Il movimento? Cominciò a Palermo
di Luca Cumbo
E’
praticamente impossibile in poche righe riassumere il contesto
storico-sociale che diede vita al Movimento del 1977, pertanto bisognerà
accontentarsi di citare alcuni episodi chiave
che stimolino una visione del periodo almeno in Italia. Comincerei
dunque dal 34,37 % di voti preso dal Pci di Enrico Berlinguer alle
elezioni del giugno 1976, il risultato più alto della sua storia.
Berlinguer scelse però di appoggiare (o di non contrastare a dovere) alcune
riforme economiche e sociali in senso liberista dell’Andreotti III,
governo di minoranza che si reggeva sull’astensione del Pci, tradendo
così le attese almeno dell’elettorato più giovane. Molti
ritengono Berlinguer l’artefice del massimo radicamento del Pci in
Italia, eppure fu proprio con lui che il partito, dopo l’apice del ’76,
non fece altro che perdere costantemente voti. Sempre con Enrico
Berlinguer si ha la prima visita di un dirigente comunista italiano
negli Usa (1978, il «migliorista» Giorgio Napolitano), ma questa è –
forse – un’altra storia.
Fatto sta che il 3
dicembre del 1976 il ministro della Pubblica Istruzione Franco Malfatti
(Democrazia Cristiana) emana una famigerata circolare in cui viene
rimesso in discussione il metodo dei piani di studio universitari
liberalizzati, frutto del ’68, introduce il principio del numero chiuso
per le iscrizioni, aumenta le tasse e abolisce gli appelli mensili per
gli esami. Contemporaneamente le riforme della Pubblica Istruzione in
cantiere non lasciano grandi speranze ai precari della scuola e
dell’università. Il Senato accademico di Palermo è il primo in Italia a
far propria la circolare. In risposta due grandi manifestazioni, il 20 e il 21 dicembre 1976 con almeno 10.000 studenti esigono il ritiro della Circolare Malfatti.
Passate
le feste natalizie e rientrati i moltissimi fuori sede (vero motore
della protesta a Palermo) riprendono assemblee e mobilitazioni finchè il
21 gennaio 1977 viene occupata la facoltà di Lettere e Filosofia di
Palermo, la prima in Italia: aveva così inizio il cosiddetto Movimento
del 1977.
La
situazione di tutto l’ateneo palermitano rispecchiava quello della
Sicilia di allora (e di oggi…). Dopo la Regione siciliana, con i suoi
assessorati e “partecipate”, l’ateneo è la più grande azienda pubblica
dell’isola, ambitissimo «centro di sottogoverno clientelare gestito da
fameliche cricche accademiche legate a filo doppio con gruppi di potere
mafiosi, conta 5.000 dipendenti in massima parte precari» così come
riportato da un volantino del gennaio 1977 scritto dagli studenti. Curiosamente, anche il movimento della Pantera cominciò a Palermo, nella facoltà di Lettere e Filosofia1,
forse perchè la Sicilia è il luogo dove dall’Unità d’Italia a oggi sono
sperimentate le politiche repressive, quindi è anche il primo luogo
dove si «testa» la risposta.
Tornando
nel 1977, pur partecipando alle occupazioni e alle mobilitazioni, i
collettivi studenteschi legati ai partiti sono più in disparte sia per
indicazione degli stessi partiti d’appartenenza, sia per la volontà
degli occupanti di contestare radicalmente tutti i partiti e sindacati
indicati come parte integrante del «sistema». Una votazione del 25
gennaio 1977 del Collettivo di Lettere e Filosofia decide che i
sindacati non possono entrare a parlare in facoltà. Non è raro trovare
in facoltà scritte sui muri inneggianti a Marx e Gramsci, ma anche
manifesti del tipo «PCI=Nuova
Polizia». Innumerevoli sigle spesso in lotta fra loro e che oggi fanno
quasi tenerezza, si spartiscono il pantheon rivoluzionario indicando il
Pci, con argomentazioni e intensità diverse, quale principale nemico da
affrontare: Ao (Avanguardia operaia), Aut. Op. (Autonomia operaia), LC (Lotta continua), Pdup (Partito di unità proletaria), Mls (Movimento lavoratori per il socialismo), Praxis (collettivo dell’omonima rivista), Dp (Democrazia proletaria), Pcmli (Partito comunista marxista leninista d’Italia), Gcr (Gruppi comunisti rivoluzionari) e tante altre sigle un po’ come – se posso scherzare – come in quella canzone di Rino Gaetano
fino ad arrivare agli Im, gli Indiani Metropolitani che fanno il loro
ingresso nelle assemblee ululando: «Siamo usciti dalle riserve, abbiamo
dissotterrato l’ascia di guerra e faremo fuori i visi pallidi2 e i meticci3 che si oppongono alle nostre danze intorno al Totem della Lucida Follia»4.
La lotta studentesca si saldò con la lotta dei lavoratori e docenti precari dell’università di Palermo.
Nei
giorni successivi occuparono come un’onda impetuosa le altre facoltà a
Palermo e nel resto d’Italia: il 17 febbraio Luciano Lama, segretario
Cgil, fautore della scala mobile per i salari5 e già partigiano nei Gap, veniva cacciato da La Sapienza di Roma.
Tutto questo accadeva 36 anni fa.
Mentre
era allo studio l’insieme dei materiali per questa «scor-data» chi –
come me – non ha l’età per avere vissuto direttamente le lotte del 1977,
ma le ha scoperte sui libri o dai racconti di militanti “più navigati”,
si rende conto che mutando semplicemente nomi e date, questo scritto
avrebbe potuto essere tranquillamente il resoconto di una delle tante
battaglie d’oggi per l’università pubblica, la democrazia e il lavoro.
Ci
si rende conto che molti dei movimenti degli ultimi vent’anni hanno
preso molto del lessico, dei contenuti e delle modalità del 1977, sono
identiche o simili anche le fughe in massa da assurde assemblee gestite
con altrettanto assurde modalità in cui, nel nome dell’orizzontalità
assoluta, tutti contestano tutti, è tabù darsi regole (figuriamoci
mettere ai voti…), ognuno è più rivoluzionario dell’altro, ognuno ne sa
più dell’altro, ognuno è parte di un micro-collettivo che regolarmente
poco dopo si spaccherà in altri collettivi sempre più micro, fino a
quando verrà fuori l’esaltazione totale dell’ Individuo, come unico
legittimo portare di istanze (presunte) rivoluzionarie.
A
distanza di 36 anni da quella prima facoltà occupata, lungi dall’avere
la presunzione di dare giudizi sommari sul Movimento del ’77, è
legittimo farsi domande senza timori
reverenziali e probabilmente questo esercizio è più facile, meno
doloroso, per chi non ha vissuto direttamente quegli anni.
Partendo dal presupposto che spesso il bersaglio preferito di queste
mobilitazioni era il Pci, c’è da chiedersi a chi ha giovato quella
modalità di lotta, che risultati ha portato questa continua
delegittimazione che parte da quegli anni per arrivare ai giorni nostri
in forma ormai compiuta.
A
chi ha giovato la tendenza alla «distruzione dei mostri sacri», la
tendenza all’impossibilità di costruire qualcosa che provi ad andare
oltre il mero interesse/pensiero dell’ Individuo?
A
distanza di 36 anni la storia ci dice che la morte (di nome o di fatto)
del Pci e dei sindacati (come soggetto che rivendica diritti) non ha
portato i frutti sperati. Il lavoro è stato sempre più mortificato,
l’ambiente sempre più devastato, la politica estera sempre imperialista.
Vedere
oggi personaggi come Toni Negri osannati e considerati guru negli Usa
fa indubbiamente riflettere. Leggere l’interventismo imperialista di
Adriano Sofri su «La Repubblica» fa riflettere. Le posizioni ultraliberiste e filoatlantiche dei Radicali degli ultimi anni fanno riflettere.
E’
intellettualmente onesto dunque domandarsi, da un punto di vista
storico, se qualcuno dall’esterno e dall’interno poteva avere interesse a
influenzare il Movimento verso determinate posizioni.
E’
lecito dunque domandarsi se certe forme di movimento degli ultimi anni,
forme organizzative reticolari e parcellizzate che tanto devono al ’77,
non facciano il gioco di qualcun altro propugnando forme di lotta che
poi, nei risultati concreti, abbiano favorito e favoriscano più
l’ultra-liberismo individualista di Monti che non il Sol dell’avvenire.
UNA PICCOLA NOTA DI DANIELE BARBIERI
Ottima la ricostruzione di Luca (quando le
lotte partono dalle “periferie” quasi nessuno se ne accorge o ricorda) e
molto interessanti le domande. Io, che invece c’ero, ho un punto di
vista diverso ma ovviamente se ne parlerà un’altra volta. Solo tre
veloci pignolerie: nel ’77 Sofri non c’era (di fatto Lc era sciolta
anche se non tutti i suoi e le sue militanti avevano accettato quella
decisione; Cgil e Pci molto (ma proprio molto) si delegittimatono da
soli, giorno per giorno, tant’è che Lama – per dire – quel famoso giorno
parlò all’università contro il parere (votato in assemblea) della Cgil
università di Roma; i Radicali con il Movimento del ’77 c’entrano poco o
nulla come presenza fisica nelle università mentre ovviamente sull’uso,
in quegli anni, di certe loro proposte e/o metodologie il discorso è
diverso e complesso. (db)
NOTE