Il piano di trasferimento dei beduini del Naqab è al momento sospeso.
Analisi dei possibili scenari futuri e la lezione della mobilitazione
palestinese.
venerdì 13 dicembre 2013 15:06
di Roberto Prinzi
Roma, 13 dicembre 2013, Nena News - Il Piano Prawer almeno per
ora non è passato. Ad annunciarlo è stato uno dei suoi architetti, l'ex
ministro israeliano Benny Begin, in una conferenza stampa convocata ieri
nel Quartiere Generale della Difesa a Tel Aviv. Begin ha detto che il premier Netanyahu ha accettato la sua proposta di bloccare il disegno di legge ma non ha precisato se il piano sarà del tutto accantonato o se è solo temporaneamente sospeso.
Begin, figlio del famoso leader di destra Menachem, non ha nascosto
l'insoddisfazione ed il fastidio per la dura opposizione al suo piano: "Destra
e sinistra, ebrei ed arabi insieme, hanno sfruttato la sofferenza dei
beduini riscaldando l'ambiente per un tornaconto politico". Begin si
è poi difeso da quanti lo avevano criticato perché, a loro dire, non
aveva ascoltato la popolazione beduina nell'elaborare il Piano. Durante
la scrittura del progetto di legge, infatti, "abbiamo ascoltato più di
1000 beduini e in seguito alle loro osservazioni abbiamo introdotto dei
cambiamenti".
"Io personalmente" - ha aggiunto - "ne ho incontrati 600, e non li
abbiamo sentiti, ma ascoltati attentamente". Il parlamentare del Likud
(destra) ha rivendicato con orgoglio di aver "fatto il massimo" affinché
il piano diventasse legge, ma pragmaticamente ha aggiunto: "a volte
bisognare guardare in faccia la realtà".
Le parole di Begin di ieri non sorprendono. Tre giorni fa, infatti, il
parlamentare aveva negato le dichiarazioni del governo dopo le
partecipate proteste della comunità palestinese d'Israele il 30 novembre
scorso. Allora il primo ministro Netanyahu disse che il piano sarebbe
stato eseguito perché era stato "accettato dalla comunità beduina".
Intervenendo alla Commissione della Knesset degli Interni e
dell'Ambiente, Begin era stato risoluto: "Io voglio che sia chiaro che,
contrariamente a quanto è stato riportato nelle scorse settimane, io non ho mai detto che i beduini sono favorevoli al mio piano. Non lo potrei mai dire perché non gliel'ho mai presentato.
Gli emendamenti apportati alla legge non sono stati presentati agli
abitanti. Pertanto non è possibile sapere se le modifiche abbiano
incontrato il loro favore. Non sono capace di stabilire quanto [i
beduini, ndr] sostengano la legge".
Parole che non lasciano spazio ad elaborate congetture e che mettono per
l'ennesima volta in imbarazzo il governo israeliano che per settimane
aveva ripetuto che il Piano Prawer/Begin aveva già incassato il sostegno
della popolazione beduina. Alle dichiarazioni di Begin avevano fatto
seguito quelle di Yariv Levin (anche lui del Likud) secondo cui il piano
attuale non avrebbe avuto la maggioranza all'interno del governo. Non
avendo così i numeri necessari per l'approvazione della legge alla
seconda e terza lettura, il governo avrebbe preferito ieri sospendere il
piano evitando una clamorosa debacle parlamentare.
Il Piano Prawer
Il Piano Begin-Prawer, introdotto per la prima volta nel 2011, è un
progetto del governo israeliano di estrema destra che prevede la
distruzione di 35 villaggi beduini non riconosciuti da Tel Aviv (e di
conseguenza privati delle infrastrutture basilari e sotto costante
minaccia di demolizione), l'espulsione e il trasferimento forzato di
70.000 beduini palestinesi in nuove township e la confisca di oltre
800.000 dunam di terra [un dunam corrisponde all'incirca a mille metri
quadrati].
Il piano ha suscitato sin dall'inizio le dure critiche della popolazione
locale, delle associazioni della società civile e dell'intera comunità
palestinese. Sono state organizzate tre partecipate giornate di protesta
(l'ultima delle quali il 30 novembre) duramente represse dalla polizia.
Molti attivisti israeliani e palestinesi hanno sottolineato come sia
stata proprio la violenza del 30 novembre ad avere attirato
l'attenzione ("tardiva") dei media israeliani.
Ma se opposizione c'è stata da parte della sinistra dentro e fuori la
Knesset, non bisogna sottovalutare la contrarietà al piano espressa
anche da settori dell'estrema destra di governo. Secondo i falchi,
infatti, "l'offerta [ai beduini, ndr] è troppo generosa".
Soprattutto se viene "ceduta" ad una popolazione che è considerata dagli
estremisti di destra "voce di minoranza" (nel migliore dei casi) e
"popolazione occupante che cospira con i palestinesi della Cisgiordania
per prendere possesso della terra degli ebrei" (nel peggiore).
Le reazioni politiche
Alla notizia della sospensione del Piano Prawer, la sinistra
parlamentare e non, le ONG e l'intera comunità palestinese hanno
esultato. Adalah, il centro legale per i diritti della minoranza araba
in Israele, ha definito il ritiro del progetto come "il maggior
risultato nella storia della comunità palestinese d'Israele". Tuttavia,
nonostante la gioia, Adalah mantiene la concentrazione alta: "La cancellazione della proposta di legge è solo un inizio. La lotta al Piano Prawer continua.
I piani del governo per il Naghev porteranno alla demolizione,
evacuazione e confisca delle case e delle terre dei beduini, tra cui il
villaggio di Atir Umm al-Hieran, che saranno distrutti per essere
sostituiti da una colonia ebraica e da una foresta".
Non trattengono la soddisfazione la sinistra parlamentare e i politici arabi.
Dov Khanin (Hadash) si è augurato che "questo successo possa
rappresentare la fine di un lungo capitolo nello scontro tra lo Stato ed
i cittadini beduini e segni l'inizio di un dialogo tra le due parti".
Anche Meretz (sinistra sionista) con Rozin ha esultato: "Tiro un sospiro
di sollievo insieme agli abitanti del Neghev, i beduini e gli ebrei,
per il congelamento del Piano Prawer. E' tempo d'investire i soldi che
lo stato voleva sprecare per il trasferimento dei beduini per collegare i
villaggi all'acqua, all'elettricità e alle altre infrastrutture". Un
raggiante Tibi (Lista Araba Unita) ha lodato il coraggio delle migliaia
di palestinesi scese in strada per "difendere la loro terra".
Tra i falchi del governo se la battaglia è persa non lo è la guerra. Miri Regev (Likud) è come suo solito chiarissima: "E' importante arrivare a regolamentare la situazione nel Neghev. Ho detto che bisogna porre fine alla conquista della terra dello Stato da parte dei beduini".
"La legge che è arrivata alla Knesset" - ha aggiunto - "subirà delle
modifiche in base al documento di intesa che è stato rivelato in
commissione due settimane fa". Sarebbe interessante sapere se quella
intesa con i beduini di cui parla è la stessa che Begin, suo collega di
partito, ha negato categoricamente ieri.
I possibili scenari
Per ora, dunque, il progetto di "reinsediamento/trasferimento" (a seconda di chi parla) dei beduini è fermo. Tre sono gli scenari ipotizzabili al momento.
Un primo più favorevole ai beduini: Netanyahu rinuncia all'idea di
"pulizia etnica" del Neghev e si accontenta di proseguire l'attuale
politica (magari incaricando un'altra commissione che però potrebbe
impiegare molto tempo, se non anni, per arrivare a qualche decisione).
Questa opzione sarebbe leggermente migliore dell'applicazione del
Progetto Prawer per i beduini ma continuerebbe a condannarli ad una vita
di stenti, precarietà, paura, ad appelli ai tribunali intervallati
dalla distruzione delle loro case - come i casi al-Araqib e Umm al-Hiran
dimostrano.
Questo primo scenario è il più facile da realizzare e creerebbe al
governo pochi problemi con la Corte Suprema Israeliana. Tuttavia, le
dichiarazioni di Regev e di Levin, l'estremismo di Casa Ebraica e del
Ministro degli Esteri Lieberman di Yisrael Beitenu sembrano lasciare
poco spazio a questa prima opzione. Una seconda ipotesi potrebbe
vedere i falchi del governo prendere il sopravvento sulle voci
"moderate" della coalizione di Netanyahu. In un contesto del genere
maggiori sarebbero le pressioni sul premier per un nuovo e più radicale
piano di sradicamento con poca o nessuna compensazione per i beduini.
Gli ostacoli alla realizzazione di questo piano potrebbero essere
rappresentati dagli elementi più "moderati" (si legga pragmatici) del
governo e dalle reazioni della Corte Suprema. Bisogna però ricordarsi
che, come è accaduto con gli "infiltrati" pochi giorni fa, il governo
Netanyahu ha saputo facilmente aggirare la sentenza della Corte Suprema
con alcuni emendamenti che hanno cambiato di poco i principi della prima
bozza contro gli immigrati.
L'eventuale coinvolgimento dei media mainstream non dovrebbe
rappresentare un problema per i sostenitori di questo secondo scenario a
meno che la repressione operata da Tel Aviv non dovesse rivelarsi
estremamente brutale. Escludendo poche voci di dissenso, la stampa e la
televisione locale, infatti, non si lamentano più di tanto quando non
sono coinvolti ebrei (il fatto che siano rimasti in silenzio, o, nel
migliore delle ipotesi, abbiano coperto gli eventi relativi al Piano
Prawer con riluttanza ne è una dimostrazione).
Il terzo scenario, il più difficile da realizzare visto l'attuale governo di estrema destra, è
che Netanyahu apra un immediato dialogo con i beduini, riveda i piani
fatti dai leader locali e dalle ONG e inizi a riconoscere i villaggi del
Neghev ed i diritti basilari dei loro abitanti. Difficile che si
realizzi in pratica soprattutto se si tiene conto che il conciliatorio e
"moderato" Begin di questi giorni è l'ideatore del piano ed esponente
dello stesso partito di estrema destra dove militano falchi come Regev.
Il lascito della lotta anti-Prawer
Qualunque sia lo scenario che si verrà a creare la sospensione del Piano
Prawer è un grande successo raggiunto innanzitutto da chi lotta dal
basso. Pertanto è comprensibile che la comunità palestinese la rivendichi come una sua "vittoria":
i palestinesi della Palestina storica hanno ostacolato la proposta di
legge marciando e lottando uniti subendo la brutale repressione della
polizia israeliana (15 manifestanti sono ancora in prigione) e, in
alcuni casi, della stessa Autorità Palestinese.
Le tre giornate anti-Prawer hanno inoltre ribadito quanto sia profondo il divario tra palestinesi e i loro governanti.
I primi lottano per mantenere la propria presenza sulla loro terra, i
secondi svendono i pochi dunam rimasti per assicurarsi una piacevole e
tranquilla vecchiaia. Non è solo Prawer contro cui i palestinesi stanno
lottando. Non lo stanno facendo solo per i beduini e per il Neghev o per
la "nuova Nakba" in corso.
La generazione Oslo sta rivendicando una nuova gestione del potere, sta
gridando di essere unità al di là delle appartenenze di partito, di non
svendere la terra per la quale generazioni di palestinesi sono morti e
poeti ed intellettuali ne hanno declamato e cantato la bellezza.
Indicano ai loro governanti quale è la strada da seguire soprattutto
nelle ore in cui a Ramallah il delegittimato Abbas continua a "dialogare
per la pace".
Insomma non bisogna chiedersi soltanto se Prawer passerà ma quanto
ancora l'Autorità Palestinese e gli sceriffi di Hamas a Gaza resteranno
asserragliati nei loro fortini. La bomba sociale è un fiume in piena. La
solidarietà ai prigionieri, la lotta di Bab al-Shams e l'orgoglio dei
palestinesi d'Israele - gli "stranieri nella loro terra" - sono un grido
di libertà al di là dei risultati ottenuti, al di là dei cupi scenari
che sono all'orizzonte. Lo slogan "Prawer non passerà" cantato dalle
migliaia di manifestanti in Galilea, nel Naqab, a Ramallah e Gaza è un
messaggio di rivendicazione politica, di esistenza e di appartenenza e
non è esagerato definirlo di rivolta.
Il giovane poeta e giornalista Alì Mawasi ha sintetizzato perfettamente
il senso di queste giornate: "Con la rabbia, sì con la rabbia, con la
nostra unità nazionale: da Gerusalemme, dalla Galilea, dal Triangolo,
dalla Cisgiordania, da Gaza ed il Neghev. Il piano è caduto ma non
ancora il progetto sionista. Ci sarà una quarta giornata di rabbia,
perché ogni nuovo piano dovrà cadere. Ora cambiamo lo slogan: Prawer non
è passato!". Nena News
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