Ieri
la terza sezione penale della Cassazione ha condannato l'assistente
capo di polizia Massimo Luigi Pigozzi a 12 anni e mezzo di reclusione
per lo stupro di diverse donne in stato di fermo all'interno delle
camere di sicurezza della Questura di Genova. Il nome del poliziotto
Massimo Pigozzi torna tra le pagine di giornale, mentre la memoria (che è
dura a morire per noi) ci riporta al 14 giugno 2013 quando il suo nome
compariva tra le 7 condanne -tra forze dell'ordine e medici- emesse
dalla quinta sezione penale della Cassazione per le violenze perpetrate
nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. Tra le
numerose torture inflitte ai manifestanti in quel giorno, Pigozzi ha
letteralmente strappato la mano a un manifestante divaricandogli le
dita, provocandogli una lesione permanente che nemmeno i 25 punti di
sutura sono stati in grado di evitare.
Condannato a tre anni e due mesi, il torturatore e stupratore Pigozzi ha continuato indisturbato a fare il suo sporco lavoro
all'interno della Questura di Genova, emblematico di una “giustizia”
-se così si può chiamare- che va a senso unico. Ad essere condannato,
anche lo Stato, obbligato a risarcire una delle donne stuprate
(costituitasi parte civile nel procedimento) che ha fatto ricorso di
fronte alla decisione dei giudici riguardo all'assenza di responsabilità
civile del ministero dell'Interno per il comportamento del poliziotto.
Ricorso accolto dalla Cassazione, davanti alla palese responsabilità che
lo Stato ha avuto nel garantire a Pigozzi il regolare svolgimento di
pubblico servizio nonostante si fosse già reso attore in prima persona
delle torture a Bolzaneto.
Non è una
condanna di reclusione a 12 anni e mezzo -con i molti modi che ci
saranno per scontarla- a “ricompensare” il danno e il dolore subito
dalle donne stuprate, né la condanna di Bolzaneto a ridare al
manifestante il completo utilizzo della mano. Tanto meno possiamo
ritenere il comportamento di Pigozzi un caso isolato, giacché la logica
della “pecora nera” è lungi dal rispecchiare una realtà a volte sin
troppo sommersa e che con perseverante impegno si vuole tenere nascosta,
ma che di tanto in tanto, riaffiora tra le pagine dei quotidiani,
rivelando la vera natura di un'istituzione marcia fino al midollo.
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