Claudio,
studente ventenne ucciso nel 1978 dai fascisti
9 ottobre
2011 - Antonella Cilento
Fonte: Il
Mattino
Ha
quest'aria serena da santo indù, o da eroe risorgimentale con barba e capelli
leonini Claudio Miccoli nella foto che lo ritrae, appena ventenne. Ha già
un'aria adulta, ben più adulta di chi oggi ha vent'anni, proprio com'era degli
uomini in altri tempi. Serio, forse malinconico di fronte alla macchina
fotografica, ma fiducioso. Ecco un pezzo di storia recente, la storia di un
eroe che non voleva diventarlo.
Per quanto abusata e fuori moda sia la parola «eroe», specie in questi anni cosmetici e pubblicitari, pure ne esistono e sono assai spesso persone comuni, che compiono gesti che dovrebbero essere normali ma che l'ignavia della collettività rende straordinari. Ambientalista e pacifista in tempi in cui non era ancora una tendenza occuparsi di ambiente, nucleare e pacifismo, Claudio Miccoli è testimone per impedirci di dimenticare. In questi giorni ricorre l'anniversario della sua morte: ucciso a colpi di spranga la notte del 30 settembre 1978 e morto dopo sei giorni d'agonia in ospedale, questo ragazzo, che saliva sulle montagne di Civitella Alfedena ad osservare gli uccelli per conto del WWF, ci parla di un mondo che sembra già lontanissimo e che pure è presente nel nostro quotidiano, che lo ha, bene o male, determinato. Ci parla degli anni in cui si era fascisti o comunisti - e Claudio, anche se era su posizioni chiaramente di sinistra, non apparteneva ad alcun partito o schieramento, il pacifismo non essendo una scelta politica di alcun partito nell'Italia di allora e di oggi - e in cui gli scontri si radicalizzavano in continue violenze, una vera e propria guerra civile, eredità, è stato scritto, della mancata pacificazione dopo Salò, nonostante la fine della Seconda Guerra. Prima di essere vorticosamente assorbiti nella pappa senza senso degli ultimi vent'anni, che ha divorato idee e convinzioni per restituirne in buoni sconto da supermercato, offerte Sky, tangenti e prostituzione istituzionalizzata, la Napoli in cui cresceva Claudio Miccoli, studente del liceo scientifico «Vincenzo Cuoco», che gli ha anche intestato la Biblioteca, era al centro di mille tensioni, non diversamente da oggi.
E non diversamente da oggi, mi fa notare Francesco Ruotolo, che negli anni ha curato con attenzione e passione la memoria di Claudio, insieme al fratello minore di Miccoli, Livio, settembre era un mese caldo, quasi estivo, e la sera del sabato a Piazza Sannazaro tanti erano, come Claudio, occupati a mangiare la pizza dal ristorante soprannominato «Il Marchese». Era con amici più giovani e chiacchierava, tranquillo. Ad uno dei suoi amici spuntava dalla camicia, come a tanti in quegli anni, una copia di Lotta Continua e questo era bastato perché un gruppetto di fascisti armati aggredisse, senza alcuna ragione o provocazione, i ragazzi. Solo perché portavano una barba folta o i capelli lunghi, come li aveva Claudio, segnale certo di idee libertarie da ormai due secoli e in ogni paese dell'Occidente. Erano tutti fuggiti, anzi, Claudio si era adoperato per mettere al riparo gli amici più giovani di lui.
E poi, correndo lungo Salita Piedigrotta per andare a prendere la metropolitana e togliersi dal tafferuglio, aveva incontrato di nuovo i fascisti armati e aveva chiesto loro: ma perché professate le vostre idee con le armi? Nessuna risposta, ovviamente, salvo un primo colpo in testa. Claudio era riuscito a salire ancora verso la chiesa di Piedigrotta benché ferito, ma altri diciassette colpi l'avevano steso definitivamente. Questa storia che molti in città conoscono, per esserne stati testimoni diretti o coinvolti emotivamente dai fatti, produceva subito un'onda di dolore e una ferma volontà di ottenere rispetto. Corone, fiori, striscioni, comparvero al mattino davanti alla chiesa, dove era caduto Claudio.
La lapide, che venne posata poco tempo dopo a cura dei suoi compagni di scuola, al centro di Piazza Sannazaro, nell'aiuola spartitraffico, recitava: «A Claudio Miccoli, venti anni, uno di noi, ucciso dalla barbarie fascista. I compagni non dimenticheranno». Per anni parenti e amici si sono riuniti a ricordare intorno a questa pietra. E per anni questa lapide è stata oggetto di continue profanazioni e distruzioni.
Persino dopo il completo restauro con una nuova iscrizione («A Claudio Miccoli, vittima a vent'anni dell'intollerenza e della violenza, per non dimenticare!»), avvenuto nel 1998 con tanto di inaugurazione, una croce celtica il giorno dopo campeggiava sul ricordo di Claudio, subito ripulito.
Il processo portò alla condanna di alcuni dei responsabili, ma con pene lievissime a paragone dell'omicidio gratuitamente perpetrato. La famiglia di Miccoli ha scelto, nello spirito pacifista del figlio, di non accanirsi in ricorsi, che avrebbero comminato sicuramente pene maggiori ma non riportato in vita Claudio. Ha scelto con grande dignità e superiorità morale di portare invece nelle scuole il messaggio, da sempre scandaloso, di chi non offende e non colpisce e ama la vita, non la sopraffazione. Claudio abitava nella zona di Poggioreale, in via Lahalle, e oggi una strada gli è intestata (via Claudio Miccoli, pacifista 1958-1978), fra le torri di fronte al Cimitero del Pianto, volute a misura delle famiglie da Democrazia Proletaria: una rara lotta vinta, pacifica anche questa; che sarebbe di certo piaciuta al ragazzo che, il 4 giugno 1978 nel suo diario, pochi mesi prima di morire in modo tanto inaspettato, scriveva poesie e, con triste profezia, in una diceva: «Non ho lottato perché volevo lottare, ma perché mi ci avete costretto. Non ho colpito perché volevo colpire, ma perché sono stato colpito. Io che non volevo colpire, sono stato colpito! Non volevo lottare, e ho dovuto farlo. Non ho vinto perché volevo vincere, ma perché mi avete sconfitto».
A ricordare l'uomo e i suoi valori, anche Civitella Alfedena gli ha intestato una strada e, ancora a Napoli, nell'Istituto Leonardo da Vinci, l'aula magna gli ha dedicato uno spazio. Il Comitato Claudio Miccoli ha costruito, nel tempo, un sito Internet, pubblicato tre libri, intestato a Claudio un premio di poesia perché la memoria dei più giovani - gli adulti, in fondo, sono già persi - sia alimentata e si rafforzino convinzioni e valori umani imprescindibili. Infine, Francesco Ruotolo mi mostra alcune foto a colori - il tempo trascorso denunzia persino il supporto: le nostre polaroid sono scomparse dalla circolazione, sostituite dal digitale, rivoluzione veloce. Le foto ritraggono l'ascesa al rifugio di montagna dove Claudio s'inerpicava per osservazioni per conto del WWF. Livio Miccoli e Francesco Ruotolo, a dorso di mulo ci hanno portato una lapide. Anche su questa targa, posta in cima ad una sella di monte distante da ogni furia umana, si legge un'altra poesia di Claudio.
Gli ultimi versi sono autentico monito ai distratti e agli arroganti, quasi un'eco dei meravigliosi versi di Kavafis che incitano a non fare della nostra vita una stucchevole estranea, che chissà se Claudio conosceva ma certo interpretava con la sua disposizione matura alla meditazione e al senso della vita: «Quando salii più su, tra grida di cornacchie dicenti: noi esistiamo, che di tanto in tanto si sentivano salendo su in cima, vidi i gracchi. Essi parlavano con le loro ali: vedete, noi non siamo aria ma è come se lo fossimo, solo, noi, muovendoci, abbiamo uno scopo. Viviamo, amiamo su queste cime, il vento è nostro fratello e la pioggia non ci è nemica perché noi realizziamo unità con ciò che ci è intorno e viviamo. Non perdetevi in sciocchezze, fate così anche voi».
Per quanto abusata e fuori moda sia la parola «eroe», specie in questi anni cosmetici e pubblicitari, pure ne esistono e sono assai spesso persone comuni, che compiono gesti che dovrebbero essere normali ma che l'ignavia della collettività rende straordinari. Ambientalista e pacifista in tempi in cui non era ancora una tendenza occuparsi di ambiente, nucleare e pacifismo, Claudio Miccoli è testimone per impedirci di dimenticare. In questi giorni ricorre l'anniversario della sua morte: ucciso a colpi di spranga la notte del 30 settembre 1978 e morto dopo sei giorni d'agonia in ospedale, questo ragazzo, che saliva sulle montagne di Civitella Alfedena ad osservare gli uccelli per conto del WWF, ci parla di un mondo che sembra già lontanissimo e che pure è presente nel nostro quotidiano, che lo ha, bene o male, determinato. Ci parla degli anni in cui si era fascisti o comunisti - e Claudio, anche se era su posizioni chiaramente di sinistra, non apparteneva ad alcun partito o schieramento, il pacifismo non essendo una scelta politica di alcun partito nell'Italia di allora e di oggi - e in cui gli scontri si radicalizzavano in continue violenze, una vera e propria guerra civile, eredità, è stato scritto, della mancata pacificazione dopo Salò, nonostante la fine della Seconda Guerra. Prima di essere vorticosamente assorbiti nella pappa senza senso degli ultimi vent'anni, che ha divorato idee e convinzioni per restituirne in buoni sconto da supermercato, offerte Sky, tangenti e prostituzione istituzionalizzata, la Napoli in cui cresceva Claudio Miccoli, studente del liceo scientifico «Vincenzo Cuoco», che gli ha anche intestato la Biblioteca, era al centro di mille tensioni, non diversamente da oggi.
E non diversamente da oggi, mi fa notare Francesco Ruotolo, che negli anni ha curato con attenzione e passione la memoria di Claudio, insieme al fratello minore di Miccoli, Livio, settembre era un mese caldo, quasi estivo, e la sera del sabato a Piazza Sannazaro tanti erano, come Claudio, occupati a mangiare la pizza dal ristorante soprannominato «Il Marchese». Era con amici più giovani e chiacchierava, tranquillo. Ad uno dei suoi amici spuntava dalla camicia, come a tanti in quegli anni, una copia di Lotta Continua e questo era bastato perché un gruppetto di fascisti armati aggredisse, senza alcuna ragione o provocazione, i ragazzi. Solo perché portavano una barba folta o i capelli lunghi, come li aveva Claudio, segnale certo di idee libertarie da ormai due secoli e in ogni paese dell'Occidente. Erano tutti fuggiti, anzi, Claudio si era adoperato per mettere al riparo gli amici più giovani di lui.
E poi, correndo lungo Salita Piedigrotta per andare a prendere la metropolitana e togliersi dal tafferuglio, aveva incontrato di nuovo i fascisti armati e aveva chiesto loro: ma perché professate le vostre idee con le armi? Nessuna risposta, ovviamente, salvo un primo colpo in testa. Claudio era riuscito a salire ancora verso la chiesa di Piedigrotta benché ferito, ma altri diciassette colpi l'avevano steso definitivamente. Questa storia che molti in città conoscono, per esserne stati testimoni diretti o coinvolti emotivamente dai fatti, produceva subito un'onda di dolore e una ferma volontà di ottenere rispetto. Corone, fiori, striscioni, comparvero al mattino davanti alla chiesa, dove era caduto Claudio.
La lapide, che venne posata poco tempo dopo a cura dei suoi compagni di scuola, al centro di Piazza Sannazaro, nell'aiuola spartitraffico, recitava: «A Claudio Miccoli, venti anni, uno di noi, ucciso dalla barbarie fascista. I compagni non dimenticheranno». Per anni parenti e amici si sono riuniti a ricordare intorno a questa pietra. E per anni questa lapide è stata oggetto di continue profanazioni e distruzioni.
Persino dopo il completo restauro con una nuova iscrizione («A Claudio Miccoli, vittima a vent'anni dell'intollerenza e della violenza, per non dimenticare!»), avvenuto nel 1998 con tanto di inaugurazione, una croce celtica il giorno dopo campeggiava sul ricordo di Claudio, subito ripulito.
Il processo portò alla condanna di alcuni dei responsabili, ma con pene lievissime a paragone dell'omicidio gratuitamente perpetrato. La famiglia di Miccoli ha scelto, nello spirito pacifista del figlio, di non accanirsi in ricorsi, che avrebbero comminato sicuramente pene maggiori ma non riportato in vita Claudio. Ha scelto con grande dignità e superiorità morale di portare invece nelle scuole il messaggio, da sempre scandaloso, di chi non offende e non colpisce e ama la vita, non la sopraffazione. Claudio abitava nella zona di Poggioreale, in via Lahalle, e oggi una strada gli è intestata (via Claudio Miccoli, pacifista 1958-1978), fra le torri di fronte al Cimitero del Pianto, volute a misura delle famiglie da Democrazia Proletaria: una rara lotta vinta, pacifica anche questa; che sarebbe di certo piaciuta al ragazzo che, il 4 giugno 1978 nel suo diario, pochi mesi prima di morire in modo tanto inaspettato, scriveva poesie e, con triste profezia, in una diceva: «Non ho lottato perché volevo lottare, ma perché mi ci avete costretto. Non ho colpito perché volevo colpire, ma perché sono stato colpito. Io che non volevo colpire, sono stato colpito! Non volevo lottare, e ho dovuto farlo. Non ho vinto perché volevo vincere, ma perché mi avete sconfitto».
A ricordare l'uomo e i suoi valori, anche Civitella Alfedena gli ha intestato una strada e, ancora a Napoli, nell'Istituto Leonardo da Vinci, l'aula magna gli ha dedicato uno spazio. Il Comitato Claudio Miccoli ha costruito, nel tempo, un sito Internet, pubblicato tre libri, intestato a Claudio un premio di poesia perché la memoria dei più giovani - gli adulti, in fondo, sono già persi - sia alimentata e si rafforzino convinzioni e valori umani imprescindibili. Infine, Francesco Ruotolo mi mostra alcune foto a colori - il tempo trascorso denunzia persino il supporto: le nostre polaroid sono scomparse dalla circolazione, sostituite dal digitale, rivoluzione veloce. Le foto ritraggono l'ascesa al rifugio di montagna dove Claudio s'inerpicava per osservazioni per conto del WWF. Livio Miccoli e Francesco Ruotolo, a dorso di mulo ci hanno portato una lapide. Anche su questa targa, posta in cima ad una sella di monte distante da ogni furia umana, si legge un'altra poesia di Claudio.
Gli ultimi versi sono autentico monito ai distratti e agli arroganti, quasi un'eco dei meravigliosi versi di Kavafis che incitano a non fare della nostra vita una stucchevole estranea, che chissà se Claudio conosceva ma certo interpretava con la sua disposizione matura alla meditazione e al senso della vita: «Quando salii più su, tra grida di cornacchie dicenti: noi esistiamo, che di tanto in tanto si sentivano salendo su in cima, vidi i gracchi. Essi parlavano con le loro ali: vedete, noi non siamo aria ma è come se lo fossimo, solo, noi, muovendoci, abbiamo uno scopo. Viviamo, amiamo su queste cime, il vento è nostro fratello e la pioggia non ci è nemica perché noi realizziamo unità con ciò che ci è intorno e viviamo. Non perdetevi in sciocchezze, fate così anche voi».
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