Perchè questo nome:
Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.
Donatella Quattrone
giovedì 10 gennaio 2013
La “democrazia” del XXI secolo
Così avviene per le carceri disastrate in Italia, così per le torture di Abu Ghraib.
nel carcere di Abu Ghraib e in altri centri di detenzione a conduzione americana in Iraq”.
La
causa è stata intentata nel 2008 alla corte federale di Greenbelt, in
Maryland, e accusa l’azienda di non aver preso provvedimenti nei
confronti degli abusi e torture compiuti dal proprio personale sui
prigionieri, né di aver informato gli Stati Uniti o le autorità
irachene.
SAMER AL- ISSAWI CONTINUA SCIOPERO FAME IN CARCERE
Prosegue la protesta del palestinese,
detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da una Corte militare
israeliana a scontare 20 anni di prigione.
giovedì 10 gennaio 2013 10:33
di Giorgia Grifoni
Roma, 10 gennaio 2013, Nena News - E' cominciato oggi il suo
167esimo giorno di sciopero della fame. E lo ha promesso: non smetterà
finché non sarà liberato. Anche a costo di morire. Continua la battaglia
di Samer al-Issawi, detenuto in carcere a Gerusalemme e condannato da
una Corte militare israeliana a scontare 20 anni di prigione. La
battaglia è anche quella dei suoi familiari, che da qualche settimana
denunciano vessazioni e violenze da parte dell'esercito israeliano nei
loro confronti. Una vendetta, dicono, perché Samer, dopo più di cinque
mesi, ancora non cede.
I familiari insistono che l'arresto di al-Issawi, nel luglio scorso, è
avvenuto in piena violazione degli accordi relativi allo scambio di
prigionieri tra esercito israeliano e Hamas del 2011. Catturato nel 2001
durante la seconda Intifada e condannato a 30 anni di carcere per aver
sparato contro i soldati di Tel Aviv davanti al suo villaggio di
origine, al-Issawiya - incluso dalle autorità israeliane nella
municipalità di Gerusalemme - Samer al-Issawi era stato liberato assieme
a oltre un migliaio di palestinesi in cambio di Gilad Shalit.
Poco più di sei mesi dopo è stato arrestato nuovamente in una zona, a
detta dell'esercito israeliano, "non appartenente al governatorato di
Gerusalemme", ovvero in Cisgiordania. Per aver violato i confini entro i
quali avrebbe dovuto restare, è stato condannato a scontare i restanti
20 anni della pena condonatagli con lo scambio. Confini "labili, che
cambiano continuamente a seconda dei decreti delle autorità israeliane" a
detta del padre di Samer. Il tutto nella tristemente famosa "detenzione
amministrativa", pratica quasi standard per i prigionieri palestinesi:
nessun capo d'accusa, nessuna difesa, nessun processo. Solo una sentenza
della corte militare.
Il prigioniero, in condizioni critiche, non accenna a mollare lo
sciopero della fame. Ha accettato da poco la somministrazione di
vitamine e liquidi per via endovenosa dietro minaccia israeliana di
iniettargli a forza del glucosio che, visto il suo stato di salute,
probabilmente l'avrebbe ucciso. Una determinazione che, secondo sua
sorella Shireen, spaventa Israele, memori dello sciopero della fame di
massa avvenuto lo scorso anno, quando l'esempio di Khader Adnan e Hana
Shalabi portò più di duemila detenuti palestinesi a rifiutare il cibo
per 66 giorni, costringendo le autorità carcerarie israeliane a
concedere un miglioramento delle condizioni dei prigionieri e
trascinando le carceri dell'"unica democrazia del Medio Oriente" sotto i
riflettori della comunità internazionale.
La famiglia al-Issawi denuncia una serie di violenze subite nelle ultime
settimane. Più precisamente dal giorno in è stato diffuso in rete un
video che mostra sette soldati israeliani picchiare selvaggiamente Samer
- in sciopero della fame da oltre 150 giorni e su una sedia a rotelle -
nell'aula della Corte dei Magistrati di Gerusalemme sotto gli occhi
impassibili di un giudice. Per aver tentato di salutare sua madre
prendendole le mani. Da allora, sua sorella Shireen è stata arrestata
nella sua casa e tenuta 24 ore in carcere per "attività sovversiva",
ossia l'organizzazione di manifestazioni, in Palestina e fuori, per
sostenere il fratello e la sua battaglia. E la sua licenza di avvocato è
stata sospesa per sei mesi.
La tenda piantata all'ingresso del villaggio, un luogo di discussione e
un simbolo del sostegno a Samer da parte degli abitanti del suo
villaggio, è stata smantellata dall'esercito più volte. Il primo gennaio
la casa del fratello Ra'fat è stata demolita. E qualche giorno fa i
soldati israeliani hanno tolto l'acqua alla casa della famiglia
al-Issawi, presentando un fantomatico conto di 50.000 dollari - decine
di anni di uso quotidiano, dollaro più dollaro meno - per gli arretrati.
Nonostante le bollette regolarmente pagate. "Questa - ha dichiarato
Shireen - è la loro vendetta contro la nostra famiglia".
Secondo l'organizzazione Addameer, che si occupa del supporto e dei
diritti umani dei prigionieri, circa il 40% della popolazione
palestinese maschile è passata per le carceri israeliane a un certo
punto della propria vita. Spesso senza capi d'accusa né processo. Nena
News
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Gaza, 10 gennaio 2009
10/01/2009 | |||
Di Vittorio Arrigoni:
Il mio articolo per Il Manifesto di oggi:
A Gaza, un plotone di esecuzione ha messo al muro Ippocrate, ha puntato e fatto fuoco.
Le
allucinanti dichiarazioni di un portavoce dei servizi segreti
israeliani secondo cui l'esercito ha ottenuto via libera a sparare sulle
ambulanze perché a bordo presenti presunti membri della resistenza
palestinese, danno il quadro di che valore dà alla vita Israele in
questi giorni, le vite dei nemici, s'intende. Vale la pena ripassare
cosa dichiara il giuramento di Ippocrate, a cui è tenuto ogni medico
prima di iniziare a esercitare la professione, in
particolare questi passi: "Consapevole dell'importanza e della
solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro: di
esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di
comportamento; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e
impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e
prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità,
condizione sociale e ideologia politica". Sono
sette fra i dottori e infermieri volontari i camici bianchi uccisi
dall'inizio della campagna di bombardamenti, una decina le ambulanze
colpite dall'artiglieria israeliana. I sopravvissuti tremano di paura,
ma non si tirano indietro. I lampeggianti cremisi delle ambulanze sono
gli unici squarci di luce lungo le strade nelle notti oscure di
Gaza, esclusi i lampi che precedono le esplosioni. Riguardo a questi
crimini, l'ultima denuncia è partita da Pierre Wettach, capo della Croce
Rossa a Gaza; le sue ambulanze sono potute accorrere sul luogo di
un massacro, a Zaiton, est di Gaza city, solo dopo 24 ore dall'attacco
israeliano. I soccorritori dichiarano di essersi trovati
dinnanzi uno scenario raccapricciante: "quattro bambini piccoli vicini
ai corpi senza vita delle loro madri in una delle case. Erano troppo
deboli per tenersi in piedi. E' stato trovato vivo anche un uomo, anche
lui troppo debole per tenersi in piedi. In tutto sui materassi
giacevano 12 corpi". I testimoni di questa
ennesima carneficina raccontano come i soldati israeliani, penetrati nel
quartiere, hanno radunato le decine di membri della famiglia Al
Samouni in un solo edificio e poi lo hanno ripetutamente bombardato.
Con i miei compagni dell'ISM sono giorni che giriamo sulle
ambulanze della mezzaluna rossa, abbiamo subito molteplici attacchi e
perso un caro amico, Arafa, colpito in pieno da un colpo di orbice
sparato da un carro armato. Altri tre paramedici nostri amici rimangono
ricoverati negli ospedali dove fino a ieri lavoravano. Sulle
ambulanze il nostro dovere è raccogliere feriti, non accogliere a bordo
guerriglieri. E quando troviamo riverso per strada un uomo ridotto una
poltiglia di sangue, non si ha il tempo di controllare i suoi documenti,
chiedergli se parteggia per hamas o fatah. Anche perchè quasi sempre i
feriti non rispondono, come i morti. Alcuni giorni fa caricando un
ferito grave ha cercato contemporaneamente di salire sull'ambulanza
anche un altro uomo, ferito in maniera lieve. Lo abbiamo spintonato
fuori, proprio perché sia chiaro a chi ci spia dal cielo che non
fungiamo da taxi per il trasporto di membri della resistenza, bensì
accogliamo sopra le nostre ambulanze solo feriti gravi, il cui
rifornimento da parte di Israele non cessa un istante. La notte scorsa è
arrivata all'ospedale Al Quds di Gaza City Miriam, 17 anni, in preda
alle doglie. Al mattino erano passati nello stesso ospedale suo padre e
sua cognata, entrambi cadaveri, vittime di uno dei tanti bombardamenti
indiscriminati. Durante la notte Miriam a partorito un bel bimbo,
inconsapevole del fatto che mentre lei si trovava in salo parto, un
piano più in basso, all'obitorio era giunto anche il giovane marito.
Alla fine persino le Nazioni Unite si sono accorte che qui a Gaza siamo
come tutti immersi nello stesso catino, bersagli mobili per ogni
cecchino. Siamo arrivati a quota 789 vittime, 3300 i feriti, 410 vertono
in situazione critica, 230 i bambini uccisi, decine e decine i
dispersi. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è
fermo a quota 4. Per bocca di John Ging capo dell'Unrwa (Agenzia Onu per
i rifugiati palestinesi), le Nazioni Unite hanno annunciato di
sospendere le loro attività umanitarie lungo la Striscia. Ho incrociato
Ging negli uffici dell'agenzia di stampa Ramattan, e l'ho visto sdegnato
agitare il suo indice accusatorio contro Israele dinnanzi alle
telecamere. L'ONU cessa le sua attività a Gaza dopo che due dei suoi
operatori sono stati uccisi ieri, beffa vuole durante le tre ore di una
tregua che Israele ha annunciato e al suo solito non rispetta. "I civili
di Gaza hanno a disposizione 3 ore al giorno per cercare di
sopravvivere, i soldati israeliani le restanti 21 per cercare di
sterminarli" ho sentito Ging dichiarare a due passi da me. Da Gerusalemme mi scrive Yasmine, moglie di uno dei numerosi giornalisti in fila al valico di Erez, giornalisti ai quali per chissà
perchè Israele non concede il lasciapassare per venire qui a filmare e a
raccontare l'immane catastrofe innaturale che da tredici giorni ha
colpito. Queste le sue parole:
"L’altro ieri sono andata a vedere Gaza dal di fuori. I giornalisti del
mondo sono tutti ammucchiati su una collinetta di sabbia a un paio di km
dal confine. Decine di telecamere che puntano verso di voi. Aeri che ci
sorvolano, si sentono ma non si vedono, sembrano solo illusioni
mentali finché non si vede il fumo nero salire all’ orizzonte, Gaza. La
collina e’ diventata anche meta turistica per gli Israeliani di zona.
Con grandi binocoli e macchine fotografiche vengono a vedere i
bombardamenti dal vivo." Mentre
sto trascrivendo in fretta e furia questa mia corrispondenza una
bomba cade nel palazzo a fianco a quello in cui mi trovo. I vetri
tremano, le orecchie dolgono, mi affaccio dalla finestre e vedo che
hanno colpito l'edificio dove sono raccolti i principali media arabi.
E' uno dei palazzi più alti di tutta Gaza city, l'Al Jaawhara building.
Sul tetto tengono fissi una troupe con una telecamera, li vedo ora
contorcersi tutti a terra, agitare le braccia invocando aiuto, avvolti
da una cappa nera di fumo. Paramedici e giornalisti, le professioni più
eroiche in questo spicchio di mondo. All'ospedale Al Shifa ieri sono
andato a trovare Tamim, reporter sopravvissuto ad un bombardamento
aereo. Mi ha spiegato come secondo lui Israele sta adottando le stesse
identiche tecniche terroristiche di Al Al-Qaeda, bombarda un edificio,
attende l'arrivo dei giornalisti e dei soccorsi, quindi fa cadere
un'altra bomba che fa strage di quest'ultimi. Per questo motivo a suo
avviso si sono registrate molte vittime fra i paramedici e i reporters,
gli infermieri attorno al suo letto facevano cenni di consenso. Tamim mi
ha mostrando sorridendo, i suoi moncherini. Ha perso le gambe, ma è
felice d' essersela cavata, il suo collega Mohammed è morto con in mano
la macchina fotografica, la secondo esplosione lo ha ucciso. Nel
frattempo mi sono informato sulla bomba appena caduta nel palazzo qui
vicino, sono rimasti feriti due giornalisti, entrambi palestinesi, uno
di Libyan tv l'altro di Dubai tv. Giusto un altro sonoro avvertimento da
chi esige che questo massacro di vittime civili non venga in alcun modo
raccontato. Non mi resta che
augurarmi che nel quartier generale dei vertici militari israeliani non
si legga Il Manifesto, ne vi siano affezionati visitatori del mio blog.
Restiamo umani.
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