Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


mercoledì 28 marzo 2012

Edo e Sole




Edoardo Massari (4 aprile 1963 - Torino, 28 marzo 1998) è stato un anarchico e uno squatter italiano. Fu vittima delle repressione istituzionale e di un vero e proprio complotto giudiziario ordito a carico suo e dei suoi compagni che lo spinse al suicidio.
Edoardo Massari (detto Baleno) nasce il 4 aprile 1963 in una famiglia operaia originaria del Canavese (Piemonte). Sin da adolescente inizia la frequentazione dei centri sociali: inizialmente è un attivista di El Paso (dove verrà coniato il suo soprannome: Baleno), il primo centro sociale anarcho-punk torinese; partecipa a diverse iniziative degli squatters, anche fuori Piemonte: ad Aosta con il collettivo Piloto Io, a Roma con gli occupanti in Piazza dei Siculi, ad Alessandria al Forte Guercio, a Cuneo al Kerosene Occupato e alla Scintilla di Modena.
Nel 1991, ad Arè, vicino Caluso (To), è tra gli occupanti della piscina comunale. Per contestare questo sgombero decide di "prendere in possesso", insieme ad altri compagni, il palazzo del municipio di Caluso. Vengono tutti denunciati. Baleno, che come forma di protesta estrema ed iconoclasta, “cagherà” pubblicamente sulla bandiera italiana, subirà per tutti questi fatti una prima condanna a 7 mesi e 15 giorni per «interruzione di pubblico servizio e oltraggio a pubblico ufficiale».
La sera del 19 giugno 1993, mentre Edoardo sta lavorando alla saldatura di alcuni pezzi di motorini e biciclette, esplode la bomboletta del gas che gli serviva per gonfiare le ruote (probabilmente l’eccessivo calore è il responsabile dell’esplosione). Edoardo Massari si ferisce leggermente ad un braccio, si reca al pronto soccorso ma quando torna a casa trova la polizia ad attenderlo. Immediatamente viene arrestato e denunciato per fabbricazione di ordigni esplosivi. Dopo 6 mesi di detenzione preventiva, scioperi della fame e manifestazioni varie, Edoardo Massari viene condannato a 2 anni e 8 mesi. Successivamente gli infliggono una pena di 4 mesi per oltraggio nei confronti di una guardia carceraria, compiuto durante la detenzione preventiva.
Esce dal carcere nel dicembre 1996 e va ad abitare all’Asilo Occupato di via Alessandria, a Torino. Ai primi di settembre del 1997, Baleno, insieme tra gli altri ai compagni ed amici Silvano Pelissero e Maria Soledad Rosas, si trasferisce alla Casa di Collegno, che si trova all’interno del parco del manicomio di Collegno (occupato dal 1996).
Durante una vacanza alle Isole Canarie, tra Sole e Baleno nasce l’amore. La felicità dura poco: il 5 marzo 1998 Silvano Pelissero, Edoardo Massari e l’argentina Maria Soledad Rosas, vengono tutti arrestati. L’accusa, abilmente orchestrata grazie anche al contributo decisivo dei media nazionali, è quella di appartenere ad una fantomatica organizzazione eco-terrorista, i "Lupi Grigi", responsabile di una serie di attentati in Val Susa contro la linea ad alta velocità Torino-Lione.
All'alba di sabato 28 marzo, secondo la versione ufficiale, Edoardo Massari viene trovato agonizzante, impiccato con le lenzuola alla sua branda del carcere torinese delle Vallette [1]. L’11 luglio si suiciderà anche la sua amata Maria Soledad Rosas

Fonte:

venerdì 23 marzo 2012

FOSSE ARDEATINE: IDENTIFICATI TRE CADUTI NELL'ECCIDIO DEI NAZISTI

Nuovi nomi vittime Fosse Ardeatine: sono Marco Moscati, Salvatore La Rosa e Michele Partito

I carabinieri del Ris danno un nome certo a tre delle vittime dei nazisti finora rimaste ignote: Marco Moscati, Salvatore La Rosa e Michele Partito

di Redazione 23/03/2012
Tre nuovi nomi tra le vittime di mano nazista avvenute durante l'occupazione di Roma fecero: si tratta di Michele Partito che si aggiunge a quelli di Marco Moscati, Salvatore La Rosa uccisi nel 1944 durante l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Rimangono ora nove (su 335) i caduti "noti, ma non identificati" e "ignoti" nei sepolcri del sacrario romano. Gli indizi sulla probabile identità di Moscati (i resti si trovano nel sacello numero 283) e La Rosa (sacello 273) erano emersi già lo scorso anno.
Ora, al termine di ulteriori e complesse analisi, fa sapere il ministero della Difesa, si è raggiunta la "ragionevole certezza" (pari ad oltre il 99% delle probabilità). Mentre per Partito (sacello 155) la probabilità è al 92%. Le indagini hanno avuto impulso dalla richiesta partita dalla comunità ebraica e dall'Anfim al presidente della Repubblica ed al ministro delle Difesa. Il ministero ha chiesto l'intervento del Ris dei carabinieri di Roma per esame del dna dei resti. Sono state, pertanto, avviate ricerche, in Italia e all'estero, per individuare i parenti più prossimi dei caduti "noti ma non identificati", al fine di ottenere il previsto assenso formale per poter prelevare i campioni biologici. L'attività si è prolungata a causa della complessità degli esami su reperti risalenti al 1944 e per assumere ulteriori informazioni di tipo antropometrico, anch'esse utili per l'identificazione.
E per ogni nome si dipana una storia. Quella di persone rastrellate dai nazisti (detenuti, fermati, ebrei) e massacrati come atto di rappresaglia per l'attacco partigiano in via Rasella del giorno precedente, che causò la morte di 33 tedeschi.
Marco Moscati, giovane partigiano di origine ebraica che combatteva nei Castelli Romani ed era soprannominato 'Marchello', aveva 28 anni quando fu ucciso alle Fosse Ardeatine insieme al fratello Emanuele. Era stato arrestato dalla polizia fascista dopo una delazione. Aveva tentato di fuggire dal carcere di Regina Coeli ma era stato preso a piazza del Popolo. I parenti di Marco per anni si sono battuti con l'obiettivo di raggiungere l'identificazione dei resti.

Salvatore La Rosa era un militare che aveva abbracciato la lotta partigiana. Rosina Stame si dice "felice" per i nomi ritrovati. "Le persone - spiega - non sono numeri. Ai diversi, a cominciare dagli ebrei, fu apposto un numero che non rappresenta nulla. Nel numero non si evidenzia la persona. Adesso siamo nel 2012 ed è arrivato il momento che si dia un nome a quelli che fino ad oggi e per troppi anni sono stati solo numeri". Domani, in occasione del discorso per la ricorrenza dell'eccidio, Stame chiederà nuovamente "che la scienza, che ha patto passi da gigante, non si fermi e ci si batta per identificare tutti i caduti". E tra gli ignoti, ricorda Carla Di Veroli, assessore alla Cultura e alla Memoria dell'XI Municipio che ospita il sacrario, "continuano a rimanere, nel gruppo dei 75 ebrei, quattro persone da identificare di cui tre stranieri. Auspico che il ministero della Difesa faccia un'indagine a livello europeo per chiedere ai Paesi se nei loro archivi risultano esserci persone con i nomi che non sappiamo ancora oggi abbinare ai numeri dei sacelli".

Fonte:

http://www.romatoday.it/cronaca/nomi-vittime-fosse-ardeatine.html 



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martedì 20 marzo 2012

L'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin



Di Francesco "baro" Barilli
24 settembre 2003
(n.d.a.: l'articolo è precedente l'inizio dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, presieduta dall'on. Taormina. I contenuti dell'articolo, conseguentemente, prescindono dalle conclusioni di tale Commissione).

20 marzo 1994. L'Italia sta vivendo ancora il "ciclone tangentopoli". Già da un paio d'anni le cronache denunciano un sistema "sotterraneo" (ma non troppo...) che inquina la vita politica ed economica italiana. Il Paese ha seguito quelle cronache con vivo interesse, scoprendosi indignato di fronte alla realtà di un apparato politco-burocratico che vive e prospera fuori dalla legalità. Ma quel giorno l'Italia è scossa da un altro avvenimento, solo apparentemente legato alla semplice cronaca nera: la giornalista del TG3 ILARIA ALPI e l'operatore MIRAN HROVATIN vengono uccisi a Mogadiscio, in Somalia.
Perché ho deciso di accostare due argomenti così distinti in apparenza, come tangentopoli ed il duplice omicidio di Mogadiscio? Perché in realtà anni di indagini e di ricerche (dovute soprattutto al coraggio dei genitori di Ilaria e alla professionalità di alcuni giornalisti) hanno dimostrato che l'omicidio Alpi/Hrovatin maturò in uno scenario sinistramente vicino a quello di tangentopoli. Ma su questo parallelo torneremo più avanti; per ora vediamo di ricostruire i fatti.

***
L'AGGUATO

Già i primi "lanci" ANSA furono chiari su quanto avvenuto a Mogadiscio: un agguato in piena regola. Un commando di 7 persone armate a bordo di una Land Rover seguì, sorpassò e bloccò l'auto con a bordo i due giornalisti italiani (accompagnati da un uomo di scorta e da un autista). L'uomo di scorta e l'autista riuscirono a scendere e ad allontanarsi; Ilaria e Miran furono freddati da due colpi sparati a distanza ravvicinata (nel caso di Ilaria quasi a contatto), entrambi al capo. L'agguato avvenne poco distante dall'Hotel dove i due giornalisti erano diretti. Ricordiamo che proprio per quei giorni era previsto il ritorno in Patria del contingente italiano impegnato nella missione di pace "Restore Hope" in Somalia: da lì a pochi giorni anche la Alpi e Hrovatin avrebbero lasciato la Somalia.
Per una volta sembra che proprio la prima ricostruzione sia quella più aderente alla realtà e che, conseguentemente, la speranza di vedere individuati i colpevoli sia concreta: abbiamo un gruppo di uomini armati appostati nell'attesa dell'auto con i due giornalisti; un inseguimento; un'aggressione mirata (ripeto che le persone che accompagnavano i due giornalisti scendono illese); non esistono prove di furti o altro che sottendessero l'azione criminale; al momento dell'omicidio pressochè tutto il contingente militare italiano era già imbarcato sulla nave "Garibaldi" in vista del ritorno in Italia, ed anche questo fa pensare ad un'accuratezza nella scelta dei tempi dell'agguato. Si tratta di un'esecuzione in piena regola, insomma, eseguita con dispendio di uomini e mezzi... E ogni esecuzione ha, di norma, dei mandanti... Ma nonostante questa iniziale chiarezza la vicenda del duplice omicidio sarà destinata ad essere inquinata dalle solite "stranezze" tutte italiane, compresi i soliti tentativi di depistaggio, silenzi, errori ed omissioni.
Si arriverà alle ipotesi più disparate: un tentativo di rapimento o di rapina finito in tragedia; oppure un atto di ostilità anti-italiano (o anti occidentale) da parte di fondamentalisti islamici.
Un capitolo a parte lo merita la cosiddetta "ipotesi Aloi". Questa ipotesi rischia però di portarci fuori strada, allargando il discorso alle azioni non proprio edificanti di cui si rese protagonista il contingente militare italiano in Somalia. La affronterò quindi in seguito, nella parte in cui tenterò di ricostruire il contesto ambientale della Somalia di quegli anni.

***
I DEPISTAGGI

Ma torniamo ora alle "stranezze" cui accennavo in precedenza... Queste cominciano subito dopo l'omicidio: il 22 marzo vengono consegnati ai genitori di Ilaria gli effetti personali della figlia, ma la borsa e la valigia di Ilaria non presentano tracce di sigilli, come avrebbe dovuto essere naturale. In quel momento i coniugi Alpi non possono avere la certezza che qualcosa sia stato prelevato da quei bagagli (o che qualcuno possa averli manipolati DOPO la loro sigillatura), ma già pochi giorni più tardi, consultando i colleghi di Ilaria che avevano ricomposto gli effetti personali, quella certezza si materializza: dei 5 block-notes stilati da Ilaria durante la permanenza in Somalia 3 sono spariti; così pure "spariscono" 2 fogli in cui la giornalista aveva annotato numeri telefonici, il referto medico e alcune foto delle salme scattate sulla "Garibaldi", e pure la macchina fotografica di Ilaria... E tutte queste sparizioni avvengono sull'aereo che riporta in Italia i corpi dei due giornalisti (quindi in un contesto che avrebbe dovuto garantire la massima discrezione e sicurezza). Alcuni di questi documenti non verranno mai rintracciati; altri verranno consegnati ai coniugi Alpi con mesi di ritardo, a volte adducendo scuse poco credibili (per usare un eufemismo) per la loro sparizione: è il caso dei due fogli contenenti i numeri telefonici, che vennero trattenuti dall'ambasciatore Umberto Plaja e restituiti all'allora Presidente della RAI Demattè con strascico (dopo altri mesi) di una lettera del ministro degli Esteri, Antonio Martino, che adduceva "motivi umanitari" che avrebbero portato alla decisione di trattenere momentaneamente quei documenti.
Ma questo è solo l'inizio...
Quante volte ho dovuto usare parole come quelle usate in precedenza (silenzi, errori ed omissioni), parlando di Ustica o della strage di Bologna, di Peppino Impastato come di Carlo Giuliani... Devo farlo anche stavolta, cominciando con il Gen. Carmine Fiore, il quale (probabilmente nel tentativo di difendere il comportamento proprio ed in generale del contingente italiano nell'immediatezza del fatto) giunse a fornire, in una lettera ai coniugi Alpi, una ricostruzione dell'evento non rispondente a verità e in contraddizione con il contenuto che lo stesso generale fornì allo Stato Maggiore dell'esercito con relazione del 1° giugno 94. La questione ebbe anche uno strascico spiacevole: Luciana Alpi contestò quelle falsità e quelle contraddizioni pubblicamente, ed il Gen. Fiore querelò la madre di Ilaria, generando così una situazione a dir poco paradossale: per molti mesi la sig.a Alpi divenne l'unica indagata (per diffamazione) in relazione all'omicidio della figlia, mentre ancora restavano senza un nome i protagonisti dell'omicidio. Per fortuna il tribunale decretò il "non luogo a procedere" in quanto il fatto non costituiva reato, riconoscendo esplicitamente la non correttezza delle affermazioni del gen. Fiore.
Ma l'inchiesta arriverà ad altre "stranezze". Si arriverà persino a parlare di un unico colpo vagante che avrebbe ucciso sia Hrovatin che Ilaria, con un'ipotesi che non aveva neppure il pregio dell'originalità (ricordate la teoria della pallottola impazzita nel caso Kennedy?) e soprattutto cozzava con una ricostruzione dei fatti che, per una volta, già nell'immediatezza dell'evento era apparsa chiaramente: un'esecuzione verso un bersaglio preciso e non una tragica fatalità; un'esecuzione per scopi magari ancora non del tutto chiari, ma pianificata ed eseguita con freddezza.


giovedì 15 marzo 2012

Fausto e Iaio

Milano, 18 marzo 1978. Tardo pomeriggio. Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci detto Iaio, diciannove anni, sono due amici  inseparabili: due ragazzi impegnati a sinistra,frequentano il centro sociale Leoncavallo. Negli ultimi mesi fanno parte di un gruppo di giovani che lavorano ad un dossier sullo spaccio di eroina a Milano. Non sono militanti di partiti politici. Spesso di sabato si recano a casa di Fausto dove la madre Danila prepara la cena. L'appuntamento è alle 19,30 alla Crota piemunteisa di via Leoncavallo, proprio davanti al centro sociale. Fausto raggiunge il locale intorno alle 19. Nella sala biliardo sono presenti tre giovani mai visti prima. Lo confermano alcuni testimoni. Lorenzo arriva alle 19,35, in ritardo di pochi minuti. Alle 19,45, Fausto e Lorenzo escono dal locale, attraversano la strada e a piedi si incamminano lungo via Lambrate. Il tragitto è breve, trecento metri. I due ragazzi si trovano ora in piazza San Materno, svoltano a sinistra in via Casoretto. Altri ottanta metri e sono davanti al chiosco dei giornali. L'edicolante li sente commentare i titoli dei quotidiani del pomeriggio, La Notte e Il Corriere dinformazione, con gli articoli relativi alle indagini sul sequestro del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro e l'uccisione dei cinque uomini di scorta, fatti avvenuti soltanto due giorni prima (16 marzo 1978), a Roma, in via Fani. Fausto e Lorenzo stanno percorrendo il tratto di strada tra via Casoretto e via Mancinelli. Sono le 19,58. Tre persone sono ferme davanti al portone dell'Anderson School. Fausto e Lorenzo vengono attirati da qualcosa o da qualcuno in via Mancinelli. Il campanile della chiesa del Casoretto batte le 20. Il loro cammino si ferma, per sempre. Otto proiettili Winchester, calibro 7,65, vengono sparati da un killer professionista. Una esecuzione. I corpi si accasciano a terra. Il primo a cadere è Fausto. Il proiettile lo colpisce all'addome; gli altri tre in rapida successione all'emitorace sinistro, al braccio destro e alla regione lombare sinistra. Fausto compie una torsione su se stesso. Il quinto proiettile lo raggiunge di striscio bucando gli indumenti. Poi tocca a Lorenzo. Tre colpi lo fanno crollare sul marciapiede, mentre tenta una fuga impossibile. Vicine ai killer si trovano Marisa Biffi e le sue due figlie minori Alessandra e Cinzia Frontini. Dice la signora Biffi: "Tre ragazzi sono in piedi sul marciapiede e si trovano a 5-6 metri da me. Contemporaneamente un altro giovane è leggermente piegato e si comprime lo stomaco con entrambe le mani. Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi tanto che penso che quel gruppo di quattro persone sta scherzando. Non vedo alcuna fiammata di arma da fuoco. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade in terra. Solo allora comprendo che è successa una cosa pazzesca e mi avvicino al giovane caduto anziché entrare subito nella parrocchia. Scorgo la fisionomia di un ragazzo steso per terra in una pozza di sangue. Subito oltre il suo corpo e quindi più vicino alla via Leoncavallo, cè davanti a me, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. Posso senz'altro affermare che quello che cade per primo è Lorenzo Iannucci mentre quello già steso a terra è Fausto Tinelli. Nessuno dei due ragazzi pronuncia alcuna parola, neppure uninvocazione di aiuto. Altrettanto fanno gli assassini che fuggono nel silenzio, avviandosi verso via Leoncavallo. Escludo di aver visto mettersi in moto una macchina verso via Mancinelli, subito dopo gli spari. Noto che il giovane con limpermeabile ha un sacchetto che sembra di cellophane bianco in mano. Mi pare che lo abbia diretto verso il killer che si contorce e che entrambe le mani stanno dentro il sacchetto. Il giovane sta sparando verso Iannucci. Non ho visto altri sacchetti nelle mani dei due giovani e non ho neppure visto alcuno di loro assumere un atteggiamento quale quello che può assumere uno sparatore. Secondo me allo Iannucci spara una sola persona. Forse i colpi sono attutiti da unarma dotata di silenziatore. Ripeto: ho la netta impressione che il sacchetto bianco sia di plastica e che lassassino vi tenga le mani dentro. Le braccia del giovane comunque sono distese in avanti". Marisa Biffi riconosce dunque due killer. Il primo è alto circa un metro e settanta, snello, capelli castano scuri, indossa un impermeabile chiaro. Il secondo è simile al primo come corporatura, porta un giubbotto color cammello. Alessandra e Cinzia Frontini osservano il delitto dalla stessa visuale della madre Marisa Biffi. Le tre testimonianze sono sovrapponibili. Spunta il quarto teste. Natale Di Francesco, invalido civile, nota tre giovani in fuga all'incrocio tra via Mancinelli e via Leoncavallo, a pochi metri dal centro sociale. Due assassini sono di corporatura normale, alti un metro e settanta, capelli scuri e lisci. Sul luogo del duplice delitto non vengono rinvenuti bossoli, né proiettili. Due calibro 7,65 sono ritrovati tra gli indumenti di Fausto e  Lorenzo. Accanto al corpo senza vita di Iaio, i killer lasciano un berretto di lana di colore blu intriso di sangue. Sarà distrutto nel 1988 dallUfficio Corpi di Reato del Tribunale di Milano. Intorno alle 20,10 in piazza Durante, la polizia ritrova una pistola calibro 9, lanciata da una persona a bordo di una motocicletta di grossa cilindrata. E pochi minuti dopo, in iazza Aspromonte, Pierre Manuel Orbeson e Magda Margutti notano due giovani a bordo di una Kawasaki color verde chiaro. La coppia osserva attentamente la scena: il passeggero scende dalla moto, zoglie dalla targa una sorta di copertura legata con un elastico ed entra in una vicina pizzeria. Pierre Manuel Orbeson memorizza il numero della targa (MI 538738) e lo passa al giornalista Antonio Belloni.  La moto è intestata a Gaetano Russo, pregiudicato per rapina e furti, e Antonio Ausilio, incriminato per vari reati, tra cui tentato omicidio. Sul loro conto, nessun ulteriore accertamento viene svolto dalla polizia giudiziaria.

a cura di
Daniele Biacchessi

www.faustoeiaio.it
a cura della Associazione Familiari e Amici di Fausto e Iaio
tutti i diritti riservati


Strage di Monchio, Susano e Costrignano

Appennino modenese.
Questi borghi oggi fanno parte del comune di Palagano ma, durante la guerra, facevano parte del comune di Montefiorino.
Nei primi giorni di marzo del 1944 si erano avuti in queste zone diversi scontri fra partigiani e soldati nazifascisti, conclusisi con la morte di circa una decina di fascisti e un ufficiale nazista.
I tedeschi decidono quindi di intervenire in modo massiccio, con una imponente rappresaglia per ostacolare il diffondersi del partigianato, e inviano nella zona un reparto di paracadutisti della divisione corazzata Hermann Goring, sotto il comando del capitano Kurt Cristian von Loeben, e reparti della G.N.R. di Modena.
Questi il 18 marzo circondano la valle all’alba e danno inizio al cannoneggiamento delle frazioni di Monchio, Susano e Costrignano. A causa dei bombardamenti agli abitanti è resa praticamente impossibile la fuga.
Alle cannonate fa seguito la rappresaglia con i mezzi corrazzati, i quali entrano nei borghi dando inizio a un vero e proprio massacro. Vengono risparmiati inizialmente, per essere poi fucilati nel pomeriggio a Monchio, solo alcuni uomini necessari al trasporto del frutto delle razzie.
Alla fine di quello che viene definito uno sterminio a tutti gli effetti, si conteranno 139 civili morti.

Fonte:

Rachel Corrie

In Memoriam
~ Rachel Corrie ~
1979 - 2003
 


Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense, è stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Rachel tentava di evitare che la ruspa demolisse l'abitazione di un medico palestinese nella Striscia di Gaza.
Nelle sue ultime lettere racconta ai familiari la Palestina che ha conosciuto partecipando alle azioni dell'
International Solidarity Movement.

7 febbraio 2003
Ciao amici e famiglia e tutti gli altri,
sono in Palestina da due settimane e un'ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome - Alì - o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri.
I bambini amano anche farmi esercitare le poche conoscenze che ho di arabo chiedendomi "Kaif Sharon?" "Kaif Bush?" e ridono quando dico, "Bush Majnoon", "Sharon Majnoon" nel poco arabo che conosco. (Come sta Sharon? Come sta Bush? Bush è pazzo. Sharon è pazzo.). Certo, questo non è esattamente quello che credo e alcuni degli adulti che sanno l'inglese mi correggono: "Bush mish Majnoon" ... Bush è un uomo d'affari. Oggi ho tentato di imparare a dire "Bush è uno strumento" (Bush is a tool), ma non penso che si traduca facilmente. In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi anni fa.
Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l'esperienza stessa non corrisponde affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare l'esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l'oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.
Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivolto la parola dall'altro lato del confine. "Vai! Vai!" mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto "come ti chiami?". C'è qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni. Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle case mentre noi ci allontaniamo.
Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto del mondo qui, ma sento dire che un'escalation nella guerra contro l'Iraq è inevitabile. Qui sono molto preoccupati della "rioccupazione di Gaza". Gaza viene rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che la paura sia quella che i carri armati entrino in tutte le strade e rimangano qui invece di entrare in alcune delle strade e ritirarsi dopo alcune ore o dopo qualche giorno a osservare e sparare dai confini delle comunità. Se la gente non sta già pensando alle conseguenze di questa guerra per i popoli dell'intera regione, spero che almeno lo iniziate a fare voi.
Un saluto a tutti. Un saluto alla mia mamma. Un saluto a smooch. Un saluto a fg e a barnhair e a sesamees e alla Lincoln School. Un saluto a Olympia.

Rachel

20 febbraio 2003
Mamma,
adesso l'esercito israeliano è arrivato al punto di distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese vuole andare ad iscriversi all'università per il prossimo quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro, mentre chi è rimasto intrappolato dall'altra parte non può tornare a casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere ad una riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se facessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto niente di illegale.
La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C'è chi parla della "rioccupazione di Gaza", ma dubito seriamente che stia per succedere questo, perché credo che in questo momento sarebbe una mossa geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo che dobbiamo aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto del livello di attenzione dell'opinione pubblica internazionale, e forse il paventato "trasferimento di popolazione". Per il momento non mi muovo da Rafah, non penso di partire per il nord. Mi sento ancora relativamente al sicuro e nell'eventualità di un'incursione più massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il rischio più probabile sia l'arresto. Un'azione militare per rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione molto più forte di quanto non facciano le strategie di Sharon basate sugli omicidi che interrompono i negoziati di pace e sull'arraffamento delle terre, strategie che al momento stanno servendo benissimo allo scopo di fondare colonie dappertutto, eliminando lentamente ma inesorabilmente ogni vera possibilità di autodeterminazione palestinese.
Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per curarmi mi hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede continuamente di te. Non sa una parola d'inglese ma riesce a chiedermi molto spesso della mia mamma - vuole essere sicura che ti chiami.
Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti.

Rachel