Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


giovedì 11 aprile 2013

BAHRAIN: TORNA IL GP DI F1, CRESCE LA REPRESSIONE

giovedì 11 aprile 2013 05:05
La polizia di re Hamad bin Isa al Khalifa ha lanciato una campagna di arresti di oppositori in citta' e villaggi in anticipo sul GP di Formula Uno.



di Michele Giorgio
  Roma, 11 aprile 2013, Nena News - Yousef Al Muhafedha, del Centro del Bahrain per i Diritti Umani, parla in fretta, desidera riferire tutto ciò che ha registrato nelle ultime ore. «E' in corso un'ondata di arresti in tutto il Bahrain - esordisce rispondendo alle nostre domande - almeno 50 persone sono finite in manette in vari villaggi, le ultime 20 a Sitra. La polizia ha fatto irruzione in decine di case, durante la notte, per intimidire e lanciare avvertimenti prima del Gran Premio di Formula Uno. La retata prosegue mentre noi parliano al telefono».

Per il secondo anno consecutivo la monarchia assoluta di Re Hamad bin Issa al Khalifa fa di tutto per impedire che l'opposizione possa "turbare" lo svolgimento del Gran Premio di Sakhir, la vetrina del Bahrain. E per il secondo anno consecutivo il circo della Formula Uno, dalla Ferrari alla Red Bull, finge di non sapere che in Bahrain sono negati diritti fondamentali, che la repressione ha fatto molte decine di morti e che nelle carceri ci sono attivisti che hanno soltanto chiesto riforme e uguaglianza tra tutti i cittadini. E se nel 2012, anche se solo per qualche giorno, ci fu qualche esitazione prima del Gran Premio, quest'anno tutto tace.

«Lo sport è un'altra cosa» e non deve essere coinvolto in questioni politiche, commentò qualche pilota lo scorso anno. Sono rimaste scolpite nella memoria di molti le parole di Nico Hulkenberg, driver nel 2012 della "Force India". «Non è giusto, siamo qui solo per correre e certe cose non dovrebbero accadere», disse Hulkenberg dopo che quattro membri della sua scuderia erano rimasti coinvolti in scontri tra dimostranti e polizia. Il pilota avrebbe dovuto indirizzare le sue critiche nei confronti del patron della Formula Uno Bernie Ecclestone che non rinuncerebbe mai al Gp in Bahrain. Gli affari vengono prima di tutto, i diritti dei popoli oppressi molto dopo. E tacciono anche gli Stati Uniti che nel Bahrain hanno la base della loro V Flotta.

Eppure la situazione in questo piccolo arcipelago del Golfo resta drammatica a poco più di due anni dalle proteste di Piazza della Perla represse nel sangue dalla polizia del re, con l'aiuto di truppe saudite e di agenti speciali degli Emirati. A poco o a nulla è servito il «dialogo nazionale» avviato nei mesi scorsi dalla monarchia con la parte più moderata dell'opposizione. Anzi, sottolineano gli attivisti della rivolta più giovani, il dialogo si sta trasformando in una copertura per il regime di fronte all'opinione pubblica internazionale.

Le denunce fatte da Yousef Al Muhafedha hanno trovato una immediata conferma nel comunicato diffuso ieri da Human Rights Watch. «Questa nuova ondata di arresti e il modo in cui viene condotta sollevano nuovi interrogativi sulla reale intenzione delle autorità del Bahrain di procedere sulla strada delle riforme», ha scritto Sarah Leah Whitson, responsabile per il Medio Oriente di HRW. Dal primo aprile, aggiunge l'attivista dei diritti umani, la polizia ha effettuato 30 raid a Dar Khulaib, Shahrakan, Madinat, Hamad e Karzakkan, villaggi e cittadine situate a breve distanza dal circuito di Sakhir. E non possono passare inosservate anche le pesanti condanne al carcere inflitte nei confronti di minorenni, processati assieme agli adulti, come denuncia un altro importante centro per i diritti umani, Amnesty International. Il 4 aprile Ibrahim al-Moqdad, 15 anni, e Jehad Salman, 16 anni, sono stati condannati a 10 anni di carcere dall'Alta Corte di Manama con l'accusa di tentato omicidio e di aver dato fuoco ad un'automobile.

Restano nel frattempo in prigione tre noti attivisti dei diritti umani del Bahrain: Nabil Rajab, Abdulhadi al Khawaja e sua figlia Zainab al Khawaja. Quest'ultima, una blogger molto nota (@angryarabiya), ha osservato un lungo lungo sciopero della fame in cella, che ha interrotto tre giorni fa. Dal carcere Zainab di recente ha scritto una lettera sulla figura e l'impegno di Martin Luther King, suo ispiratore, rivolta in particolare agli Stati Uniti alleati di re Hamad. «Nella cella sovraffollata e sporca dove vivo, sento le parole di questo grande leader americano, la cui inflessibile dedizione alla moralità e la giustizia ne fecero il grande leader che era. Ammiro la sua saggezza e mi chiedo se anche il popolo degli Stati Uniti sia all'ascolto».



Fonte:

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=70870&typeb=0&Bahrain-torna-il-GP-di-F1-cresce-la-repressione- 



11 aprile 1979: tre compagni autonomi muoiono a Thiene


Giovedì 11 Aprile 2013 07:17 
Verso le 17 dell’11 aprile 1979, a Thiene, in provincia di Vicenza, esplode un ordigno in un appartamento in via Vittorio Veneto 48.
11 aprile
Muoiono dilaniati dall’esplosione tre militanti dei Collettivi Politici Veneti, Maria Antonietta Berna (22 anni), Angelo Del Santo (24 anni) e Alberto Graziani (25 anni). L’esplosione è provocata dallo scoppio accidentale della pentola a pressione piena di polvere di mina, con cui stanno preparando un ordigno. In quei giorni ci furono decine di azioni e incendi in risposta all'arresto di centinaia di compagni del movimento comunista veneto e non solo avvenuto il 7 aprile dello stesso anno.
L’intestatario dell’appartamento, Lorenzo Bortoli, anch’egli militante dei CPV, viene arrestato insieme ad altri tredici militanti nell’inchiesta apertasi in seguito all'esplosione.
Lorenzo Bortoli morirà suicida in carcere il 19 giugno 1979. 
Il 12 aprile 1979 i tre giovani vengono ricordati in un volantino intitolato “Ci sono morti che pesano come piume e vite che pesano come montagne”. I tre militanti , dice il comunicato, “sono morti esprimendo la rabbia, l’odio, l’antagonismo di classe contro questo Stato, contro questa società fondata ed organizzata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. 
Il  13 aprile è il giorno dei funerali di Maria Antonietta Berna, sepolta a Thiene, e di Angelo Del Santo che sarà seppellito in una frazione vicina, a Chiuppano; qui la polizia ha militarizzato l’intera area, impendendo l’accesso al cimitero. Parecchie centinaia di giovani riescono comunque ad avvicinarsi alla chiesa utilizzando piccole strade che passano attraverso i campi, per dare l’ultimo saluto al militante morto. 
Il 14 aprile 1979 vengono celebrati a Sarcedo i funerali di Alberto Graziani. Parecchie centinaia di persone, dopo aver superato i posti di blocco posti dalle forze dell’ordine intorno alla città, lo salutano in silenzio a pugno chiuso.


Strage della Moby Prince. La nave americana c'era

Mercoledì 10 Aprile 2013 12:39



Ustica, Cermis, Livorno. Si chiama "Theresa", la nave militare statunitense che si allontana rapidamente dal luogo della collisione che provocò la morte di 140 persone. Le indagini ufficiali hanno fatto di tutto per non rivelarlo.

Ventidue anni fa, era il 10 aprile del 1991, nel porto di Livorno avveniva una devastante collisione tra la nave traghetto Moby Prince e la petroliera dell'Agip "Abruzzo".  Morirono 140 persone. Le indagini ufficiali seppellirono l'inchiesta. Molte fonti riferivano di navi militari statunitensi nel porto (vicino c'è la grande base militare Usa di Camp Darby).
Oggi l'Ansa riferisce quanto pubblichiamo qui di seguito:

"Il mistero della nave fantasma che abbandona la rada del porto di Livorno dopo la collisione tra la Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, costata la vita a 140 persone a bordo del traghetto, sembra essere definitivamente svelato. Secondo una perizia condotta da esperti consultati dai figli del comandante del Moby Prince, la misteriosa Theresa che lascia traccia audio nelle registrazioni di quella notte è una delle navi militarizzate Usa che erano nella rada livornese. "Dalle nostre comparazioni - spiega Gabriele Bardazza, l'esperto nominato da Angelo Chessa, figlio del comandante della Moby Prince - si evince che Theresa è il Gallant 2, una delle navi militarizzate che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi presso la base di Camp Darby.
Resta da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio identificativo ma un nome in codice, come resta da spiegare il fatto che i periti del tribunale non si siano mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi fosse Theresa, nonostante nel processo di questa nave fantasma si sia parlato a lungo".
Il lavoro di Bardazza e dei suoi collaboratori, di cui proprio oggi riferisce il Corriere della Sera, mette a frutto, grazie alle nuove tecnologie a disposizione, ciò che negli atti processuali era già indicato da anni. Come una enorme lente di ingrandimento utilizzata per scovare dettagli finora inesplorati e che potrebbero gettare nuova luce sul più grande disastro della marineria italiana, a cominciare, conclude Bardazza, "dal punto in cui si trovava alla fonda la petroliera e che le stesse carte processuali collocano nel triangolo vietato all'ancoraggio e alla pesca, dimostrando che il traghetto le è finito addosso non durante la navigazione in uscita dal porto ma durante una rotta di rientro".

Ultima modifica Mercoledì 10 Aprile 2013 12:50