al vento la cospicua parcella dell’avvocato Niccolò Ghedini, visto il fiume di veleno e violenza che straripa dalla pagina di Prima Difesa.
A scorrere gli interventi e i post si evince chiaramente l’orientamento politico e morale di buona parte degli iscritti. Chi non è d’accordo con le loro tesi, chi non si appassiona alle decine di post su pistole, armi da fuoco, e caricatori di proiettili da svuotare addosso agli immigrati è un "comunista di merda". Chi condivide i contenuti delle sentenze Aldrovandi è disinformato e dovrebbe andare a leggersi gli atti. Chi afferma che Federico sia morto per un pestaggio è in malafede. I giudici di cassazione hanno emesso una sentenza politica ad uso e consumo dei media. È questo il contesto in cui si sviluppano i deliranti scambi di vedute sulla famiglia Aldrovandi.
Secondo il pregiudicato Forlani, Patrizia è “una faccia da culo” che non dovrebbe godersi il risarcimento ottenuto dallo Stato. Per Simona Cenni, la mente, l’ideatrice, la guida spirituale di questo bizzarro gruppo denominato Prima Difesa chiedere a gran voce la condanna degli ex-poliziotti è una follia, un’ingiustizia nell’ingiustizia. Si infuria Simona Cenni, nel momento in cui realizza che la sua strampalata battaglia per i diritti umani dei poliziotti fa acqua da tutte le parti.
Ancora secondo Paolo Forlani invece, sentirsi appellare assassino dopo 30 anni di onorato servizio è qualcosa di inostenibile, e chiunque affermi che Federico sia stato selvaggiamente pestato mente sapendo di mentire; si difende: “non l’abbiamo pestato, è morto perché drogato”, come diceva all’epoca il questore Elio Graziano; “mi additano come assassino perché qualcuno è riuscito a distorcere la verità” e invita tutti a leggere gli atti, non solo i giornali.
Noi li abbiamo sempre letti gli atti e parlano chiaro. Se il cuore di Federico si è fermato non è stato per le droghe ma per le manovre di contenimento e schiacciamento sul selciato. Quelle ginocchia sul torace hanno fermato il cuore, le manganellate, le botte, le torture gli hanno spezzato il respiro. Anche i tossicologi hanno stabiliti già in tempi non sospetti che le droghe che Federico aveva assunto non avrebbero potuto cagionare la morte.
Il climax di questa salva d’insulti e illazioni arriva da un alpino chiamato Sergio Bandoli che si spinge oltre affermando: ‘La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!’.
Il tam tam in rete comincia immediatamente e l’indignazione cresce in modo inarrestabile. È chiaro a tutti che il caso Aldrovandi non è ancoraq finito, e non potrà finire fino a quando non verranno arginati i bollenti spiriti delle “schegge” impazzite, che a quanto pare sono ben più di quattro poliziotti e va ben oltre il novero consolatorio delle “poche mele marce”.
Alla resa dei conti emerge la vera indole di questi personaggi. A leggerli, a osservarli, non si fa fatica a immaginarli curvi a infierire su Federico come belve, a spezzare manganelli, a “bastonarlo di brutto”.
Si apre un nuovo capitolo di questa storia infinita: Patrizia e Lino Aldrovandi hanno sporto denuncia contro Paolo Forlani, Simona Cenni e Sergio Bandoli. 

Fonte:

lunedì 25 giugno 2012

GENOVA NON E' FINITA. 10X100: FIRMATE L'APPELLO



GENOVA NON È FINITA.

DIECI, NESSUNO, TRECENTOMILA…

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA

La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana.
Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.
Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.
E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.
Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

Fonte: 

martedì 12 giugno 2012

Niki Aprile Gatti



 QUESTO SONO IO NIKI


Dal 2008 ad oggi Ornella Gemini chiede chiarezza sulla morte del figlio Niki Aprile Gatti.
L’alone di mistero che circonda questa vicenda deve far riflettere. La morte di per sé sconvolge tutti. Ancor di più quando a morire è un giovane 26 anni che amava studiare e cullava il sogno di realizzarsi nel mondo del lavoro per costruire una famiglia e guardare al futuro con ottimismo.
E’ il 19 giugno del 2008 quando Niki Aprile Gatti, viene tratto in arresto con l’accusa di “truffa informatica” nell’ambito dell’inchiesta “Premium” volta a sgominare le truffe degli 899.
Niki lavorava come informatico per il gruppo di aziende oggetto dell'inchiesta del magistrato fiorentino Paolo Canessa che vede incriminate un gruppo di aziende di telefonia sanmarinesi , più altre società con sede a Londra; insieme a lui vengono indagate altre 17 persone della stessa azienda.
Dal giorno dell’arresto per Niki Aprile inizia un calvario che terminerà con un "suicidio" sul quale, ancora oggi, nessuno è riuscito a far luce. Ma andiamo con ordine.
E’ il 19 Giugno 2008. La mamma di uno dei soci maggioritari, quello che viene riconosciuto come il titolare, comunica telefonicamente a Niki se può recarsi dall'avvocato aziendale per informarsi sull'arresto del figlio. Il giovane, presumibilmente ignaro di quello che stava accadendo, da San Marino si reca a Cattolica. Dinanzi al portone di ingresso dello studio dell’avvocato aziendale viene arrestato e portato in un carcere.
A fornire tali informazioni è l’avvocato aziendale alla mamma di Niki il 20 di Giugno 2008. Lo stesso avvocato informa successivamente che il giovane si trova in regime di isolamento. Nel frattempo Ornella Gemini, mamma di Niki, apprende che il carcere dove è rinchiuso il figlio è presumibilmente quello di Rimini che risultava il più vicino a Cattolica. Il 23 Giugno 2008 alle ore 9,00 Niki deve presentarsi al tribunale di Firenze per l'interrogatorio di garanzia. Il ragazzo viene accompagnato con un blindato e fatto scendere in manette. La mamma prova inutilmente ad avvicinarsi al figlio ma le viene intimato di stare almeno a venti metri di distanza. Nel mentre la signora Gemini incrocia l’avvocato, che avrebbe dovuto accompagnare Niki durante l’interrogatorio di garanzia, il quale la informa che era stato ricusato e che il figlio non si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Il giorno seguente (24 Giugno 2008) alle ore 13:15 la signora Ornella Gemini, mamma di Niki, riceve la telefonata dal carcere di massima sicurezza di Sollicciano che la informa della morte, a seguito di suicidio, del suo amato figlio.
Il 10 maggio del 2010 la morte di Niki Aprile viene archiviata come suicidio.
La storia potrebbe sembrare uguale a tante altre ma non lo è. Ed è a tal proposito che è stato composto il comitato Verità e Giustizia per Niki per fare luce su una vicenda che da quel 19 Giugno 2008 si porta dietro tante, troppe domande a cui nessuno, fino ad ora, è riuscito a dare risposta.
La prima: Niki era incensurato. Perché viene portato in un carcere di massima sicurezza? E a tal proposito perché non viene rispettato il protocollo di "primo ingresso" che agevola il contatto con la famiglia?
La seconda: perché, visto il reato imputatogli, non sono stati sequestrati i computers? Mezzi informatici che, è giusto precisarlo, vengono trafugati dalla casa di Niki insieme a tutto il resto delle sue cose. (Una ventina di giorni dopo i familiari di Niki si accorgono del furto in casa quando, nel consegnare le chiavi al proprietario che aveva affittato l’appartamento a Niki la trovano completamente vuota. Così come casuali risultano essere i furti dei computers all’interno dell'azienda in cui Niki lavorava.)
La terza: Niki muore suicidato dopo essersi impiccato. Ma come può un laccio da scarpe sostenere il peso di un ragazzo di 92 kg, alto 1,80 cm? E perché sul laccio non è stato eseguito nessun esame del Dna come richiesto dalla madre?
La quarta: Come può Niki morire alle ore 10 del 24 Giugno 2008 (è quanto risulta dal referto dell'autopsia) e contemporaneamente parlare con un agente penitenziario che, fra l'altro, lo descrive tranquillo (testimonianza agli atti).
La quinta: perché se muore alle ore 10 il soccorso viene chiamato alle ore 11:15? Cosa accade in quell’ora e quindici minuti?
La sesta: Come ha potuto Niki auto-spedirsi il telegramma (che si evince dalla foto allegata) qualche giorno dopo il suo arresto visto che il mittente e il destinatario del telegramma è lui stesso. Non solo, il telegramma parte dalla sua casa di San Marino.
Come ha potuto Niki ricevere il telegramma? il regime d'isolamento non lo consente. http://www.facebook.com/photo.php?fbid=1687586151064&set=a.1131655173137...
Infine due considerazioni. Niki risulta dimissionario da un'azienda londinese nella quale figura come amministratore delegato in data 01.11.2008. Nulla di strano se non fosse per quelle dimissioni che lui stesso avrebbe dato a quattro mesi di distanza dalla sua morte. Come dimostra il link consultabile http://www.indymedia.org.uk/en/2009/02/422284.html.
Da segnalare in conclusione che sulle truffe degli 899 e sulla morte di Niki esistono ben tre interrogazioni parlamentari a cui non è stata mai data risposta (due dell'On. Elio Lannutti e una dell'On. Anna Paola Concia).

Il comitato
Verità e Giustizia per Niki

Fonte:


 

martedì 5 giugno 2012

E' morta la madre di Valerio Verbano

Ho appena letto della scomparsa di Carla Rina Verbano. La contattai tempo quando la invitai tra gli amici di Facebook. Avrei voluto incontrarla ma era molto malata, doveva operarsi. Davvero una tristissima notizia... :-(
Ciao, Carla. ♥
 
Se ne è andata questa sera Carla Verbano, madre di Valerio, ucciso davanti ai suoi occhi dai fascisti del Nar il 22 febbraio del 1980.
«Se ne è andata questa sera Carla Verbano. Ci ha lasciato dopo aver lottato a lungo e con tenacia contro un male che da anni la tormentava. Per noi Carla non è stata solo la madre di un compagno assassinato,Valerio, l'esempio di una donna e di una madre che fino all'ultimo ha lottato per avere verità e giustizia sull'omicidio del figlio, ma anche un amica e una figura importante per le nostre vite e per le nostre battaglie. Una compagna e una amica che abbiamo avuto vicino nei momenti difficili così come in quelli più felici». Così una nota di un gruppo di militanti.
In questo modo è arrivata la notizia alle agenzie.
Carla da 32 anni lottava per avere giustizia. In fondo soltanto sapere chi e perché aveva ucciso Valerio, in casa, dopo aver legato e imbavagliato lei e il padre, in uno degli agguati più infami condotti dai fascisti in quegli anni.
Ultraottantenne, gestiva ben due profili Facebook in cui continuava a intrattenere rapporti con compagni e amici di Valerio, nonché con altre migliaia di compagni e ragazzi che ne avevano soltanto letto la storia, anni dopo.
Le inchieste della magistratura, dopo l'uccisione del giudice Mario Amato, unico incaricato di dare la caccia ai Nar, solo e senza scorta, non sono mai state condotte con particolare impegno. Anzi, ci è sempre sembrato l'opposto. Fin dalla sparizione di molte prove, in alcuni casi per ordine di altri magistrati (come la distruzione del passamontagna perduto nella colluttazione da uno degli assassini). Negli ultimi due anni - anche in seguito a libri che hanno ripercorso con più o meno profondità la dinamica dell'omicidio e la mappa dei fascisti attivi a Roma in quegli anni - era sembrato che qualcosa si fosse mosso. Un'indagine del Dna sugli occhiali perduti da "capo" del commando aveva dato esito positivo. Ma poi tutto è tornato sotto silenzio, in quel "porto delle nebbie" che è sempre stata la Procura di Roma.
Addio Carla, non ci potremo mai dimenticare il tuo sguardo. E la tua decisione.
Fonte:

ANNIVERSARIO NAQSA, PALESTINESI HANNO RICORDATO GUERRA 1967 E OCCUPAZIONE MILITARE ISRAELIANA CON MANIFESTAZIONI E CORTEI. SCONTRI A HEBRON


 I palestinesi hanno ricordato oggi con manifestazioni in Cisgiordania e a Gaza il 45esimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni (1967), tra Israele e i Paesi arabi, conclusasi con l'occupazione di territori arabi e palestinesi. E' la Giornata della Naqsa, ossia della sconfitta, per tutti i palestinesi. A Gaza migliaia di persone si sono raccolte nella piazza del Milite Ignoto e poi sono sfilate in corteo fino alla sede delle Nazioni Unite.
Manifestazioni anche in diverse città della Cisgiordania. A Hebron centinaia di dimostranti si sono scontrati con le forze di occupazione israeliane.

Fonte: 
Nena NewsAgency

Un accenno -tra le altre cose- alla storia di Margherita "Mara" Cagol nell'ultimo libro di Pino Casamassima




 br_marac




Nell’ultimo libro di Pino Casamassima – Gli irriducibili. Storie di brigatisti mai pentiti -, uscito un paio di mesi fa per i tipi di Laterza, nel capitolo su Renato Curcio, si racconta anche di Margherita "Mara" Cagol, della sua militanza e della sua uccisione. Qui mi si sono chiariti particolari e situazioni che ignoravo.

sabato 2 giugno 2012

2 GIUGNO, LA REPUBBLICA E' UNA E IN DIVISA

Art. 1 della Costituzione italiana

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 11

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 12

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
*
01 giugno 2012
 

Riunione al Quirinale per decidere come rendere sobria la parata del 2 Giugno. «Signori, e se facessimo sfilare un tricolore bianco, rosso e verde-loden?». «Bella idea!». «Sì, sobrio, bisogna dare un segnale. Del resto abbiamo ridotto i fondi della parata che quest’anno ci costerà appena 2,6, massimo 2,9 milioni di euro». «Potremo cambiare nome a “Via dei Fori Imperiali” in “Via dei Buchi di Bilancio”. Per dare un segnale».
«E i bersaglieri con la fanfara? Forse quest’anno non è il caso». «Giusto, quest’anno niente fanfara. Ordiniamogli di sfilare con le mani in tasca, facendo finta di passare di lì per caso». «E i corazzieri?». «Facciamoli marciare. Ma dovranno indossare le pattine, così non rovinano il manto stradale».
«E niente cavalli, mi raccomando: quest’anno niente cavalli. Al massimo, i carabinieri possono sfilare con un cane da grembo». «Ma è ridicolo! Ce lo vedi un uomo con il mantello, la feluca, le mostrine dorate, il pennacchio rosso e blu e un chihuaua in braccio come Paris Hilton?!».
«Ok, è ridicolo. Ma ammetterai che se pure togli il chihuaua…».
«Non essere irriverente!». «Va bene, vada per gli alani. Ma niente cavalli».
«Mio nipote ha un aquilone bianco. Se ne rimediamo anche uno rosso e uno verde…». «No, dai, le Frecce Tricolori teniamole! Se proprio dobbiamo reperire fondi per il terremoto possiamo ordinare al plotone della polizia municipale di sfilare facendo le multe ai blindati».
«Ancora fondi per il terremoto? Il governo ha già aumentato la benzina! Ormai è così cara che quando vado a fare il pieno il benzinaio mi chiede se lo voglio con la scorza di limone o senza».
«Ho un’idea: e se la La banda del Quirinale suonasse il silenzio di John Cage?».
«Signori, la nostra è una grande Nazione: io dico che possiamo permetterci di occuparci dei terremotati senza per questo svuotare la Festa del 2 giugno della sua retorica militarista». «Giusto!». «Questo sì che è spirito patriottico!».
«Del resto, se nella storia della Repubblica non è stata sospesa la parata militare dopo le stragi, non vedo perché dopo il terremoto».
«E se in ricordo delle vittime di tutte le stragi l’esercito sfilasse davanti alle più alte cariche esplosive delle Stato?».
«Intanto continuano ad arrivarci mail di cittadini che domandano come mai la nascita della Repubblica deve essere ricordata con una parata militare. Che gli diciamo?».
«Che la Repubblica è una e in divisa».

Fonte: