Perchè questo nome: Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.
Comune
in Val Susa condanna Pizzarotti per il suo coinvolgimento nella TAV
israeliana che attraversa la Cisgiordania. La Coalizione Italiana Stop
That Train chiede al governo italiano di scoraggiare le imprese italiane
che operano in violazione del diritto internazionale, seguendo
l’esempio di altri paesi europei.
Il 27 dicembre il Consiglio comunale di
Villar Focchiardo (TO) ha approvato all’unanimità una delibera che
condanna la Pizzarotti Co S.p.A. di Parma per il suo coinvolgimento
nella ferrovia ad alta velocità israeliana che attraversa la
Cisgiordania occupata. La TAV israeliana, che dovrebbe collegare Tel
Aviv a Gerusalemme, taglia per 6,5 km i Territori
palestinesi occupati in palese violazione del diritto internazionale,
comportando la confisca di terre palestinesi e il saccheggio di beni
appartenenti al territorio occupato per la costruzione di una linea
ferroviaria ad uso quasi esclusivo dei cittadini israeliani.
Villar Focchiardo diventa così la sesta amministrazione locale ad
approvare una tale delibera. Il significato della misura è forte dato
che il comune si trova in Val Susa, dove va avanti da 20 anni la lotta
popolare contro la costruzione di una TAV attraverso la vallata.
Nell’ottobre del 2013, una delegazione No
Tav si è recata nei Territori palestinesi occupati dove ha potuto
costatare come la sottrazione continua di terre palestinesi è
strumentale allo “spezzettare il territorio”.
L’estate scorsa l’organizzazione
palestinese per i diritti umani Al-Haq ha pubblicato un parare legale
sul caso in cui si afferma che ci sono “fondati motivi” per ritenere
Pizzarotti responsabile di atti che “possono ammontare a gravi
violazioni del diritto internazionale, come i crimini di guerra di
saccheggio e di distruzione e appropriazione di beni”. Per gli stessi
motivi, la Deutsche Bahn si era già ritirata dal progetto nel 2011.
Oltre alla condanna politica e morale, la delibera approvata impegna il
sindaco e la giunta di Villar Focchiardo a valutare la possibilità di
inserire una clausola “che escluda la partecipazione di aziende e
soggetti economici che operino in violazione dei diritti umani e/o in
contrasto con i diritto internazionale” nel regolamento del comune “per
la partecipazione a bandi comunali per l’esecuzione di opere pubbliche”.
La delibera di Villar Focchiardo arriva
in un momento in cui governi e impresi europei prendono misure per
evitare complicità con le violazioni del diritto internazionale commesse
da Israele. Negli ultimi mesi, tre imprese olandesi, su consiglio del
governo, hanno interrotto legami con gli insediamenti israeliani. A
dicembre 2013 il governo britannico ha pubblicato linee guida che
avvertono sui “chiari rischi connessi alle attività economiche e
finanziarie negli insediamenti” e non incoraggia né offre supporto per
tali attività. La Romania ha vietato ai suoi cittadini lavoratori edili
di essere coinvolti nella costruzione delle colonie israeliane poiché
in violazione di norme di diritto internazionale. Le nuove linee
guida dell’Unione Europea, in vigore dal 1 gennaio 2014, vietano
l’attribuzione di sovvenzioni comunitarie ai progetti in insediamenti
illegali e il rilascio di prestiti UE a qualsiasi entità israeliana che
operi negli insediamenti.
La Coalizione Italiana Stop That Train applaude la coerenza mostrata da
Villar Focchiardo e le altre amministrazioni locali italiane
nell’assicurare che le imprese che traggono profitti dalla violazione
del diritto internazionale non abbiano accesso ai fondi pubblici. Stop
That Train invita i consigli comunali in tutta Italia ad approvare
delibere analoghe e esige che il governo italiano, in perfetta linea con
la politica europea di non riconoscere la sovranità israeliana sui
Territori palestinesi occupati, scoraggi attivamente le imprese
italiane dal proseguire o intraprendere attività con imprese ed enti
israeliani che operano nei territori palestinesi occupati.
Quando
l’Italia è venuta in Calabria, ha portato questi doni. E come si
conviene, nelle occasioni d’ogni anno, li ha rinnovati e li rinnova
ancora.
Avvenne anche dopo la rivolta di Reggio, erano gli anni ’70, fecero il porto, dicendo che avrebbe sviluppato la Calabria e l’Italia, almeno quella del sud… intanto sviluppò la ‘ndrangheta e la fece diventare impresa.
Poi, dopo decenni di stasi in cui al porto ci andavamo a fare i tuffi, fu aperto veramente, e da allora sviluppò i profitti dell’MCT,
la multinazionale che lo usa a proprio consumo e convenienza, lasciando
inutilizzata buona parte della struttura ma non lasciandone il
monopolio e ricattando i lavoratori con la cassa integrazione: o fai
così o te ne vai.
Ultimamente, i profitti tornano a crescere ma i cassintegrati restano almeno un terzo, come mai?
“Un’eccellenza italiana”, parlando dello stesso porto recita così il Ministro Lupi, che in dono ci porta a nome dell’Italia e della comunità internazionale le armi chimiche della Siria. Così a costo 0 il Governo italiano si fregia di partecipare alla “più importante operazione di disarmo negli ultimi dieci anni”, come dice quell’altra ministra.
E
siamo contenti, e…? Se le operazioni militari che le potenze mondiali
conducono, nell’epoca della guerra permanente, per farsi concorrenza a
conquistare posizioni in regioni martoriate e far valere i propri
interessi imperialisti… se queste operazioni per una volta producono
una cosa buona, la distruzione di micidiali arsenali chimici, certo che
siamo contenti!
E saremmo ancor più contenti se si prendessero provvedimenti contro quelle multinazionali che sintetizzano e commerciano gli ingredienti di questi composti terrificanti, che spesso son le stesse che c’avvelenano coi pesticidi, con gli OGM… società che
per realizzare questi commerci di morte chissà quante volte fanno
passare queste stesse sostanze per questi luoghi, senza che si sappia, o
le interrano con la complicità della ‘ndrangheta…
Una cosa buona certo, ma una domanda sorge spontanea: perché
prima d’esser distrutte a queste armi devono fargli fare il giro di
mezzo mondo? Non sarà che lo smaltimento, come ogni cosa al giorno
d’oggi, è un altro business e un’altra speculazione? O ancora: perché
proprio a Gioia Tauro senza se e senza ma, quando in Sardegna appena
hanno puntato i piedi il governo ha cambiato subito rotta?
Ora si rincorrono i politici locali tutti, pure Scopelliti, ch’è dello stesso partito di Lupi
e della faccenda era di certo informato, mo’ cade dal pero… tutti
indignati: “da qua non si passa!” Come si dice? “non nel mio giardino”!
E
che vuol dire? Che avete fatto voi per difendere prima questo giardino
dagli scempi speculativi reali che si realizzano continuamente? Cosa
pensate voi per esempio di quella bomba a tempo che è il Rigassificatore
più grande d’Europa, che si vuole impiantare in uno dei territori più
sismici e saturo d’altri impianti, a rischio evidente catastrofe e
certezza di morte per sempre del mare e di tutte le attività connesse…?
Con quello molti di voi son d’accordo!
Già, quello fa meno notizia.
Chiediamo
al Ministro Lupi: forse che si potrebbe fare questa delicatissima
operazione in questo porto/eccellenza se ci fossero in mezzo le cisterne
piene di Gas Naturale Liquefatto?
E
cosa fa il Governo per questo porto/eccellenza? Non è forse vero che lo
abbandona, che non lo aiuta, che rivolge le attenzioni verso altri
scali?
“Un'eccellenza
italiana che solo nel 2013 ha trattato 29.800 tonnellate di prodotti
chimici pericolosi come questo. Ci sono le attrezzature, la profondità
dei fondali, la capacità, capacità professionale, la capacità di gestire
operazioni complesse" così recita ancora il Ministro, ma non dice
cosa fa il governo per difendere quelle professionalità, per difenderne
l’occupazione e per difenderne i diritti aggrediti dall’ingordigia
dell’MCT.
O ancora: cosa fa per difenderne la sicurezza?!?
Così dichiarano i Portuali del SUL: “Nessuna relazione tecnica è materialmente arrivata all'Autorità portuale… Non conosciamo i dettagli tecnici del trasbordo di armi chimiche siriane deciso dal governo,
non sappiamo quanti di noi saranno materialmente necessari per
l'operazione, non siamo al corrente di un piano di evacuazione nel caso
di incidente, non sappiamo nemmeno esattamente quali sostanze chimiche
maneggeremo e a quale tipologia appartengono le navi coinvolte” e
ricordano che a Gioia Tauro non c’è un ospedale né un centro antiveleni…
Già,
di questi regali non ha pensato mai a portarcene, l’Italia, piuttosto
un megadepuratore che smaltisce sostanze tossiche da ogni dove… è
normale che abbiano pensato, allora, che i cittadini di qui sono
abituati, tanto alle sostanze tossiche quanto ad affrontare rischi senza
alcuna garanzia.
Sono
abituati a tutto e a stare zitti e subire sempre. Basta qualche
promessa, qualche favore qua e là ogni tanto, per mantenere viva la
speranza che qualcuno prima o poi ti può sistemare… basta questo perché
ognuno, qui, si faccia i fatti suoi.
Ecco, a questo, almeno a questo, è arrivato il momento di dire NO!
E
chiedere garanzie: per la sicurezza, per la sostenibilità del porto e
l’integrità del territorio, che se, dietro tutte le garanzie che ancora
devono arrivare, accettiamo di fare la nostra parte ora, si faccia una
moratoria sugli impianti impattanti – come il rigassificatore – e si
risparmi questa terra per il futuro.
Una sentenza importante. Va dato atto
al collegio della corte di appello di Perugia, e all’estensore delle
motivazioni, di aver redatto una sentenza coraggiosa
e pulita che riscrive totalmente un pezzo della recente storia
italiana. Una storia che non troverete certo nelle fiction della Rai.
Questo blog ha lavorato sull’intera vicenda dall’inizio stanando chi si
nascondeva sotto lo pseudonimo di De Tormentis. Torneremo su questi
fatti nei prossimi giorni. Per ora leggete quanto scritto dalla corte di
appello di Perugia. Nicola Ciocia, l’ex funzionario Ucigos a cui
Improta e De Francisci ricorrevano su mandato del governo per le
torture, è considerato dai magistrati “gravato da forti indizi di
reità”, pertanto anche se i reati sono prescritti (la tortura non
prevista nel nostro codice penale), la prescrizione – scrivono i giudici
– deve essere comunque dichiarata dall’autorità giudiziaria, anche
perchè vista la gravità dei fatti imputati, Nicola Ciocia potrebbe
rinunciarvi per potersi difendere.Per questo motivo – concludono i magistrati
– gli atti verranno inviati alla procura di Roma. Vedremo cosa accadrà e
vedremo anche se Repubblica publicherà la sentenza.
Il 17
gennaio 1961 Patrice Émery Lumumba, insieme a due suoi fedeli (Mpolo e
Okito), fu trasferito in aereo a Elisabethville (l'attuale Lubumbashi),
in Katanga, e consegnato nelle mani di Moïse Kapenda Tshombé. Era stato
catturato il 2 dicembre 1960 dai soldati di Joseph-Desiré Mobutu mentre,
dopo essere evaso dalla sua prigione domiciliare vigilata dai caschi
blu dell'Onu, stava per riparare a Stanleyville, al di là del fiume
Sankuru. Verso le 10 di sera di quello stesso giorno, lungo di viaggi e
torture, un plotone al comando di un ufficiale belga fa fuoco su di lui e
sui due suoi compagni. La mattina successiva i resti di Lumumba, Mpolo e
Okito vengono fatti sparire nell'acido e molti dei sostenitori
dell'indipendenza congolese giustiziati nei giorni seguenti con la
partecipazione di mercenari belgi. Tshombé è presente all'esecuzione.
Lui, che appena sei mesi prima aveva promosso le sommosse nel Katanga,
una regione meridionale del Congo belga scandalosamente ricca di
minerali preziosi, decretandone la secessione al soldo del governo
belga, della CIA e nel silenzio frastornante delle Nazioni Unite. Perché
Patrice Lumumba, divenuto primo Primo Ministro del Congo indipendente
il 23 giugno 1960 a capo del MCN (poi diventato MNCL, Movimento
Nazionale Congolese di Liberazione), aveva creato più di un fastidio
alle politiche imperialiste dell'Occidente cosiddetto "democratico". Se
le autorità belghe (e soprattutto le compagnie minerarie) non pensavano
ad un'indipendenza piena ed intera (una buona parte dell'amministrazione
e i quadri dell'esercito restavano belgi), Lumumba sfidò l'ex potenza
coloniale decretando l'africanizzazione dell'esercito e rendendo il
popolo congolese il vero motore di questa storica indipendenza (a
dispetto del re del Belgio, Baldovino, che con stile paternalistico
aveva annunciato «Noi vi abbiamo aiutato a raggiungere l'indipendenza...
»). Le parole di questo leader carismatico suonavano come un monito
alle orecchie degli sfruttatori, dei coloni parassiti e dei politicanti
ambigui del Congo indipendente (come ad esempio il Presidente Kasa-Vubu,
che nel settembre non esiterà a revocare gli incarichi di Lumumba e
degli altri ministri nazionalisti, salvo poi essere destituito dal
parlamento poco dopo): «Noi abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti,
le sferzate, e dovevamo soffrire da mattina a sera perché eravamo negri.
Chi dimenticherà le celle dove furono gettati quanti non volevano
sottomettersi a un regime di ingiustizia, di sfruttamento e di
oppressione?». Lumumba fu per questo molto rimpianto da tutta la
comunità dei paesi non allineati e da numerosi esponenti politici (quali
ad esempio Che Guevara che protestò vibrantemente contro il suo
assassinio). In Lumumba, però, non individuiamo il profilo del classico
rivoluzionario, non possiamo nemmeno arruolarlo tra le fila dei tanti
intellettuali filosovietici di quegli anni, poiché egli non si definiva
comunista: Lumumba era un'idealista profondamente convinto dei suoi
principi, capace di radicalizzarsi nei discorsi e nei metodi quando le
contingenze lo richiedevano. La
lettera scritta per la moglie poco prima di morire ci lascia il profilo
più autentico di Patrice Lumumba, con tutti gli accenti che solitamente
infiammavano i suoi discorsi: "Mia cara compagna, ti scrivo queste
righe senza sapere se e quando ti arriveranno e se sarò ancora in vita
quando le leggerai. Durante tutta la lotta per l'indipendenza del mio
paese, non ho mai dubitato un solo istante del trionfo finale della
causa sacra alla quale i miei compagni ed io abbiamo dedicato la vita.
Ma quel che volevamo per il nostro paese, il suo diritto a una vita
onorevole, a una dignità senza macchia, a un'indipendenza senza
restrizioni, il colonialismo belga e i suoi alleati occidentali – che
hanno trovato sostegni diretti e indiretti, deliberati e non, fra certi
alti funzionari delle Nazioni Unite, quest'organismo nel quale avevamo
riposto tutta la nostra fiducia quando abbiamo fatto appello al suo
aiuto – non lo hanno mai voluto. Hanno corrotto dei nostri compatrioti,
hanno contribuito a deformare la verità e a macchiare la nostra
indipendenza... Morto, vivo, libero o in prigione per ordine dei
colonialisti, non è la mia persona che conta. E' il Congo, il nostro
povero popolo... Ma la mia fede resterà incrollabile. So e sento in
fondo a me stesso che presto o tardi il mio popolo si solleverà come un
sol uomo per dire no al capitalismo degradante e vergognoso e per
riprendere la sua dignità sotto un sole puro... Ai miei figli, che
lascio e forse non rivedrò più, voglio che si dica che il futuro del
Congo è bello e che aspetta da loro, come da ogni congolese, che
completino il compito sacro della ricostruzione della nostra
indipendenza e della nostra sovranità, poiché senza dignità non c'è
libertà, senza giustizia non c'è dignità e senza indipendenza non ci
sono uomini liberi. Né le brutalità, né le sevizie né le torture mi
hanno mai spinto a domandare la grazia, perché preferisco morire a testa
alta, con la mia fede incrollabile e la fiducia profonda nel destino
del mio paese, piuttosto che vivere nella sottomissione e nel disprezzo
dei sacri principi. La storia si pronuncerà un giorno, ma non sarà la
storia che si insegnerà a Bruxelles, a Washington, a Parigi o alle
Nazioni Unite, ma quella che si insegnerà nei paesi liberati dal
colonialismo e dai suoi fantocci. L'Africa scriverà la sua storia, una
storia di gloria e di dignità a nord e a sud del Sahara. Non piangermi,
compagna mia. Io so che il mio paese, che tanto soffre, saprà difendere
la sua indipendenza e la sua libertà".
Thomas Sankara il 15 ottobre 1987 viene assassinato da
un commando golpista - organizzato e diretto da Blaide Compaoré - a soli 37
anni. Era nato il 21 dicembre 1949 a Yako, nell'ex Alto Volta, una colonia
francese piuttosto turbolenta e, che soli molti anni dopo durante la
rivoluzione del 1983 prenderà il nome di Burkina Faso. La data ufficiale in cui l'Alto
Volta diventa "Burkina Faso" è il 4 agosto 1984; nell'incrocio di due
lingue locali (dioula e mooré) significa "La patria degli integri". A Thomas Sankara sono state date
molte definizioni: "Il presidente dei contadini", per la decisione di
metterli al centro e dar potere ai produttori di sopravvivenza, quel 90% di
contadini condannati alla miseria più marcata e disperante; dimenticati e da
sempre rovinati da tradizioni feudali e, in euguale misura dalla distruzione
della natura complice l'avanzamento del deserto. "Il ribelle" a causa
delle proposte in favore del disarmo e dell'indipendenza economica terzomondista,
contro l'imperialismo e il capitalismo divoratore di risorse. "Il presidente più povero del
mondo" per la sua visione personale della figura del presidente: ossia la
messa in pratica di un principio di non-privilegio. A tal proposito
spiegava:"Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero". "L'incorruttibile" per
la lotta senza quartiere che lanciò durante gli anni della Rivoluzione
Burkinabé contro gli abusi. "Il Femminista". Sankara
si guadagnò questa definizione per l'attenzione speciale che riservò alle donne
vittime del patriarcato capitalista. Se dovessimo sintetizzare cosa ha
rappresentato Sankara per l'Africa (e non solo) potremmo prendere in prestito
la nota scritta dal sociologo svizzero, Jean Zigler:" L'esperienza di
Sankara è stata unica in Africa e in tutto il Terzo Mondo. La morte di questo
uomo eccezionale è una tragedia per l'intera Africa". Vent'anni prima della dipartita
del presidente del Burkina Faso, autentica coscienza ribelle per l'Africa
intera, alla stessa età, Che Guevara trovò la morte e, prima di morire fece in
tempo a scrivere una delle sue proverbiali frasi:"Quando lo straordinario
diventa quotidiano, ecco la Rivoluzione". Parole perfette per la storia e
per l'esperienza di Sankara alla guida della Rivoluzione Burkinabé. -IL BURKINA FASO Il Burkina Faso è situato
nell'Africa sub-sahariana è un paese chiuso (senza sbocchi sul mare); un paese
agricolo. Ha una superficie di 274.000 Km2, la popolazione è di circa
12.000.000 abitanti, con il 75% dei cittadini tra i 15 e i 40 anni. Il Burkina Faso è limitato a
nord-ovest dal mali, ad est dal Niger, a sud-ovest dalla Costa D'Avorio, a sud
dal Ghana e dal Togo, a sud-est dal Benin. La capitale è Ouagadougou è situata
proprio al centro del paese e, Bobo Dioulasso, il centro delle attività si
trova ad ovest. -IL PRESIDENTE RIBELLE" Thomas Sankara è stato il paladino
assoluto del rifiuto di apporre la sua firma - a nome del Burkina Faso - al
programma di aggiustamento strutturale con il Fondo Monetario Internazionale.
Questa sua posizione rivoluzionaria lo rende assolutamente moderno e attuale
oggi che, in quell'Europa che per oltre 100 anni produsse ( e ancora produce,
sotto altre mentite spoglie un moderno colonialismo fatto di schiavismo, guerre
civili, dittature e coflitti che stanno riesplodendo in modo drammatico e
proccupante, con la Francia in prima fila...) un colonialismo che condannò
l'Africa alla miseria più diffusa e drammatica, l'esempio di Sankara sarebbe la
migliore risposta alla "dittatura della Troika" che sta imponendo
sistemi autoritari anche nei cosiddetti paesi del "Primo Mondo". In un memorabile discorso ad Addis
Abeba, in Etiopia, nel 1986 Sankara spiegò perché l'Africa non doveva pagare il
debito estero: "Abbiamo detto all'Fmi: quel che chiedete noi l'abbiamo già
fatto. Abbiamo ridotto i salari dei funzionari, risanato l'economia, non avete
niente da insegnarci. ci è sembrato di capire che quel che il Fondo cerca sia
un controllo politico". -LA FORMA ISTITUZIONALE DELLA
RIVOLUZIONE BURKINABE' La Rivoluzione che Sankara portò a
compimento aveva come forma istituzionale rivluzionaria, la democrazia diretta.
nacque da un'alleanza fra la rivolta popolare contro governi corrotti e un
gruppo di militari giovani capitanati da Sankara, Compaoré ( che poi partecipò
al commando golpista che lo rovesciò...e ancora oggi siede sulla poltrona
presidenziale...), Lingani e Zongo (il giornalista assassinato nel 1988). Il potere a partire dal 1983 fu
amministrato dal governo formato da militari e civili e dal Consiglio Nazionale
della "rivoluzione" (Cnr, che aveva all'interno membri del governo e
membri dei partiti di sinistra); tuttavia il nerbo della "democrazia
diretta", la cassa di risonanza del popolo, dovevano essere i comitati di
difesa della Rivoluzione (Cdr), presenti in tutti i villaggi, quartieri,
luoghi di lavoro. Sensibilizzare le masse,
impegnarsi nel lavoro collettivo di sviluppo socioeconomico e difendere la
Rivoluzione anche con le armi erano questi i compiti che il "Comandante
Sankara" assegnò a tutti coloro che, nel popolo si impegnarono a favore
dello sviluppo del Burkina Faso. Sankara attribuiva una grande importanza alle
organizzazioni di massa: credeva che, l'Unione dei contadini, delle donne, dei
giovani, degli anziani, sarebbero state la vera espressione della
democrazia diretta mentre, invece, non aveva alcuna fiducia nei partitini
che si richiamavano a modelli rivoluzionari di stampo urbano ed elitario. -THOMAS SANKARA I DISCORSI E LE
IDEE Sankara è stato una figura
fondamentale e importantissima per milioni di giovani africani ieri come oggi,
il suo grande insegnamento in tema di diritti umani, sociali e su quelli
economici e contro il disarmo dell'Africa rendo no la sua figura assolutamente
centrale per la rivendicazione della "coscienza indipendente dell'Africa".
Qui di seguito abbiamo selezionato alcuni brani di celebri discorsi e alcune
idee che possono meglio inquadrare la figura rivoluzionaria del presidente del
Burkina Faso, sopratutto per quanti, tra coloro nche non ne conoscono nè la
storia nè l'operato.
(Bob Fabiani)
Il filmato eccezionale di questo discorso tenuto dal
"Comandante Sankara" fu definito importantissimo tra quanti quel
giorno si trovavano a Harlem, il "cuore del ghetto nero" di Nyc. Un
discorso a favore dei paesi non-allineati e a sostegno di Cuba e
dell'indipendenza dell'Africa e contro il colonialismo soffocante dei
capitalisti oppressori. -SANKARA PARLA DEL PROBLEMA
DELLA DONNA E DELLA PIAGA DELLA PROSTITUZIONE IN BURKINA FASO. "La prostituzione non è che
la quintessenza di una società dove lo sfruttamento è divenuto regola ed è il
simbolo del disprezzo che l'uomo prova per la donna. Di questa donna che non è
altro che il viso doloroso della madre, della sorella o della sposa di altri
uomini, dunque di ciascuno di noi. E' in definitiva, il disprezzo incoscente
che proviamo per noi stessi. Là dove ci sono prostitute ci sono
"prostitutori". (8 marzo 1987, in occasione
della giornata internazionale della donna a Ouagadougou)* *Sankara nel suo programma
poneva un'enorme attenzione alla donna: il nuovo governo comprendeva 5 donne;
alla radio molte erano le trasmissioni di educazione sessuale, sulla
contraccezione e sulla pericolosità dell'infibulazione; era stata concessa alle
donne non sposate o conviventi il diritto di ottenere unità catastali per
costruire; il 22 settembre 1985 fu indetta la giornata dei "mariti al
mercato".Sankara tentò invano di dare alle donne automaticamente una parte
del salario dei propri mariti perché riteneva che fossero più abili nello
gestire il denaro di molti uomini. La scorta in motocicletta di Sankara era
costituita da donne. Nel 1987 vietò la prostituzione ma per questo ottenne forti
critiche, venendo accusato di non aver preso in debita considerazione la
situazione economica del paese!
-L'AFRICA NON PAGHI IL DEBITO ESTERO E NON COMPRI PIU'
ARMI* ADDIS ABEBA,1986, VERTICE
DELL'ORGANIZZAZIONE PER L'UNITA' AFRICANA (OUA) Il problema del debito va analizzato
prima di tutto partendo dalle sue origini. Quel che ci hanno prestato il denaro
sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi che hanno per tanto
tempo gestito i nostri stati e le nostre economie; essi hanno indebitato
l'Africa presso i donatori di fondi. Noi siamo estranei alla creazione di
questo debito, dunque non possiamo pagarlo.** Il debito, inoltre, è anche legato
a meccanismi neocoloniali; i colonizzatori si sono trasformati in assistenti
tecnici...o dovremmo dire assassini tecnici, e ci hanno proposto dei
meccanismi di finananziamento con i finanziatori, i bailleurs de fonds,
un termine continuamente usato: come se ci fossero "uomini il cui
sbadiglio (baillement in francese...) bastasse a creare lo sviluppo nei nostri
paesi! (Risate) I finanziatori ci sono stati
consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei vantaggi finanziari. Così ci
siamo indebitati per decenni e per decenni abbiamo rinunciato a soddisfare i
bisogni delle nostre popolazioni. Il debito nella sua forma attuale,
controllato e dominato dall'imperialismo, è una riconquista coloniale
organizzata con perizia, affinché l'Africa, la sua crescita, il suo sviluppo,
obbediscano a regole che ci sono del tutto estranee, e che ciascuno di noi
diventi finanziariamente schiavo, o peggio, schiavo tout court di quelli che
hanno avuto l'opportunità, l'astuzia, la furbizia di piazzare capitali da noi
con l'obbligo di rimborsarli. Ci si dice di rimborsare il debito. Ma non si
tratta di una questione morale: qui non è in gioco il cosiddetto
"onore". Signor presidente, abbiamo
ascoltato e applaudito il primo ministro di Norvegia che ha parlato qui ieri,
anche lei, che è europea, ha detto che il debito non può essere interamente
rimborsato. Il debito non può essere
rimborsato prima di tutto perché, se noi non paghiamo, i prestatori di capitali
non moriranno, possiamo esserne certi; invece, se paghiamo, saremo noi a
morire, possiamo esserne altrettanto certi. Quelli che ci hanno portato
all'indebitamento hanno giocato, come al casinò: finché ci guadagnavano, andava
tutto bene; adesso che hanno perduto al gioco, esigono che li rimborsiamo(...) Quando si parla oggi di crisi
economica, si dimentica di dire che la crisi non è venuta dal nulla, esiste da
sempre, e andrà avanti sempre più man mano che le masse popolari diventeranno
più coscienti dei propri diritti di fronte agli sfruttatori. C'è crisi oggi perché le masse
rifiutano la concertazione delle richezze nelle mani di qualche individuo. c'è
crisi perché qualche individuo deposita in banche all'estero somme che
basterebbero a sviluppare l'Africa. C'è crisi perché di fronte a
quelleenormi richezze individuali le masse popolari non ci stanno più a vivere
in ghetti e aeree fatiscienti. C'è crisi perché i popoli dappertutto rifiutano
di essere dentro Soweto a guardare Johannesburg. Ci sono dunque lotte, che
inducono all'inquietudine i detentori del potere finanziario. Ci viene chiesto
di essere complici nella ricerca di meccanismi di equilibrio: equilibrio in
favore di chi ha il potere finanziario, equilibrio a scapito delle nostre masse
popolari. No, non possiamo essere complici! No, non possiamo accompagnare il
passo assassino di chi succhia il sangue dei nostri popoli (...) Si sente parlare di gruppo dei 5,
gruppo dei 7, magari gruppo dei 100 e chissà altro ancora - è davvero tempo di
creare il nostrro club, il nostro gruppo: facciamo sì che da oggi da Addisa
Abeba diventi la sede di un nuovo club, il Fronte unito di Addis Abeba contro
il debito - è nostro dovere proclamare di fronte a tutti che nel nostro rifiuto
di pagare il debito non ci sono intenti bellicosi; al contrario, c'è un intento
amichevole e fraterno, quello di dire come stanno le cose. Le masse popolari
europee non sono opposte a quelle africane, anzi quelli che vogliono sfruttare
l'Africa sono gli stessi che sfruttano l'Europa. I nemici sono comuni. Il nostro
club di Addis Abeba dovrà dire a tutti: "Il debito non sarà pagato"
(...) (...) Impegnamoci molto
saggiamente a ricercare delle soluzioni; facciamo sì che altre conferenze
spieghino con chiarezza che non possiamo pagare il debito. Dobbiamo dirlo tutti
insieme, perché individualmente andremmo a farci assassinare. Se il Burkina
Faso da solo rifiuta di pagare il suo debito, io non sarò qui alla prossima
conferenza (Risate); ma con il sostegno di tutti - e ne ho bisogno (Applausi) -
potremo evitare di pagare. Evitare di pagare è una condizione sine qua non
perché possiamo provvedere al nostro sviluppo. Ma non posso terminare senza
sottilineare che ogni volta che un paese africano acquista armi, è contro gli
africani. Quando nel lanciare la risoluzione di non pagare il debito dobbiamo
contestualmente trovare una soluzione al problema degli armamenti (...) Cari fratelli, con la
collaborazione di tutti possiamo arrivare alla pace fra noi. E potremo
utilizzare le nostre immense possibilità di sviluppare l'Africa. Il nostro
suolo, il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia, abbiamo un
mercato, abbiamo sufficenti capacità intellettuali per creare e utilizzare la
tecnologia, e la scienza che non mancano (...) (...) Facciamo sì che a partire
dal Fronte unito di Addis Abeba contro il debito si decida di frenare la corsa
agli armamenti fra paesi deboli e poveri (...) (...) Facciamo sì inoltre che il
mercato degli africani sia davvero il mercato degli africani: produrre in
Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo ciò di cui
abbiamo bisogno, e consumiamo quel che produciamo, invece di importare! (...) La patrie ou la mort, nous
vaincrons! (Applausi) *In un discorso con punte di
umorismo accompagnato da applausi e risate degli incravattati capi di stato
africani, Thomas Sankara vestito con il Faso dan Fani, cotone del suo paese,
espone e motiva la proposta del Burkina Faso di creare un Fronte unito di Addis
Abeba contro il pagamento del debito estero. Non risparmia tuttavia stoccate ai
governanti che accumulano ricchezze all'estero e condanna lo scandaloso
acquisto di armi da parte di paesi africani. infine invita l'Africa a produrre
quello di cui ha bisogno e a consumare quello che ha prodotto invece di
importare, accettando di vivere degnamente all'africana. ** Il Burkina Faso in realtà
era uno dei paesi meno indebitati d'Africa, anche grazie alle politiche di
contenimento delle importazioni e all'austerità di bilancio autoimposta. Il
servizio del debito costituiva solo il 2,5% del Pil.
-L'ASSASSINIO Nel pomeriggio del 15
ottobre 1987 un commando militare assassina Thomas Sankara e, con lui, 15
persone, guardie e consiglieri. Vennero tutti sepolti la notte
stessa nel cimitero di Dagnonen, un quartiere situato nella zona est di
Ouagadougou. Era la fine di tutto. Era finita
la Rivoluzione Burkinabé. La rivoluzione fu spezzata e
stroncata nel momento "opportuno": Sankara aveva chiesto e preteso
troppo al cuore dello stato, ai funzionari, ai militari, ai sindacati, ai
partitini urbani, ai commercianti, ai capi tradizionali, per non parlare dei
suoi colleghi di governo: del resto è dagli ambienti governativi che partì
l'ordine per rovesciarlo, sotto la regia golpista di Compaoré; è l'ordine
concordato con il consenso delle potenze straniere - sopratutto la Francia che
lo considerava una minaccia per i suoi interessi colonialisti in Africa... -
disturbate dalla possibilità dell'estensione del modello "burkinabé"
in altre colonie e nell'Africa intera. Sankara si accorse troppo tardi
che ai vertici del Burkina Faso era isolato e solo: mentre la base rurale non
era ancora "socializzata alla politica", l'Esercito, intanto,
rivoleva prendere tutto il potere. -LIBRI SU THOMAS SANKARA I titoli che qui troverete sono
solo una piccola guida per orientarsi nello studio di Sankara non ha alcuna
pretesa di essere "assoluta" e tanto meno definitiva.
(Bob Fabiani) -Bruno Jaffré -
Biographie de Thomas Sankara; -Bruno Jaffré -
Burkina Faso Les années Sankara; -Sawadogo
- Le président Sankara; -Carlo Batà
- L'Africa di Thomas Sankara - Le idee non si possono
uccidere - Achab Editrice, 2003; -Thomas Sankara - I discorsi e
le idee - Esizioni Sankara, 2003; -Alessandro Aruffo - Sankara.
Un rivoluzionario africano. - Edizioni Massari, 2007; -Thomas Sankara - Il presidente
ribelle - a cura di Marinella Correggia -Discorsi tradotti da Marinella
Correggia - Edizioni Manifesto Libri; -Valentina Biletta - Una
foglia, una storia. Vita di Thomas Sankara -Edizioni Ediarco, 2003; -Vittorio
Martinelli (con Sofia Massai) - La voce nel deserto (prefazione
Jean-Léonard Touadi) Edizioni Zona, 2009.
(Fonte.:jeuneafriquearchivie;sankara20ans)
Bob Fabiani
Link -www.thomassankara.net; -www.sankara20ans.net; -www.jeuneafrique.com