Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


martedì 28 febbraio 2012

Roberto Scialabba

Il 28 febbraio 1978 è per i neofascisti romani una data significativa: tre anni prima era morto durante gli scontri alla sezione missina altdel rione Prati Mikis Mantakas, giovane militante del Fuan. L'episodio aveva segnato un vero e proprio punto di svolta per alcuni giovani neofascisti, tra i quali i fratelli Fioravanti, Francesca Mambro a Alessandro Alibrandi, che avevano quindi deciso di impugnare le armi: così erano nati i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), che si renderanno negli anni responsabili di almeno 33 omicidi e che a tutt'oggi sono ritenuti responsabili della strage di Bologna.

Nei giorni precedenti all'anniversario della morte di Mantakas, Fioravanti e i suoi accoliti discutono molto su quale azione mettere in atto per ricordare il camerata ucciso, fino a quando un neofascista appena uscito dal carcere riporta la notizia che a sparare ad Acca Larentia, il 7 gennaio, sono stati quelli del centro sociale di Via Calpurnio Fiamma.
Detto, fatto: quella sera in otto salgono su tre macchine e si dirigono verso il quartiere Tuscolano. Arrivano davanti all'edificio occupato, ma lo trovano chiuso, perché la mattina stessa è stato sgomberato da un'operazione di polizia.


Il gruppetto comincia a perlustrare la zona, entra in un parchetto e vede un gruppo di ragazzi, che dal vestiario sembrano appartenere alla sinistra ezìxtraparlamentare. I neofascisti scendono da una delle macchine, e cominciano subito a sparare.
Le pistole però si inceppano, ma per terra rimane, ferito, Roberto Scialabba, colpito al torace, mentre gli altri ragazzi, alcuni feriti, riescono ad allontanarsi.
L'agguato potrebbe concludersi senza vittime, ma Valerio Fioravanti salta addosso a Roberto e gli spara: uno, due colpi alla testa. È il primo omicidio di Valerio Fioravanti, ma lui stesso si rende conto che i ragazzi di Piazza San Giovanni Bosco non avevano nulla a che fare con Acca Larentia.


Alcune ore dopo, una telefonata all'Ansa rivendica l'omicidio: "La gioventù nazional rivoluzionaria colpisce dove la giustizia borghese non vuole. Abbiamo scoperto noi chi ha ucciso Ciavatta e Bigonzetti. Onore ai camerati caduti."
Ci vorranno però quattro anni, dopo le dichiarazioni del pentito Cristiano Fioravanti, perché la magistratura riconosca la matrice politica del delitto, che fino allora era stato considerato un "regolamento di conti tra piccoli spacciatori".


In una scritta, quando il 30 settembre di un anno prima era stato ucciso Walter Rossi, Roberto, pur non conoscendolo direttamente, lo aveva così ricordato: «Una lacrima scivola sul viso, una lacrima che non doveva uscire, il cuore si stringe, si ribella, i suoi tonfi accompagnano slogan che si alzano verso il cielo "non basta il lutto pagherete caro pagherete tutto"».
Così, all'indomani della morte, i compagni di Cinecittà lo ricordavano: «Roberto era un compagno che lottava, come tutti noi, contro un'emarginazione che Stato e polizia gli imponevano. E' caduto da partigiano sotto il fuoco fascista».

Fonte:


http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/559-28-febbraio-1978-i-nar-uccidono-roberto-scialabba 

ALLO SCHIFO NON C'E' LIMITE! IL GIORNALE E LIBERO

Continuiamo solo a segnalare la demenza e la pochezza delle cosidette “testate giornalistiche” di Libero e il Giornale, non servono commenti ma solo un rigurgito di schifo.
(da Giornalettismo) Il giornale – Per il quotidiano della famiglia Berlusconi Luca Abbà fa “cose cretine”,  che “se l’è cercata e l’ha trovata”. “Altro che eroe. Solo un Cretinetti”, si titola facendo riferimento ad un personaggio cinematografico di inizio secolo. Il sommario spiega il tono accusatorio del Giornale: “Un leader No Tav in fin di vita: ha fatto il bullo ed è caduto da un traliccio. Ma il movimento accusa la polizia E nel resto d’Italia si scatena la rivolta. Bloccate stazioni e autostrade”. Scrive il direttore Alessandro Sallusti: “I No Tav hanno un nuovo eroe, Lucca Abbà. Adesso si trova in coma, dopo essere caduto da un traliccio dell’alta tensione in val Susa. Si era arrampicato per protesta ed è rimasto folgorato. Morale: fratture e ustioni intono il corpo più un coro di solidarietà dei novelli rivoluzionari al quale onestanente non ci sentiamo di aderire. Uno che sale su un traliccio non è un eroe, è uno che mette in pratica cose cretine ed illegali. Se l’è cercata e l’ha trovata, nel caso c’è pure l’aggravante dell’età, 37 anni, che rende il tutto oltre che tragico pure patetico. Abbà è vittima di se stesso ma non l’unico responsabile della sua autodistruzione. C’è il lungo elenco di cattivi maestri che soffia sul fuoco della protesta, intellettuali, ex comici, politici con e senza orecchino che giocano con le parole e, senza nulla rischiare, ora pure con la vita degli altri. E poi ci sono i suoi compagni scellerati, che non gli hanno impedito di salire e che ora da vigliacchi accusano la polizia di avercelo issato. Già, perché come noto, i poliziotti di solito obbligano i manifestanti a scalare i tralicci e a mettere poi le mani sui fili dell’alta tensione”.
Libero non ignora certamente la vicenda di Luca Abbà. “I No Tav si fanno il martire e sfasciano tutto”, è il titolo a centro pagina. La foto, però, non è nè quella della vittima dell’incidente nè della Val di Susa.

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lunedì 27 febbraio 2012

Domenico Congedo







di Guido Panvini 

Sabato 27 febbraio 1969 la città di Roma venne blindata in occasione della visita ufficiale del Presidente degli Stati Uniti Nixon. Le strade, vuote, furono presidiate dalle forze dell'ordine, mobilitate, per l'occasione, in gran numero.
Lo scenario che si delineò quel pomeriggio di febbraio fu ben diverso da quello descritto dai cronisti e dagli inviati che avevano seguito il viaggio di Nixon in Europa, con le manifestazioni di giubilo mostrate a Bruxelles, Londra e Berlino ovest.
L'annuncio della visita, infatti, aveva diviso profondamente gli schieramenti politici. Le polemiche erano infuriate e non erano mancate le provocazioni. Nei mesi precedenti, inoltre, era montata la protesta degli studenti contro l'attuazione della riforma Sullo, con l'occupazione di numerose facoltà a Roma e nel resto d'Italia. Alla mobilitazione studentesca seguì ben presto quella dei gruppi neofascisti che, ad eccezione di qualche formazione "eretica", cercavano di contrastare l'attivismo dei movimenti di protesta. Tra il gennaio ed il febbraio 1969, in particolar modo nella città di Roma, tali istanze si mescolarono con le mobilitazioni a favore o contro la visita di Nixon, contribuendo ad esasperare il clima politico.
Il 22 gennaio estremisti di destra provocarono incidenti davanti ai licei Dante, Lucrezio Caro, Mamiani e all'Istituto tecnico Leonardo Da Vinci, mentre, nella stessa giornata, nella facoltà di Scienze Politiche, un gruppo di attivisti neofascisti si scontrava con gli studenti che presidiavano l'ingresso.
Tra il 25 e il 26 gennaio la destra si mobilitò per la commemorazione di Jan Palach, lo studente cecoslovacco immolatosi per protestare contro l'invasione sovietica del 1968. Violenti scontri tra neofascisti e polizia scoppiarono a Roma davanti all'ambasciata dell'Urss, mentre a Napoli, militanti della "Gioventù europea", nel tentativo di interrompere un'assemblea del movimento studentesco, lanciarono numerose molotov all'interno dell'ateneo, provocando un grosso incendio.
Per tutto febbraio si susseguirono le azioni dei gruppi neofascisti. A Roma, in pochi giorni, vennero assalite la libreria Feltrinelli di via del Babuino, la sede Rai di via Teulada, mentre le sezioni dell'Anpi, le lapidi commemorative dei martiri antifascisti e le sedi dei partiti di sinistra furono oggetto di attentati incendiari o di atti vandalici. Non di rado, accanto alle scritte di rivendicazione «viva il Msi!», comparvero quelle di «viva l'arrivo di Nixon in Italia!».
Tra il 13 ed il 19 febbraio, le azioni violente dei neofascisti subirono un'escalation. Due studenti rimasero feriti in un tafferuglio davanti al liceo Mamiani, mentre una squadra di picchiatori fascisti tentò l'assalto del Magistero, occupato da giorni dal movimento studentesco. Nuovi attacchi alle facoltà vennero compiuti, infine, il 19 febbraio, mentre nella notte un ordigno scoppiava dinanzi all'ingresso dell'istituto di Genetica.
Il pomeriggio del 27 febbraio 1969, numerosi assembramenti e cortei di protesta si formarono in diversi punti della città. Gli studenti del movimento studentesco tentarono di uscire dall'ateneo, da giorni occupato, ma vennero bloccati da un'ingente schieramento di polizia e carabinieri che volevano impedire l'eccessivo ingrossamento del corteo che di li a poco sarebbe partito da piazza Esedra. La tensione sfociò subito in scontri nelle zone adiacenti la città universitaria.
Il corteo partito da piazza Esedra, con alla testa un cordone di parlamentari del Pci e del Psiup, imboccò via Nazionale, ma all'altezza di via Napoli fu bloccato dalla polizia. I manifestanti, tornati in piazza Esedra, discesero via Vittorio Emanuele Orlando, dove, all'incrocio di via Bissolati, nelle vicinanze dell'ambasciata statunitense, di nuovo vennero fermati. Deviato verso piazza Barberini, il flusso di manifestanti si incanalò, allora, verso largo Chigi, dove improvvisamente partirono le cariche della polizia e dei carabinieri. Da quel momento in poi, fino a sera inoltrata, le strade della centro della città furono teatro di scontri violenti e di cariche indiscriminate da parte della celere nei confronti di qualsiasi assembramento.
In questo contesto, comparvero gruppi di neofascisti che si scagliarono contro sedi e sezioni politiche. Il primo assalto venne compiuto contro una sede del partito radicale che esponeva uno striscione di protesta contro la visita di Nixon. Un indignato editoriale di «Paese Sera» del 28 febbraio 1969, denunciando la presunta connivenza tra forze di polizia e gruppi neofascisti, descrive lo scenario di quelle ore: [...] alla città universitaria è stato tutto un assalto durissimo, intimidatorio, puramente gratuito.... [...] Per una logica concatenazione degli eventi, a fianco della polizia, sono apparsi gruppetti di fascisti. Sono stati loro a cercare l'incidente in via 24 maggio contro la sede del partito radicale per via dello striscione anti-Nixon... Una pattuglia di poliziotti sulle loro «jeeps» sibilanti è venuta provocatoriamente, stupidamente, senza un motivo qualsiasi a sfilare davanti alla sede del nostro giornale...li abbiamo visti coi nostri occhi questi agenti salutare con il braccio levato alla fascista, rivolgerci gesti di minaccia con i loro bastoni.
Verso sera, un cospicuo gruppo di estremisti di destra percorse via Nazionale fino a piazza Esedra, li dove era partita la manifestazione indetta dalla sinistra, senza incontrare la resistenza delle forze dell'ordine ancora presenti nella piazza, e si diresse verso il Magistero occupato dagli studenti, con l'intenzione di scacciarne gli occupanti. Contro la facciata dell'edificio, vennero dapprima lanciati sassi e poi sparati dei razzi, simili a quelli utilizzati per i fuochi d'artificio. Non riuscendo a forzare l'ingresso dell'edificio occupato, gli assalitori appiccarono fuoco alla porta, nel tentativo di entrare.
Neanche di fronte a questo episodio la polizia intervenne.
All'interno del Magistero gli occupanti erano rimasti in pochi. La maggior parte degli studenti, infatti, avevano partecipato al corteo nel pomeriggio. Di fronte alla violenza dell'attacco, le persone rimaste a presidiare l'edificio si rifugiarono ai piani superiori, nella speranza di un soccorso. Uno di questi, Domenico Congedo, studente di Lingue, si arrampicò su un cornicione di una finestra del quarto piano, cercando una via d'uscita per i suoi compagni. Tuttavia la traversina di marmo che sorreggeva il ragazzo non resse, si sbriciolò e Domenico Congedo cadde nel pianterreno. Trasportato, con notevole ritardo, al Policlinico, trovò lì la morte.
Domenico Congedo aveva 24 anni ed era nato a Monteroni, in provincia di Lecce. Da poco si era trasferito a Roma, in una stanza in affitto nei pressi di piazza Zama, in via Bitinia. Studiava Lingue e Letterature straniere. Da poco accostatosi alla politica, di simpatie anarchiche, si era avvicinato al movimento studentesco.
Data l'entità degli incidenti e di fronte alla notizia della morte di Domenico Congedo, il presidente degli Stati Uniti annullò la conferenza stampa indetta per la sera.
Nixon partì, comunque, in una Roma spettrale, scioccata dagli scontri del giorno precedente. Mentre sui giornali ed in parlamento infuriava la polemica, sui cancelli della città universitaria ancora occupata, vennero affisse le bandiere rosse e nere degli anarchici, mentre uno striscione recitava : «E' morto un compagno di lotta, Domenico Congedo». Gli studenti, ancora una volta, formarono un grosso corteo che attraversò la città, protestando contro la violenza della polizia e le aggressioni fasciste.
Nonostante il clamore suscitato dai fatti del 27 febbraio e le interrogazioni parlamentari, nonostante il Partito comunista e il quotidiano «l'Unità» avessero fornito alla magistratura un lungo elenco di testimoni, la morte di Domenico Congedo fu attribuita esclusivamente al cedimento del cornicione.

Guido Panvini

Bibliografia:

M. Galleni, Rapporto sul terrorismo, Le stragi, gli attentati, le sigle, 1969 - 1980, Rizzoli, Milano 1981.
Venti anni di violenza politica in Italia, 1969 - 1988, Ricerca Isodarco, Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Roma 1992.

Quotidiani utilizzati:

«Corriere della Sera», del 27 - 28/02/1969 e del 1 -2- 3 - 4/03/1969.
«l'Unità», del 27 - 28/02/1969 e del 1 -2- 3 - 4/03/1969.
«Paese Sera», del 27 - 28/02/1969 e del 1 -2- 3 - 4/03/1969.
«Il Messaggero», del 27 - 28/02/1969 e del 1 -2- 3 - 4/03/1969.

Fonte:

domenica 26 febbraio 2012

LE CARICHE ALLA STAZIONE DI TORINO... UN FILM GIA' VISTO. REGIA DI SPARTACO MORTOLA

26 febbraio 2012


Prima Caselli, poi Manganelli, poi Spartaco Mortola. Cariche a freddo e versioni di comodo. Una trappola a fine giornata per poter di nuovo associare la lotta dei No Tav alla violenza e al pericolo. Un film già visto...
Come abbiamo già scritto ieri quella alla stazione di Torino Porta Nuova contro i No Tav che tornavano verso Milano, Roma e Genova dopo la grande manifestazione in Valsusa è stata una provocazione bella e buona. Una provocazione studiata, concertata, preparata a dovere. Non si tratta di complottiamo. Basta leggere i ‘segnali’ lanciati a reti e quotidiani unificati nei giorni scorsi. Prima il procuratore di Torini Caselli – mandante della retata contro i No Tav in tutta Italia del 26 gennaio - che afferma di sentirsi minacciato, dà degli antidemocratici e addirittura dei camorristi a chi lo contesta. Poi la sfilza di dichiarazioni e prese di posizione a difesa del Procuratore, che ne adottano la stessa chiave di lettura: essendo un magistrato Caselli non può essere contestato, chi lo fa è un intollerante, un fascista, un antidemocratico. Anzi è un violento, un criminale. Brillano nella solerzia di tali dichiarazioni i dirigenti locali e nazionali del PD e le organizzazioni collaterali a questo partito: Legambiente, Anpi ecc.
Ma ancora non basta. Occorre mandare un segnale ancora più forte, più esplicito a quel popolo No Tav e a tutti quei movimenti sociali e popolari che in Italia resistono e si oppongono al regime bancariol-bocconiano di Monti e agli interessi trasversali dei poteri forti. E così il capo della Polizia Manganelli rispolvera il sempre utile spauracchio degli ‘anarchici’. Afferma, senza che giornalisti e politici gli chiedano di mostrare pezze d’appoggio di nessun tipo al suo allarme – che “gli anarchici hanno fatto il salto e sono pronti ad uccidere”. Dove? Ma naturalmente in Valsusa!
Ma non basta ancora. Perché ieri da Bussoleno a Susa hanno sfilato decine e decine di migliaia di persone provenienti da tutta Italia, e non solo dall’odiata e appetitosa valle piemontese. Uno dei cortei più affollati che in Italia si ricordi contro l’alta velocità e l’alta voracità delle coop bianche e ‘rosse’. L’intelligenza degli organizzatori e dei partecipanti smonta i progetti di chi voleva trasformare la giornata in una battaglia campale. Il corteo sfila determinato ma tranquillo, e tutto fila liscio. I telegiornali e i lettissimi siti web dei grandi quotidiani nazionali e locali non possono far altro che titolare sul carattere pacifico della manifestazione in Valsusa, e di raccontarne i contenuti in mancanza di botte, cariche, petardi. E quindi qualcuno, dentro gli apparati di sicurezza di questo paese, pensa di far scattarte un ‘piano B’ che evidentemente era stato già pensato e approntato.
Stanchi ma entusiasti per la riuscita della manifestazione, centinaia di manifestanti prendono i treni della Valsusa per raggiungere Torino, e da lì ripartire verso Milano, Roma, Genova, Firenze. Ma quando arrivano a Porta Nuova trovano la stazione letteralmente occupata da uno schieramento incredibile di poliziotti e carabinieri in versione ‘robocop’. Qualcuno comincia a chiedersi il perché di tanta militarizzazione a giornata di fatto conclusa. Tra i manifestanti ci sono sì gli ‘antagonisti’, gli ‘anarchici’, ‘gli squatter’ (ma i giornalisti che usano queste etichette ne conosceranno almeno il significato?). Ma ci sono anche famiglie, manifestanti non più giovincelli e non necessariamente vicini – politicamente e anagraficamente – ai centri sociali o ai collettivi universitari. E’ una delle caratteristiche fondamentali del popolo No Tav, che dopo 20 anni di lotta non ha gettato la spugna e anzi cresce e si rafforza.
Ma il clima a Porta Nuova si fa subito pesante: quando stretti sulle banchine dei binari i manifestanti si incolonnano per salire sui treni per Milano o per Genova a sbarrargli la strada trovano i celerini in assetto antisommossa. Diretti, raccontano i testimoni, dai funzionari della Polizia Ferroviaria. E chi è a dirigerela PoliziaFerroviariadi Torino? Un certo Spartaco Mortola. Vi ricordate chi è Spartaco Mortola?
Lo stesso che capitanò le Forze dell'Ordine nel febbraio2010 inValsusa, con i manifestanti presi a bastonate e rincorsi fin nei boschi. Ma soprattutto Mortola è l’ex capo della Digos di Genova ai tempi della macelleria messicana contro i manifestanti inermi nel 2001. Assolto a novembre in Cassazione per i fatti di Genova «perché il fatto non sussiste» (le prove false, le molotov, erano nel frattempo sparite) e assolto anche dall’accusa di aver istigato alla falsa testimonianza l´ex questore di Genova Francesco Colucci durante il processo per l´irruzione della polizia nella scuola Diaz al G8 del luglio 2001.
Un regista niente male per un film già visto. I manifestanti si avviano a salire sul loro treno ma scoprono che il biglietto cumulativo che avevano concordato con le ferrovie valeva solo per l’andata, ma non per il ritorno. Raccontano i testimoni sul sito NoTav.info: “Mentre era appena iniziata la trattativa per stabilire il costo del biglietto collettivo,la Polizia ha caricato violentemente i No Tav fermi al binario20 inattesa del loro treno. Non contenti, a trattativa finita e a prezzo concordato, hanno effettuato un’altra carica a freddo, prendendo alle spalle i NoTav che erano stati appena fatti passare a seguito della trattativa. Sono stati lanciati lacrimogeni addirittura dentro i vagoni dei treni: una vera e propria azione punitiva!”
Ancora: “Hanno cercato lo scontro in ogni modo, ad esempio spostando il treno sul binario 20, che è l'ultimo e di fianco ha l'edificio della Stazione, in modo che nessuno potesse scappare lateralmente e poterci schiacciare anche verso il muro. Sappi che ad un agente è scoppiato un lacrimogeno in mano ed è stato portato via, sicuramente intossicato. Sappi inoltre che il CS intanto si infilava pericolosamente nelle carrozze e che i poliziotti sono entrati a manganellare anche dentro alcuni corridoi. Hanno anche pestato due ragazze (all'apparenza minorenni) sedute accanto a noi. Lungo il muro dell'edificio, dove si trovano gli uffici del personale Trenitalia si trovavano anche transenne ammucchiate che hanno reso pericolosissima la fuga dei manifestanti rincorsi dai poliziotti”.
Quando tutto finisce le forze dell’ordine si affrettano a pulire la stazione e a far sparire le bende e i fazzoletti intrisi del sangue dei manifestanti sparsi sul pavimento. Intanto le agenzie di stampa cominciano a battere la notizia, naturalmente ripresa dai quotidiani, che tutto è cominciato quando contro i poliziotti che ‘affiancavano’ il personale di stazione nel controllo dei biglietti degli ‘anarchici’ sono stati lanciati sassi e petardi. In effetti qualche sasso è stato lanciato contro i celerini bardati con caschi, scudi e tute spesse cinque centimetri… Il brecciolino raccolto sui binari della stazione da qualche manifestante pestato durante la prima carica. Nei lanci di agenzia i lacrimogeni non ci sono, anzi viene riportata la smentita della Questura: “mai usati lacrimogeni a Porta Nuova”.

E comunque il risultato scientificamente ricercato è stato raggiunto: i titoli parlano di scontri, di ‘anarcoinsurrezionalisti’ e ‘autonomi’. Come da copione il popolo No Tav è di nuovo associato alla violenza, al pericolo.



LA POLIZIA PROVOCA, CARICHE A FREDDO AI NO TAV IN STAZIONE

Centinaia di No Tav milanesi e non solo scesi dalla valle e in arrivo a Porta Nuova per prendere i treni che gli avrebbero poi riportati a casa, hanno trovato ad attenderli in stazione celere in assetto antisommossa già schierata che, mentre era appena iniziata la trattativa per stabilire il costo del biglietto collettivo, ha caricato violentemente i No Tav fermi al binario 20 in attesa del loro treno.
Non contenti, a trattativa finita e a prezzo concordato, hanno effettuato un’altra carica a freddo, prendendo alle spalle i NoTav che erano stati appena fatti passare a seguito della trattativa. Sono stati lanciati lacrimogeni addirittura dentro i vagoni dei treni: una vera e propria azione punitiva!
Sono diverse le fonti che ci riportano questa versione dei fatti e tantissime le persone presenti che, incredule, hanno osservato questa scena vergognosa.
In attesa che ci giungano foto e video dei fatti, possiamo riportare che al momento risultano due No Tav feriti alla testa e una donna con la mano rotta.
Il treno poi è partito, con i No Tav e i feriti a bordo.
A fronte dalla partecipatissima manifestazione di oggi in Val di Susa  con più di 75.000 persone scese in piazza per dire no al Tav e alla logica delle grandi opere in un periodo  di crisi profonda per il nostro paese, era evidentemente che questo risultato avrebbe rovinato i sonni a molti e, soprattutto, reso nervoso chi vorrebbe vedere il movimento intimidito ed impaurito.
Esprimiamo quindi la nostra solidarietà a tutti i No Tav aggrediti e feriti e invitiamo chi avesse testimonianze, video e foto ad inviarcele.


Fonte: