Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


venerdì 30 agosto 2013

Lavoro: due vittime in Salento, uno in Liguria, uno in Sicilia

  •      Scritto da  Redazione Contropiano 


Lavoro: due vittime in Salento, uno in Liguria, uno in Sicilia
Ben due gli operai morti sul lavoro in Salento nelle ultime 24 ore. Un operaio di un noto salumificio ha perso la vita nel primo pomeriggio rimanendo stritolato in una delle impastatrici di carne alla quale stava lavorando. E' accaduto a Taurisano nello stabilimento 'Scarlino', sulla strada provinciale che conduce a Casarano. La vittima è Mario Orlando, di 53 anni, di Taurisano. Il dramma è accaduto poco dopo le 14, quando l’uomo è scivolato dentro un macchinario dalle lame particolarmente affilate usato nella preparazione degli insaccati.
Poche ore prima a Francavilla Fontana (in provincia di Brindisi), aveva perso la vita il 38enne di Aradeo (Lecce) Angelo Reschi, impiegato in una ditta che stava eseguendo lavori sulla condotta idrica per conto dell’Acquedotto pugliese. Reschi è deceduto per asfissia in seguito ad annegamento, dopo essere stato travolto da un violento getto d’acqua mentre si trovava nella condotta in cui sono posizionati i tubi della fognatura.
Un cantoniere di 44 anni, originario di Ganci (Palermo), Santo Gulino, è invece morto dopo essere stato travolto sull'autostrada Palermo-Catania. Secondo una prima ricostruzione dei fatti, l'uomo, é stato investito da un automobilista mentre era impegnato nell'attività di manutenzione stradale sulla corsia di soccorso, all'interno di in un cantiere mobile a 'Ponte Cinque Archi' sull'autostrada A19 'Palermo-Catania'.

Un’altra vittima del lavoro si è registrata sempre oggi più a nord, in Liguria. Un operaio di 23 anni, Luca P. é morto stamattina intorno alle 8,30 in un cantiere a Beverino (La Spezia) schiacciato dalla pala di un pesante mezzo escavatore. Immediati i soccorsi, ma per il ragazzo non c'é stato nulla da fare. 



Fonte:

 

MARE DI GAZA, MARINA EGIZIANA FERISCE DUE PESCATORI E NE ARRESTA 5

30/8/2013


Gaza-Ma’an. Nella mattinata di venerdì 30 agosto, due pescatori palestinesi sono stati feriti dal fuoco della Marina egiziana nei pressi del confine marittimo tra l’Egitto a Rafah, mentre altri cinque sono stati arrestati.
Fonti palestinesi hanno riferito che la Marina egiziana ha aperto il fuoco contro i pescatori, ferendone due: Ibrahim Abdullah al-Najjar, di 19 anni, e Wael Ismail al-Bardawil, di 21.
Hanno aggiunto che i feriti sono stati ricoverati nell’ospedale di Abu Yousef al-Najjar di Rafah.
Le stesse fonti hanno reso noti i nomi degli arrestati. Si è trattato di Mahmoud, Khaled, Maher e Ismail Basla, oltre a Khaled Abu Shalluf. Tutti gli arrestati sono residenti nella zona al-Mawasi, a Khan Younis.



© Agenzia stampa Infopal - www.infopal.it

giovedì 29 agosto 2013

"E ora chiamatemi imperialista amico dei tagliagole": una riflessione sull'imminente attacco sulla Siria




E alla fine il momento arrivò. Dopo due anni e mezzo di sangue e oltre 120mila morti, l’opinione pubblica scoprì che in Siria era in atto un massacro. E via di inni pacifisti, di post contro Obama, di “vi-siete-dimenticati-dell’Iraq?” vari. Per carità, ben venga alimentare un sentimento condiviso contro la guerra, al cui sviluppo il nostro giornale non si è sicuramente tirato indietro. E mi ritrovo pienamente in accordo con la linea di Emergency, che dice: “Ai morti già causati dalla guerra in Siria se ne aggiungeranno altri, perché scegliere le armi oggi significa decidere sempre, consapevolmente, di colpire la popolazione civile: nei conflitti contemporanei il 90% delle vittime sono sempre bambini, donne e uomini inermi”. Ma dove siamo stati, noi tutti, negli scorsi due anni e mezzo?
L’intervento paventato di Obama fa rabbrividire e abbiamo ancora tutti negli occhi, come una terribile sequenza di scene agghiaccianti tratte da un film dell’orrore, la distruzione “salvifica” in Serbia, Afghanistan, Iraq e Libia. Solo per rimanere nella contemporaneità e non citare altri ben noti esempi ancora vivi nell’immaginario collettivo. Da spettatori impotenti non possiamo che ridurre la Siria, i suoi morti e il suo futuro a un mero esercizio intellettuale da bistrot, di quelli che si fanno quando si è già detto tutto su calcio, meteo e Berlusconi. Nel nostro chiacchiericcio si formano fondamentalmente due schiere: quelli che “la guerra è brutta ma dobbiamo fermare un dittatore che sta sterminando il suo popolo” e quelli che “è tutto un bluff imperialista, c’è di mezzo anche il Mossad e Assad è amato dal suo popolo”. E via, in questo secondo caso, all’esaltazione dei Paesi non allineati, come se l’essere anti-americani esenti automaticamente da ogni analisi sul rispetto dei diritti umani e sul livello di democraticità.
Bene, vorrei che nel nostro bistrot ipotetico ci sia una terza tipologia di partecipante al dibattito. Quella delle persone che si informano, che da due anni e mezzo hanno un peso sullo stomaco per ciò che sta succedendo dall’altra parte del Mediterraneo. Quelli che sanno che in Siria operano gli shabiha, civili sciacalli al soldo del regime per reprimere nel sangue ogni dissenso. Quelli che allo stesso modo sanno che le ingerenze dei Paesi stranieri (Russia e Iran da un lato, Qatar, Arabia Saudita e Usa dall’altro), hanno letteralmente straziato la Nazione. E non è più tempo di fare il tifo. Non voglio più sentire interpretazioni geopolitiche basate sul sentito dire. Piuttosto si faccia un passo indietro e si cerchi di capire. Magari passeggiando per la città fermiamo qualche persona siriana, offriamo un caffè e facciamoci raccontare le loro storie.
Due mesi fa a Domiz, un campo rifugiati al confine tra Siria e Iraq, conobbi un ragazzo siriano che, per motivi di sicurezza della sua famiglia, mi chiese di non essere ripreso dalla telecamera. Era un soldato di Assad, a 25 anni aveva già molti uomini sotto di lui e tanta responsabilità sulle spalle. Poi un giorno il suo superiore gli chiese di mitragliare, insieme alla sua squadra, una schiera di civili disarmati. Sospettava che tra loro ci fossero informatori dell’Esercito libero. Così fu costretto ad aprire il fuoco verso vicini di casa e parenti. Decise di disertare. Da allora vive come un fantasma in un campo profughi nel deserto, senza aria condizionata (e credetemi, lì si raggiungono i 55 gradi) e con una tenda da condividere con altre sei persone. “Racconta la mia storia, fratello”, mi chiese supplicandomi. Ecco, devo a lui e alle decine di siriani che ho conosciuto negli ultimi due anni questo post.
Non possiamo cambiare le cose, non basta una petizione o una bandiera della pace sul proprio profilo Facebook per fermare la follia collettiva. Quello che però possiamo fare, e a questo punto diventa un obbligo morale al quale chi è sensibile al Medio Oriente non può fuggire, è cercare di capire e di essere pronti ad ascoltare, prima di sputare le nostre sentenze. Perché la follia omicida di al-Nusra e delle altre compagini qaediste infiltrate in Siria (in Rojava questi robot antropomorfi pseudo-religiosi hanno rapito 350 curdi yazidi, torturando alcuni di essi e tagliando la gola ad un uomo davanti agli altri rapiti) non ha nessuna giustificazione morale e la loro presenza i siriani la pagheranno a caro prezzo per anni e anni. Ma dare dei “tagliagola” a tutti i giovani ragazzi ancora sbarbati che cercano di difendere dal regime le proprie famiglie è intellettualmente disonesto oltre che privo di ogni rispetto.
Frontiere News continuerà a urlare NO alla guerra americana e a ogni soluzione che preveda attacchi stranieri. Ma tra l’essere contro la guerra e l’imperialismo occidentale e l’osannare un dittatore macellaio, persino più spietato del padre tiranno (amici anti-sionisti, avete dimenticato il massacro di Tel al-Zaatar perpetuato da Assad senior contro rifugiati palestinesi inermi?) ce ne passa. Quindi fatevi un esame di coscienza prima di dividere il mondo in buoni e cattivi e mettere nella prima lista chiunque vada “contro”. E ora chiamatemi imperialista amico dei tagliagole.



Fonte:

mercoledì 28 agosto 2013

FUOCO INCROCIATO CONTRO CIVILI PALESTINESI

Amjad Odeh, un passante, e' stato ucciso dalla polizia palestinese. La sua uccisione si unisce a quella di tre giovani di Qalandiya lunedi' colpiti a morte dai soldati israeliani.

mercoledì 28 agosto 2013 11:49

 

di Sonia Grieco


  Nablus (Cisgiordania), 28 agosto 2013, Nena News - Con la morte ieri di Amjad Odeh, di 37 anni, è salito a 15 il numero di palestinesi uccisi in scontri dall'inizio del 2013. Odeh però non è stato colpito a morte da forze militari israeliane bensì durante un blitz delle forze di sicurezza dell'Autorita' nazionale palestinese (Anp) nel campo profughi di Askar, vicino a Nablus, Cisgiordania.

La notizia ha fatto salire la tensione nel campo, con decine di abitanti che hanno lanciato pietre contro i poliziotti palestinesi, mentre i residenti del vicino campo di Al-Fara hanno bloccato per protesta la strada principale che collega Nablus a Tubas. Una morte che accresce rabbia e dolore in una popolazione colpita duramente dalle recenti operazioni delle unità speciali israeliane.

Lunedì tre giovani palestinesi sono stati uccisi e altri venti sono rimasti feriti durante gli scontri scoppiati in seguito a un'altra operazione di polizia nel campo di Qalandiya, tra Gerusalemme e Ramallah, per la cattura di un palestinese rilasciato un mese fa. Gli agenti delle unità speciali, hanno riferito testimoni, hanno aperto il fuoco sulla gente che protestava uccidendo Younes Abu Sheikh, 23 anni, Robin Zayed, 34, e Jihad Aslan 27. L'Anp ha chiesto un'indagine internazionale sull'accaduto e ha sospeso i negoziati, ripresi qualche settimana fa dopo tre anni su pressione del segretario di Stato americano, John Kerry.

Il numero di vittime quest'anno è cinque volte superiore a quello registrato nello stesso periodo dell'anno scorso e dal 2009 le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso oltre 55 palestinesi in Cisgiordania, secondo i dati dell'associazione israeliana per i diritti umani B'Tselem. I soldati hanno autorità assoluta in Area C, la parte della Cisgiordania sotto il controllo militare e civile israeliano, ma compiono regolarmente blitz e incursioni anche in Area A, che pure sarebbe sotto l'autorita' dell'Anp. Inoltre, queste morti restano impunite, giustificate da esigenze di sicurezza che autorizzano l'impiego di proiettili veri contro manifestanti disarmati. Alla fine dell'anno scorso, l'ex ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, aveva ordinato ai soldati di aprire il fuoco contro ogni possibile minaccia.

Il risultato di questa politica è una strage lenta e silenziosa le cui vittime sono soprattutto giovani, che sta esasperando gli animi dei palestinesi dei Territori e indebolisce ulteriormente i già fragili tentativi di negoziato ripresi poche settimane fa dopo tre anni di stallo. Su questo fronte si fanno pochi passi in avanti, anche per la determinazione di Tel Aviv a proseguire nella sua politica sugli insediamenti, con l'annuncio lo scorso 25 agosto di un nuovo progetto edile nella colonia di Ramat Shlomo, a Gerusalemme Est: 1.500 nuovi appartamenti che si aggiungono ad altre unità abitative nei Territori occupati.

Una provocazione che mette in cattiva luce l'Anp, arrivato al tavolo dei negoziati con un debole sostegno da parte di una base sfiduciata e criticato anche dalle altre fazioni politiche per non essere riuscito a porre condizioni a Israele. Così i negoziati sponsorizzati da Kerry paiono fermi prima ancora di iniziare e l'Anp si sta giocando la sua reputazione, mentre nei Territori occupati aumenta la tensione e la frustrazione dei palestinesi. Nena News  



Fonte:

LOTTA E RESISTENZA IN TUTTA LA PALESTINA IN RISPOSTA ALLE UCCISIONI DI QALANDIA

report del 27 agosto

FotoEditata

Dopo l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di tre palestinesi, Younes Abu Sheikh, 22 anni, Robin Zayed, 32, e Jihad Aslan di 20 nel campo di Qalandia, tra Gerusalemme e Ramallah oggi è stata la prima giornata di lutto nazionale. In tutta la Palestina ci sono state manifestazioni e scontri contro l’occupazione e la violenza dell’esercito sionista.
Nel campo di Aida, fin dal primo  pomeriggio, gli shebab hanno fronteggiato i soldati israeliani con lanci di sassi e pietre, in risposta ai proiettili di gomma, ai lacrimogeni e alle bombe sonore. Durante le azioni, due bambini sono stati feriti da schegge e un ragazzo da un proiettile di gomma; fortunatamente non c’e’ stato nessun arresto. 

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Domani ci sarà la seconda giornata di lutto nazionale, proclamata dall’ Anp che non ha smesso in questi giorni i cosiddetti colloqui di pace con Israele e che non si è risparmiata nel reprimere la popolazione palestinese in questi giorni di resistenza contro l’esercito israeliano; si prevedono comunque altre manifestazioni in tutta la Palestina.

seguiranno aggiornamenti

Palestina libera, fuori le truppe sioniste
Shebab del summer camp di Aida.



Fonte:

lunedì 26 agosto 2013

TRE PALESTINESI UCCISI A QALANDIYA IN UN RAID D'ISRAELE

 lunedì 26 agosto 2013 08:21




AGGIORNAMENTO ore 19
GLI STATI UNITI NEGANO CANCELLAZIONE INCONTRO

L'amministrazione americana ha negato la notizia secondo la quale l'ANP avrebbe sospeso l'incontro di oggi a Gerico con il team di negoziatori israeliano: "Nessun meeting è stato cancellato", ha detto la portavoce del Dipartimento di Stato. L'annuncio della cancellazione era stato dato da alcune fonti dell'ANP.


AGGIORNAMENTO ore 14.30
L'ANP SOSPENDE IL NEGOZIATO

Funzionari dell'Autorità Palestinese hanno annunciato la cancellazione dell'incontro con il team di negoziatori israeliani, previsto oggi a Gerico, a causa dell'uccisione dei tre giovani del campo di Qalandiya.



dalla redazione

  Qalandiya (Ramallah), 26 agosto 2013, Nena News - Tre palestinesi sono stati uccisi e oltre 20 feriti in scontri con la guardia di frontiera israeliana avvenuti questa mattina intorno alle 5 locali (le 4 in Italia) al campo profughi di Qalandiya, tra Gerusalemme e Ramallah.

Gli scontri, hanno riferito testimoni, sono seguiti a un raid di unità speciali israeliane per arrestare un "ricercato" all'interno del campo profughi. Si tratta di un palestinese rilasciato appena un mese fa. Non è chiaro se sia stato effettivamente arrestato dalle forze di occupazione.
I tre uccisi sono Younes Abu Sheikh, 23 anni, Robin Zayed, 34, e Jihad Aslan 27.

Le guardie di frontiera israeliane, secondo i medici palestinesi, hanno fatto uso di proiettili veri quando hanno aperto il fuoco sui manifestanti che protestavano per il raid. Il portavoce della polizia israeliana ha detto "di non avere informazioni a riguardo".
L'Autorità Palestinese ha chiesto la creazione di un comitato di inchiesta internazionale che indaghi sull'uccisione dei tre giovani palestinesi, così da fare pressioni su Israele e costringerlo a rispettare il diritto internazionale e i diritti umani del popolo palestinese. "Israele agisce senza assumersene la responsabilità - ha detto il portavoce dell'ANP, Ihab Bsaiso - Dimostra ancora una volta di non essere interessato al processo di pace".

Qualche giorno fa a Jenin i soldati israeliani avevano ucciso un altro giovane palestinese in scontri avvenuti durante una operazione di unita' speciali all'interno del campo profughi della citta'.

Sono 14 i palestinesi uccisi dall'inizio del 2013 in scontri con polizia ed Esercito di Israele, contro i tre registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Nena News 



Fonte:


La morte di Carlo Picchiura


La morte di Carlo Picchiura

Si è spento ieri a Bologna il compagno Carlo Picchiura, nato a Brescia. Militante delle Brigate Rosse fin dall'inizio degli anni'70, era stato arrestato a Padova nel 1975 dopo un conflitto a fuoco con una pattuglia della polizia in cui rimase ucciso un agente.
Una malattia cattiva, la sla, se l'è portato via in pochi mesi. Schivo, quasi timido nei modi, tanto che non sembra possibile trovare una sua foto in Rete, ma dotato di grande determinazione, appassionato naturalista ed etologo, aveva dato un grande contributo al libro Polirica e rivoluzione, uscito nel 1983 dal processo di Torino, firmato - come si usava allora - dai militanti presenti nel processo (Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Francesco Piccioni, Andrea Coi), ma opera collettiva con cui le Br prendevano le distanze teoriche dalle teorie del "Partito Guerriglia".
Una vita in carcere, anche per lui, che lo aveva visto tornare in libertà solo negli anni '90, quando una classe politica incapace di chiudere quella stagione con l'unico strumento giuridico all'altezza dello scontro - l'amnistia - scelse di aprire le porte ai prigionieri politici con la "legge Gozzini"; ovvero uno alla volta, in tempi quasi individualizzati, senza alcuna riflessione pubblica.
Ciao Carlo, che la terra ti sia lieve.



Fonte:

giovedì 22 agosto 2013

Eroi popolari o pericolosi criminali?

Le polizie degli stati li hanno cercati e braccati come fossero i peggiori serial-,killer;

 

-le cronache ce li hanno raccontati come persone che avevano messo in crisi la “sicurezza” mondiale;

 

chi sono?:

 

Snowden-1

 

-uno è Edward Joseph Snowden, trent’anni appena compiuti (nato a Elizabeth City il 21 giugno 1983) è un informatico statunitense. Ex tecnico della CIA, collaboratore della Booz Allen Hamilton, azienda informatica consulente della NSA, ha rivelato pubblicamente diversi programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, programmi totalmente illegali e illegittimi, tenuti segreti dagli stati controllori. Snowden ha collaborato con il giornalista del The Guardian, Glenn Greenwald, che ha pubblicato queste rivelazioni. Le più clamorose di queste informazioni sono state quelle riguardanti i programmi di intercettazione telefonica tra Stati Uniti e stati dell’Unione Europea. Scandalo? Rottura dei rapporti diplomatici tra stati europei e Usa? Apertura di un contensioso diplomatico?…Macché… tutti uniti nella criminalizzazione di chi aveva fatto “opera di verità”!

 

Manning 

 

-l’altro è Bradley Manning, venticinque anni, condannato ieri dalla Corte a 35 anni di galera e congedato con disonore dall’esercito statunitense, per aver fornito a WikiLeaks (Julian Assange, altro personaggio braccato e perseguitato) centinaia di migliaia di documenti e materiali riservati, che sono stati diffusi pubblicamente per una conoscenza di tutti. È in carcere dal maggio 2010 per un anno e mezzo in isolamento in un carcere militare di massima sicurezza in Virginia. Manning dopo la sentenza ha commentato: che sconterà, «la condanna sapendo che talvolta si deve pagare un prezzo alto per vivere in una società libera».

Solo due esempi che hanno avuto l’«onore» della prima pagina di giornali. Ma sono migliaia e migliaia le vittime della verità. Le galere di questo mondo rigurgitano di chi paga un prezzo altissimo per non venir meno al principale dovere umano, quello della verità e della libertà!

Costa cara la verità! Ma questa non è una novità.

Soltanto i cretini pensano che gli stati democratici non applichino la feroce repressione nei confronti di chi mette in discussione il loro potere.

Anche nel passato i propagatori di verità venivano repressi e schiacciati anche più ferocemente. La differenza con oggi è che in altre società meno totali di queste si trovavano cantastorie, teatranti, giullari, menestrelli, narratori, musicisti e guitti che esaltavano queste persone facendole diventare eroi popolari. 

Nelle società odierne più articolate di quelle del passato, non si trova chi si spenda decisamente ed esalti queste gesta fuori dell’ordine statale. Oggi i media li insultano oppure restano indifferenti.

C’è un’omertà succube al potere vergognosa!!!. 

SVEGLIAMOCI!!!


 Fonte:









 

George Jackson

Giovedì 22 Agosto 2013 05:35 


Commozione e rabbia nella comunità afroamericana e fra tutti i detenuti rivoluzionari degli stati uniti per la morte di George Jackson, avvenuta il giorno precedente. Il 21 agosto 1971, infatti, nel cortile della prigione San Quentin veniva ucciso a colpi di fucile da un secondino George L. Jackson, field marshal per le prigioni del Black Panther Party.
22 agostoL'omicidio diede il via ad un a feroce campagna di repressione contro il movimento dei neri che coinvolse, fra gli altri, anche la militante comunista Angela Davis.
Nel 1972 vennero pubblicati i testi politici di Jackson che era riuscito a far uscire dal carcere appena una settimana prima della sua morte. La raccolta, dal titolo Blood in my Eye, comprendeva una sere di saggi scritti dopo la morte del fratello minore Jonathan, ucciso dalla polizia mentre cercava di allontanarsi dal tribunale di San Rafael insieme a tre prigionieri liberati poco prima.
"Sono stato in rivolta per tutta la vita" scrisse George Jackson in una sua lettera. La prima rivolta fu il crimine. George Jackson fu arrestato per la prima volta a 14 anni per il furto di una borsetta, Da qui fu un susseguirsi costante di arresti, riformatori e rilasci provvisori. A 18 anni fu arrestato per il furto di 70 dollari da un distributore di benzina; ebbe una condanna a tempo indeterminato: da 1 anno a vita.
Proprio in carcere iniziò la sua maturazione politica:
"...scoprii Marx, Lenin, Trockij, Engels e Mao, e ne fui redento. Durante i primi quattro anni non studiai altro che economia e discipline militari. Conobbi i guerriglieri neri, George "Big Jake" Lewis, e James Carr, W.L. Nolen, Bill Christmas, Terry Gibson e molti, molti altri. Tentammo di trasformare la mentalità del criminale nero nella mentalità del rivoluzionario nero."

Il governo cominciò contro Jackson e gli altri detenuti politicizzati una feroce campagna terroristica fatta di celle di isolamenti, pestaggi, rifiuto di ogni libertà provvisoria. Si cercava inoltre di spingere gli altri detenuti ad ammazzarli; fra i detenuti bianchi girava la voce: «Stangate Jackson, e otterrete qualche ricompensa».
Il 13 gennaio 1970 nel braccio di sorveglianza speciale della prigione di Soledad venne aperto un nuovo cortile per la passeggiata dove furono inviati 6 neri e 8 bianchi. Senza nessun preavviso un secondino aprì il fuoco dalla torre di guardia: tre detenuti neri, tra gli uomini più vicini a Jackson furono uccisi e un bianco rimase ferito.
I neri sopravvissuti dichiararono che uno di loro, ferito, fu lasciato morire dissanguato sul lastricato di cemento. Tre giorni dopo la commissione di inchiesta della contea di Monterey dichiarò che le uccisioni erano giustificate. Meno di un'ora dopo dall'annuncio di questa decisione una guardia fu trovata uccisa. Tutti i detenuti del braccio in cui erano avvenute le uccisioni furono messi in isolamento. Il 28 febbraio Fleeta Drumgo, John Clutchette e George Jackson vennero formalmente accusati del delitto per cui rischiavano la pena di morte.

Il 7 agosto 1970 nel tentativo di far evadere tre detenuti, morì il fratello diciassettenne di Jackson insieme ad altri tre militanti delle Pantere Nere ed al giudice che era stato preso in ostaggio.
Dopo la morte del fratello, Jackson scrisse in una lettera:
Non ho versato una lacrima, sono troppo fiero per farlo. Un bellissimo, bellissimo uomo-bambino con un fucile automatico in mano. Lui sapeva come essere con il popolo. Ho amato Jonathan, ma la sua morte ha solo rafforzato la mia volontà di lottare. Per essere fiero mi basta sapere che era carne della mia carne e sangue del mio sangue.

Gerorge Jackson fu trasferito nel carcere di San Quentin e tenuto in isolamento per lungo tempo.
Terminò di scrivere il libro nell'agosto del 1971. Poco dopo organizzò con gli altri detenuti una rivolta. I cecchini lo colpirono alle spalle, il suo corpo fu rimosso dal cortile della prigione solo verso sera.

"Per lo schiavo, la rivoluzione è un imperativo, è un atto cosciente di disperazione, dettato dall'amore".



Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2396-22-agosto-1971-george-jackson

mercoledì 21 agosto 2013

DAMASCO SOTTO LE BOMBE. L'ACCUSA: "OLTRE 1000 MORTI, IL REGIME USA GAS TOSSICI".



I Comitati di coordinamento locale anti-regime nella regione di Damasco denunciano l’ennesima strage che sarebbe stata compiuta dalle forze del regime di Assad. Sarebbero oltre mille infatti le vittime dell’ultimo bombardamento aereo in cui, stando alle non ancora verificabili testimonianze degli attivisti, sarebbero state usate armi chimiche. L’aviazione avrebbe infatti lanciato non meglio specificati gas tossici contro la popolazione civile. Il regime, ovviamente, smentisce; la Lega Araba ha fatto pressione affinché gli ispettori Onu si rechino nella regione e approfondiscano quanto accaduto. Proprio in questi giorni gli ispettori sono infatti in missione a Damasco per verificare l’uso o meno di armi chimiche. E questa concomitanza, secondo il regime, non sarebbe una coincidenza: la denuncia dei gruppi armati sarebbe quindi solo “un tentativo di ostacolare il lavoro degli ispettori dell’Onu sulle armi chimiche”, secondo quanto riportato dalla tv di Stato Sana. Fonti militari riferiscono che l’attacco – in cui non sono state usate armi chimiche – è l’operazione “più massiccia dall’inizio del conflitto”, che è stato rivolto “ai jihadisti e ai terroristi” e che rappresenta “soltanto l’inizio”.


ATTENZIONE: IMMAGINI CRUDE.





IL SEGUENTE VIDEO E' VISIBILE SOLO DA UN PUBBLICO ADULTO:








Fonte:





GERUSALEMME: DEMOLITO IL VILLAGGIO BEDUINO DI BEIT HANINA

martedì 20 agosto 2013

Dal blog di Samantha Comizzoli: http://samanthacomizzoli.blogspot.it/

Il 19 giugno ero stata con l'ISM al villaggio beduino di Beit Hanina, Gerusalemme. Avevano trovato per terra un ordine di demolizione. Nel villaggio c'erano 53 persone, delle quali 30 circa bambini. Il più piccolo ha un anno, la più grande ha 17 anni.
Ieri, 19 agosto, alle ore sei del mattino Israele è arrivato. Sono arrivati con 38 jeeps, 200 soldati armati, due cani e due bulldozer. Hanno dapprima circondato il villaggio, poi hanno mollato i due cani per far scappare il bestiame. Poi sono entrati nelle tende e hanno fatto uscire gli abitanti. Sotto la minaccia delle armi li hanno chiusi in tre cerchi: uno per i bambini, uno per le donne e uno per gli uomini. E hanno fatto partire i bulldozer. I bulldozer hanno raso al suolo tutto, tutte le case, tutto quello che contenevano. Fino alle nove del mattino le persone sono state tenute in quei tre cerchi con le armi puntate.
Una volta finita la distruzione, hanno comunicato al capovillaggio che entro mercoledì prossimo devono sgomberare tutte le macerie e se non lo faranno dovranno pagare una multa di 70,000 shekel più le spese dei bulldozer più le spese per l'intervento dei soldati. Se non pagheranno, lui verrà arrestato.
53 persone che non hanno più nulla, che non hanno un posto dove andare. 53 persone che rappresentano, per me, la parola "pace".
Non hanno più nè acqua, nè elettricità, nè le loro cose. Nulla. Oggi c'hanno offerto del tè... mentre eravamo seduti per terra fra le macerie, c'è caduta addosso una lamiera che ha rovesciato il tè.... Le loro facce... erano dispiaciute, umiliate. Quei visi pieni di dignità che oggi mi hanno detto "noi resisteremo, ci dovremo dividere... i bambini li abbiamo mandati lontani e non possono nemmeno andare a scuola, saremo tutti divisi, ma resisteremo, abbiamo sempre vissuto qui..."
Quei visi, oggi, avevano le lacrime...
Ho chiesto al capovillaggio che messaggio volesse mandare al mondo, mi ha detto : "non dimenticatevi di noi".
Ora, lacrime a parte, prego voi tutti che state leggendo di trovare la forza per fare un atto di coraggio: riconoscere che questo fatto, come altri, ma più degli altri è testimonianza che Israele sta perpetrando un genocidio, una pulizia etnica, che Israele è il nazismo.




 Fonte:


lunedì 19 agosto 2013

CHIUDERE I CIE, COL FUOCO DELLE RIVOLTE

Un altro Centro di Identificazione ed Espulsione che chiude. Prima è toccato al Centro di Bologna, svuotato a marzo e chiuso per lavori di ristrutturazione che sarebbero dovuti durare un mese, ma ad oggi ancora non terminati. Qualche mese più tardi stessa sorte è toccata al Centro di Modena, svuotato prima di ferragosto e attualmente in ristruttrazione. Ora è il turno di Crotone,  chiuso «temporaneamente, ma a tempo indeterminato», per usare il vocabolario burocratese di cui solo i migliori Prefetti sono capaci. In attesa di notizie di prima mano, riportiamo quanto raccontato da alcune agenzia di stampa e quotidiani online. Nella notte del 10 agosto muore un recluso di 31 anni, per un malore dicono, a diversi giorni di distanza, la polizia e la Misericordia che gestisce la struttura. Una scintilla che fa scoppiare l’incendio: i reclusi del Centro, una cinquantina in tutto, danno vita ad una grande rivolta e in poche ore vengono distrutti i muri e l’impianto di videosorveglianza, poi incendiate le stanze e gli arredi. E così, con una struttura completamente inagibile e ingestibile, la Prefettura decide di chiudere i battenti e trasferire i reclusi in altri Centri.
Nelle prigioni per senza documenti ancora funzionati, il mese di agosto è iniziato in maniera tutt’altro che tranquilla. A Torino i reclusi resistono come possono alle violenze e ai soprusi delle guardie, in particolare dei finanzieri, che mantengono l’ordine a suon di schiaffi e botte. A Gradisca la sera dell’8 agosto i reclusi si rifiutano di entrare nelle camerate e la polizia decide di convincerli con manganelli e lacrimogeni: per non rimanere soffocati i reclusi spaccano alcune barriere di plexiglass che circondano il cortile dell’aria. Tre giorni dopo nuove proteste e nuovi lanci di lacrimogeni: alcuni reclusi salgono sui tetti, tentando forse di scappare, ma due cadono. Uno si ferisce gravemente, tanto che i medici non hanno ancora sciolto la prognosi. Per cercare di riportare la calma il Prefetto è costretto a cedere ad alcune richieste dei reclusi: vengono restituiti i telefoni, che nel Centro di Gradisca erano vietati da mesi, e viene riaperta la sala mensa, chiusa da tempo per evitare pericolosi assembramenti. Sabato 17 agosto mentre fuori dalle mura del Centro si radunano quasi duecento persone per portare solidarietà ai reclusi in lotta, questi distruggono nuovamente alcune barriere di plexiglass e salgono sui tetti, restandoci fino a tarda sera.


macerie @ Agosto 19, 2013



Fonte:

Mario Lupo, gli antifascisti cancellano scritta fascista


Oggi pomeriggio un gruppo di antifascisti ha cancellato la grossa scritta che era apparsa nei giorni scorsi 'Onore al camerata Bonazzi. Quì assalito' che ricordava Edgardo Bonazzi, condannato per l'omicidio del giovane il 25 agosto 1972



Redazione ParmaToday 19 agosto 2013


Scritta fascista dietro alla lapide in ricordo di Mariano Lupo. Oggi pomeriggio un gruppo di antifascisti ha cancellato la grossa scritta che era apparsa nei giorni scorsi 'Onore al camerata Bonazzi. Quì assalito' che ParmaToday - cronaca e notizie da Parma
ricordava Edgardo Bonazzi, militante di estrema destra, condannato a 11 anni e 8 mesi per l'omicidio del militante di Lotta Continua. Pennello e colore per cancellare la scritta che oltraggiava la memoria del giovane assassinato davanti all'ex cinema Roma. 


Centro Studi Movimenti: 'Aggressione alla memoria della città'

 

Mario Lupo, gli antifascisti cancellano la scritta fascista:

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Fonte:

19 agosto 1978: rivolta al carcere dell'Asinara

Lunedì 19 Agosto 2013 05:09 
 A seguito del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, nel 1978, le condizioni dei detenuti politici nelle c19 agostoarceri italiane, soprattutto nelle "speciali", peggiora sensibilmente.
Dal mese di marzo in tutte le strutture carcerarie italiane pacchi portati dai familiari non possono più contenere carne cotta, salumi, formaggio, dentifricio e sigarette.

In particolare, nel carcere di massima sicurezza dell'Asinara, che ospitava perlopiù detenuti politici appartenenti all'area della sinistra cosiddetta "eversiva", la situazione è ancora più grave: i prigionieri sono costretti a mangiare solo ciò che gli viene fornito dalla direzione, molti di loro sono rinchiusi in quattro in celle di tre metri per quattro, e gli viene impedito di uscire per tutto il giorno, i reclusi di diverse celle non si incontrano mai, nemmeno durante l'ora d'aria, l'isolamento è totale.
Le medicine portate dall'esterno vengono sequestrate, con la scusa di farle analizzare, nella sala colloqui sono stati impiantati degli enormi divisori di vetro, che non permettono ai detenuti di avere contatti con i famigliari.
In particolare il reparto "Fornelli", in cui sono stati rinchiusi la maggior parte dei brigatisti, nappisti e compagni più in generale, è la sezione del carcere dell'Asinara più tartassata: i secondini aprono e rubano da ogni pacco, spesso anche i soldi mandati dall'esterno vengono trattenuti dalle guardie carcerarie, che sfogano continuamente la propria frustrazione sui detenuti e sulle loro famiglie, costrette ad estenuanti attese per qualche minuto di colloquio con il prigioniero, dietro un vetro e tramite un microfono.
Le voci che girano nel carcere parlano anche di microspie che sarebbero state montate a seguito del sequestro e omicidio Moro in alcune delle zone comuni: lo stesso direttore del carcere, in un'intervista del 2009, ammetterà che le microspie erano state montate in alcune parti dell'isola, in particolare nelle zone dalle quali i detenuti transitavano prima di essere smistati ai vari bracci.

Sono queste le condizioni che portano, sabato 19 agosto 1978, giorno di colloqui, i detenuti politici, coordinati da alcuni appartenenti alle Brigate Rosse, a dare vita ad un'azione di protesta contro le condizioni inumane in cui sono costretti a vivere e contro i pestaggi dei secondini, organizzati e diretti dal direttore del carcere, Luigi Cardullo.
Quella mattina i primi cinque detenuti chiamati a colloquio attaccano con ogni mezzo a disposizione le mensole e i vetri divisori antiproiettile, spaccandovi sopra le sedie; i secondini, che inizialmente provano ad intervenire, vengono redarguiti, spiegando che il loro intervento avrebbe spostato la contraddizione, che in quel momento coinvolgeva esclusivamente l'esecutivo e gli organi del potere carcerario.
Nel frattempo i prigionieri al passeggio iniziano una mobilitazione di massa, mentre viene distribuito un volantino che, in particolare, propone un programma immediato su cui articolare la lotta: abolizione del'isolamento individuale e di gruppo, creazione di spazi di socialità interna, aumento delle ore d'aria, abolizione dell'isolamento dall'esterno, cioè eliminazione dei vetri divisori, aumento dei colloqui, abolizione del blocco dell'informazione e della censura.

I secondini, presi alla sprovvista, inizialmente non sanno come fronteggiare la rivolta, ma il direttore della prigione prende presto in mano la situazione, ordinando l'intervento delle guardie all'interno dei "Fornelli" per sedare la rivolta, mentre i cinque detenuti che avevano distrutto la sala colloqui vengono pestati e portati nel "bunker".
Le forze dell'ordine entrano nel carcere come delle furie, pestando senza pietà chiunque fosse al passeggio, e continuando a picchiare anche quando i prigionieri sono a terra, inermi. Il corpo a corpo prosegue, i detenuti del terzo passeggio riescono anche a colpire ripetutamente il direttore Cardullo, mentre piano piano arretrano fino alle celle. Altri tre "politici" vengono prelevati e trasferiti al bunker.

Nella tarda serata Horst Fantazzini, rapinatore e rivoluzionario ribelle, che ha ricevuto colpi pesanti al viso e alla testa, va in coma; il suo stato di salute è talmente grave che viene trasferito d'urgenza all'ospedale di Sassari, ma viene riportato all'interno del carcere, nonostante le condizioni cliniche, dopo nemmeno ventiquattro ore.
Pesanti saranno le rappresaglie messe in atto dalla direzione carceraria che, oltre a spostare numerosi detenuti nel bunker d'isolamento, diminuirà il passeggio ad una sola ora, mentre le autorità riescono a mettere quasi totalmente a tacere tutta l'azione al di fuori del carcere, negando la dimensione di massa della rivolta ed attribuendola a "pochi brigatisti isolati".
Durante tutta la settimana successiva vi saranno numerosi momenti di lotta all'interno e all'esterno del carcere di massima sicurezza dell'Asinara: se da una parte continueranno le azioni di organizzazione e di rivolta da parte dei detenuti, dall'altra numerose saranno le mobilitazioni delle organizzazioni dei famigliari, che occuperanno ripetutamente gli uffici del Giudice di Sorveglianza.
Sabato 26 agosto, la direzione del carcere, ormai logorata da una settimana di rivolta, e preoccupata per l'imminente visita dell'ispettore ministeriale, concederà ai detenuti il rientro ai Fornelli di tutti coloro che erano stati portati al bunker, il raddoppio dell'ora d'aria, assicurerà che non vi saranno altri trasferimenti al bunker, si dichiarerà disponibile all'autodeterminazione della composizione delle celle, ventilando anche la possibilità di effettuare un colloquio mensile senza vetri.


Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2363-19-agosto-1978-rivolta-al-carcere-dellasinara 

domenica 18 agosto 2013

LA ORTO-MESTRE, UN NUOVO MOSTRO

il manifesto 2013.08.17 

Di Paolo Cacciari

Un corridoio autostradale lungo 400 km, con centinaia di cavalcavia e gallerie. Si tratta della più grande opera dopo il Ponte sullo Stretto. Aggirando il patto di stabilità grazie ai privati

La cupola delle grandi opere da realizzare in project financing ha da tempo programmato di sventrare l'Italia da Orte a Venezia con un nuovo corridoio autostradale lungo 396 chilometri, 139 dei quali in viadotti e ponti, 64 in galleria, con 246 tra cavalcavia e sottovie, 83 svincoli, aree di servizio ecc. ecc. Movimentazione di terra per 34 milioni di metri cubi prelevati fin dalla Puglia e - già che ci siamo - dal canale industriale del porto di Ravenna che ha bisogno di dragaggi. Lazio, Toscana, Umbria, Emilia, Veneto attraversate. Aggrediti ventidue siti di interesse ambientale riconosciti dall'Europa comprese le valli di Comacchio, il parco del Delta del Po, la laguna sud di Venezia, la Riviera del Brenta, le valli del Mezzano e le Foreste Casentinesi negli Appennini Centrali. Anche se ancora poco conosciuta, si tratta della più grande grande opera, dopo il ponte sullo Stretto di Messina, compresa nell'elenco delle 390 «infrastrutture strategiche» dichiarate di «interesse pubblico» e inserite nella Legge Obiettivo in attesa di essere finanziata dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). Peccato che la nuova autostrada non avrà mai i veicoli/giorno in transito minimi necessari (90 mila contro i soli 18 mila attualmente rilevati, ad esempio, nel tratto veneto) per ammortare i costi di realizzazione e sostenere le spese di gestione dell'opera. Ciò nonostante il progetto preliminare è stato approvato dall'Anas con tanto di attestato di Valutazione di Impatto Ambientale rilasciato dalla Commissione nazionale, che oramai non lo nega a nessuno, neppure a chi chiede di fare un parcheggio nel Colosseo.
Qualche dubbio sembra averlo avuto nel passato governo solo l'ex ministro Barca. Per esplicita ammissione dei proponenti, infatti, il piano economico e finanziario del progetto (ancora riservato) non sta in piedi. Per la precisione, non sarebbe "bancabile". Per esserlo lo Stato italiano dovrebbe impegnarsi a: 1) versare direttamente un generoso contributo a fondo perduto di 1,4 miliardi di euro; 2) detassare le imprese costruttrici rinunciando ad altri 1,5 miliardi di entrate; 3) autorizzare l'emissione di project bond sul mercato finanziario da parte delle imprese, garantiti però dalla Cassa Depositi e Prestiti (con i soldi dei correntisti postali) e assicurati dalla Sace; 4) affidare l'opera in gestione con un contratto che garantisca un minimo di proventi tariffari e, soprattutto, le autorità statali concessionarie dovrebbe fingere di credere che l'opera venga a costare davvero "solo" 10 miliardi di euro.
Insomma, come è stato detto a un recente convegno organizzato a Ravenna dalla rete ambientalista Stop Orte-Mestre (www.stoporme.org), la nuova autostrada è un mostro che dorme sornione, pronto a mettersi in moto al segnale del nuovo, arrembante ministro Maurizio Lupi.
Chi invece non dorme affatto sono i cittadini dei 48 comuni che saranno investiti dai cantieri. Sono questi i veri instancabili presidi democratici a difesa del territorio e dei denari pubblici che da più di dieci anni si battono a mani nude per denunciare la follia di questa grande opera inutile e devastante. Decine di comitati locali sorti un po' per volta, con un passaparola iniziato dal comitato Opzione Zero della Riviera del Brenta. Comune per comune lungo il tracciato, hanno prima conquistato l'appoggio delle grandi associazioni quali Legambiente, Wwf, Lipu, Mountain Wilderness e Pro Natura, poi hanno dato vita ad un coordinamento e alla rete Stop Or Me con la campagna Salviamo il Paesaggio e i gruppi politici che ci sono stati: Movimento 5 Stelle e Alba. I comitati avrebbero potuto limitarsi a denunciare l'insostenibilità di alcuni impatti quali l'attraversamento dello storico canale navigabile Brenta, in mezzo al paesaggio palladiano delle ville venete, o i viadotti sulle Valli di Comacchio, o le "varianti di valico" sulle Foreste Casentinesi, e sarebbero stati nel giusto. Hanno invece preferito affrontare un lungo percorso di studi multidisciplinari (trasportistici, economici, ambientali, paesaggistici, giuridici) e di autoformazione, scoprendo quanto solitamente non viene detto dai grandi organi di informazione e, tantomeno, divulgato dalle istituzioni politiche. Ad esempio, che promotrice del progetto è la Gefip Holdin, il gruppo di famiglia di Vito Bonsignore, europarlamentare del Pdl, che nel 2003 comprò per 4,5 milioni di euro la prima società promotrice del progetto, la Newco Nuova Romea SpA presenti le maggiori coop rosse Cmc e Ccc. Che, a sua volta, nacque per concretizzare l'indicazione della Associazione Nuova Romea Commerciale, il cui presidente era niente meno che Pierluigi Bersani. Quel che si dice grandi e losche intese!
Grazie al lavoro dei comitati scopriamo che il vice-presidente della allora NewCo, Lino Brentan, e l'amministratore delegato (ora dimissionario) della Mantovani, una delle principali imprese della associazione di imprese promotrici, l'ing. Baita, sono agli arresti per corruzione, associazione a delinquere e frode fiscale. Scopriamo che in realtà le società di progetto sono scatole vuote create dagli intermediari finanziari per farci affluire i finanziamenti bancari. Scopriamo che la finanziarizzazione dell'economia - tanto deprecata a parole - in realtà nasce per mano e per volere dello stato attraverso il meccanismo truffaldino del project financing. Come non si stanca di spiegare l'ingegnere Ivan Cicconi, la finanza di progetto, figlia della Legge Obiettivo, serve a bypassare i patti di stabilità (che comporterebbero il blocco degli investimenti) concedendo a società di diritto privato la realizzazione e la gestione delle opere (così da evitare persino di cadere nelle maglie dei reati di corruzione) ma pur sempre scaricando, alla fine e tramite i contratti di concessione dell'opera, sulla spesa pubblica allargata i costi della realizzazione e gestione dell'infrastruttura che non dovessero essere coperti dai pedaggi, dalle royalties, dai canoni degli autogrill o delle pompe di benzina... In barba al rischio di impresa! Un keynesismo alla rovescia che gonfia i costi di realizzazione e moltiplica le intermediazioni finanziarie. Con molto meno si potrebbero realizzare molti più interventi puntuali, a portata del sistema delle piccole imprese, creando lavoro per più persone. Come, ad esempio, mettere in sicurezza le strade esistenti, diversificare il traffico pesante, attrezzare i porti come scali delle autostrade del mare e collegandoli con la rete ferroviarie. La differenza sta tutta nell'obiettivo che ci si pone: aumentare il flusso di denari gestito dal sistema finanziario o migliore la mobilità del maggior numero di persone e la quantità delle merci trasportare per mare e per treno?

 



venerdì 16 agosto 2013

VENERDI' DELLA RABBIA IN EGITTO

venerdì 16 agosto 2013 10:24

AGGIORNAMENTO DELLE ORE 20 
80 MORTI IN PIAZZA RAMSES, EDIFICI IN FIAMME
Sarebbero 80 i morti solo in Piazza Ramses al Cairo. Lo riferiscono fonti locali. In gran parte sono attivisti e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani. La polizia avrebbe sparato anche dagli elicotteri. Nella piazza sono stati dati alle fiamme alcuni edifici. Notizie di numerosi morti arrivano anche da altre citta', a conferma che quella di oggi e' stata un'altra giornata di sangue in tutto il Paese.
AGGIORNAMENTO ore 18.30
FRATELLANZA: AL CAIRO ALMENO 45 VITTIME

Secondo il braccio politico dei Fratelli Musulmani, il partito Giustizia e Libertà, al Cairo le forze di sicurezza avrebbero ucciso almeno 45 persone, oltre 250 i feriti. Per il Ministero della Salute, in tutto il Paese, le vittime sarebbero 27.
AGGIORNAMENTO ore 16.30
TRE MORTI A FAYOUM. SI DIMETTE PORTAVOCE DEL FRONTE DI SALVEZZA

Tre vittime a Fayoum fanno salire ancora il bilancio delle vittime che tocca ormai quota 40. A livello politico, dopo le dimissioni del vicepresidente ad interim El Baradei, giungono anche quelle di Khaled Dawd, portavoce del Fronte di Salvezza Nazionale, ombrello delle opposizioni al regime di Morsi e oggi sostenitori dell'esecutivo provvisorio. Secondo alcuni osservatori, un'ammissione di colpa per aver avallato e sostenuto un golpe che si sta rivelando incapace di gestire la crisi egiziana.
AGGIORNAMENTO ORE 16.00 25 MORTI IN PIAZZA RAMSES, FRATELLI MUSULMANI
I Fratelli Musulmani denunciano che ci sarebbero stati 25 morti a Piazza Ramses, al Cairo, dove si fronteggiano i sostenitori del deposto presidente, Mohammed Morsi e la polizia. La televisione di Stato egiziana riferisce che 12 persone hanno perso la vita negli scontri scoppiati dopo la preghiera di mezzogiorno a nord ed est del Cairo.
AGGIORNAMENO ore 15.30
OTTO MORTI A DAMIETTA, SCONTRI AD ALESSANDRIA

Secondo fonti mediche, sarebbero stati uccisi almeno otto manifestanti a Damietta, facendo salire il bilancio di oggi a dodici morti. Scontri in corso ad Alessandria e Tanta.
AGGIORNAMENTO ore 14.30
QUATTRO MORTI A ISMAILIYA, UN POLIZIOTTO UCCISO AL CAIRO

Sono in corso le manifestazioni indette dai sostenitori del presidente Morsi. Secondo quanto riportato da Al Jazeera, ad Ismailiya le forze di sicurezza avrebbero ucciso quattro persone, undici i feriti.
Al Cairo un poliziotto è stato ucciso ad un checkpoint. A Tanta, la polizia lancia gas lacrimogeni per disperdere la folla, che sta lanciando pietre in risposta. I manifestanti stanno marciando verso la sede del governatorato.
AGGIORNAMENTO ore 11.35
L'ESERCITO CIRCONDA TAHRIR SQUARE, TAMAROD A DIFESA DEI COPTI

Le forze armate egiziane hanno chiuso con filo spinato tutte le entrate e le uscite per Tahrir Square. La piazza simbolo della rivoluzione del 25 gennaio 2011 è circondata da veicoli blindati. Chiusa anche la fermata della metropolitana in attesa delle manifestazioni di oggi.
Intanto, dopo gli attacchi alle chiese copte, il gruppo Tamarod - la campagna di raccolta firme che ha avviato le proteste anti-Morsi di luglio e il successivo intervento dell'esercito - ha detto che difenderà le chiese e le moschee, in particolare i luoghi di culto cristiani presi di mira da gruppi islamisti nei giorni scorsi.
dalla redazione

Roma, 16 agosto 2013, Nena News - Il Venerdì della Rabbia attende oggi l'Egitto, ormai ad un passo dalla guerra civile. Dopo i durissimi scontri dei giorni scorsi (con un bilancio che oscilla tra le 500 e le 700 vittime), i sostenitori del deposto presidente Morsi hanno indetto per oggi manifestazioni contro il golpe militare in tutto il Paese. "Manifestazioni contro il colpo di Stato partiranno dalle moschee del Cairo e si dirigeranno verso piazza Ramsis - ha annunciato il portavoce dei Fratelli Musulmani, Gehad Al-Haddad - Dopo gli arresti e le uccisioni che stiamo subendo, le emozioni sono troppo forti per essere guidate da qualcuno". Ovvero, difficile prevedere cosa accadrà nelle piazze, soprattutto dopo l'ordine dato dal Ministero degli Interni a polizia ed esercito: aprite il fuoco contro chiunque attacchi le forze di sicurezza o gli edifici governativi.

L'Alleanza per il Sostegno della Legittimità fa altrettanto e chiama milioni di egiziani a scendere in strada dopo la preghiera del venerdì, da 28 diverse moschee della capitale: "La nostra rivoluzione è pacifica. La violenza non è la nostra dottrina e il vandalismo è usato dai leader del golpe militare per mantenere il controllo del Paese".

A livello internazionale, si muove l'Unione Europea. Oggi l'inviato speciale di Bruxelles in Medio Oriente, Bernardino Leon, ha fatto sapere che le forze armate egiziane hanno rifiutato un accordo di pace con la Fratellanza, qualche ora prima dei sanguinari sgomberi di mercoledì. L'accordo era stato raggiunto con l'aiuto della UE e degli Stati Uniti: "Avevamo un piano politico sul tavolo, accettato dalla Fratellanza. L'esercito avrebbe potuto accettare tale opzione".

I ministri degli Esteri della UE si vedranno nei prossimi giorni, al massimo martedì come richiesto dall'italiana Emma Bonino, per affrontare la questione della crisi egiziana. Intanto la Danimarca chiede la sospensione dei progetti bilaterali con l'Egitto e la Svezia lo stop ai finanziamenti del Fondo Monetario Internazionale.

Richieste che seguono alla decisione dell'amministrazione statunitense di interrompere le esercitazioni militari congiunte con l'Egitto, previste per il prossimo mese, seppur Obama continui ad affermare di non voler prendere le parti né dell'esercito né degli islamisti. Gli errori della comunità internazionale stanno venendo a galla, insieme alle loro atroci conseguenze. L'appoggio incondizionato alla Fratellanza - previa accettazione di determinati parametri economici e misure liberiste, così da ottenere i prestiti dell'FMI - hanno trascinato l'Egitto in una crisi economica peggiore dell'era Mubarak. Una crisi che si è aggiunta alle politiche antidemocratiche e non inclusive dei Fratelli Musulmani, provocando la rabbia popolare e il conseguente intervento militare.

Il risultato è una guerra civile. Nena News



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