Perchè questo nome:

Credo che la verità vada urlata contro ogni indifferenza mediatica e delle coscienze. Perciò questo è uno spazio di controinformazione su tutto ciò che riguarda le lotte sociali. Questo blog è antisionista perchè antifascista. Informatevi per comprendere realmente e per resistere.

Donatella Quattrone


giovedì 2 gennaio 2014

G8 2001: DOMICILIARI PER MORTOLA, LUPERI E GRATTERI. INTANTO IN FRANCIA SI’ AI NUMERI IDENTIFICATIVI.

Notizia scritta il 02/01/14 alle 18:03. Ultimo aggiornamento: 02/01/14 alle: 19:31




don't clean up 

Spartaco Mortola, Giovanni Luperi e Francesco Gratteri in manette – a cavallo della notte di San Silvestro 2013 – per i fatti del 21 luglio 2001, con il massacro della scuola Diaz durante il G8 a Genova: 93 manifestanti brutalmente picchiati, 63 dei quali finirono poi in ospedale, tre in prognosi riservata e uno addirittura in coma.
Con ben tredici anni di ritardo, proprio l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre, i tre sono finiti in manette, in esecuzione della sentenza definitiva che ha confermato le condanne per 44 funzionari di polizia, solo 15 dei quali poi, concretamente, hanno ricevuto una qualche forma di reclusione.
I nomi di Mortola, Liperi e Gratteri sono ben noti a centinaia di migliaia di persone che 13 anni fa erano in piazza a Genova. Mortola, ex capo della Digos genovese e poi questore vicario a Torino, dovrà scontare otto mesi di  domiciliari, mentre per Giovanni Luperi, ex dirigente dell’Ucigos, poi capo-analista dei servizi segreti e ora in pensione, il conto è di un anno. Un anno di domiciliari pure per Francesco Gratteri, il «numero tre» della polizia italiana, superpoliziotto antimafia che ha coordinato le indagini su svariati attentati commessi dalla malavita organizzata. A tutti e tre, il tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza di servizi sociali.
Lo stesso tribunale di sorveglianza genovese aveva già deciso i domiciliari per sei funzionari e agenti di polizia condannati in via definitiva per il massacro alla scuola Diaz: si tratta di Filippo Ferri (all’epoca del G8 capo della squadra mobile di La Spezia, nei giorni scorsi reclutato dal Milan come “tutor” della sicurezza a Milanello), Fabio Ciccimarra (all’epoca dirigente della questura di Napoli), Nando Dominici (all’epoca capo della squadra mobile di Genova), Salvatore Gava (all’epoca funzionario della squadra mobile di Sassari), Massimo Nucera (agente del VII Nucleo del Reparto mobile di Roma, che denunciò falsamente di essere stato colpito da una coltellata) e il collega Maurizio Panzieri. A un settimo condannato, Carlo Di Sarro, all’epoca funzionario della Digos del capoluogo ligure, il tribunale di sorveglianza di Genova ha invece concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali. Ai nostri microfoni Vittorio Agnoletto, all’epoca dei fatti tra i portavoci del Genoa Social Forum. Ascolta. [Download

FRANCIA - Ancora polizia e dintorni e torniamo a parlare del numero identificativo. Mentre in Italia il ministro dell’Interno Alfano continua a dirsi “contrarissimo” a ogni modifica delle norme in tal senso, da ieri, 1 gennaio, in Francia tutti i poliziotti devono portare sulla loro uniforme un ”numero d’identificazione individuale”, che li renda riconoscibili durante qualsiasi intervento.
Una misura promessa in campagna elettorale dal presidente François Hollande ma che non piace ai sindacati di polizia, secondo cui “il governo" ha ceduto all’azione di lobbying di alcune associazioni”: un implicito riconoscimento, questo, al lavoro fatto da molte organizzazioni antirazziste e di movimento che fin dall’elezione di Hollande lottano perché la misura sia adottata.




Fonte:


REPUBBLICA CENTRAFRICANA: VIOLENZE E TENSIONI FRA GLI SFOLLATI - TUTTI I LINK DI EMERGENCY DALL'INIZIO DELLA CRISI

 


gennaio 2, 2014 - 16:50


Altre centinaia di civili hanno raggiunto il campo sfollati situato nei pressi dell’aeroporto di Bangui per mettersi al riparo da nuovi attacchi e rappresaglie tra esponenti dell’ex coalizione ribelle Seleka e miliziani Anti-Balaka. Le ultime violenze, che si sono verificate ieri nella quinta circoscrizione della capitale, hanno causato una vittima e una quindicina di feriti, di cui tre bambini. In base ad alcuni testimoni locali, uomini della Seleka (a maggioranza musulmana) in abiti civili avrebbero lanciato ordigni contro abitazioni di cristiani, suscitando l’ira di giovani che hanno replicato all’aggressione appiccando il fuoco a decine di case di musulmani. In un’ora 16 persone sono state ricoverate nella struttura allestita da Medici senza frontiere (Msf) dove sono stati curati i civili feriti da arma da fuoco e da schegge di munizioni. Martedì nello stesso presidio medico improvvisato un neonato di sei mesi è deceduto dopo essere stato raggiunto da un proiettile.
Al di là della paura e delle condizioni di vita quotidiana sempre più difficili, nel campo sfollati dell’aeroporto stanno anche aumentando tensioni e sospetti a causa della presunta infiltrazione di ex Seleka, costringendo Msf ad evacuare il proprio personale medico-sanitario. Martedì centinaia di centrafricani hanno invaso le piste dell’aeroporto di Bangui per protestare contro l’insicurezza e le cattive condizioni di vita, auspicando operazioni di disarmo degli ex ribelli “più celeri”.
Fonti di stampa locale hanno inoltre riferito che pur essendo collocato nei pressi della base dei soldati francesi dell’operazione Sangaris e della forza panafricana della Misca, nessun militare sta vigilando sull’immenso campo sfollati. Questo vuoto di sicurezza unito al perdurare degli scontri intercomunitari stanno alimentando crescente preoccupazione degli operatori umanitari che chiedono un intervento rapido dell’Onu. L’insicurezza diffusa sta rallentando, o addirittura impedendo in alcuni quartieri, la consegna di cibo, acqua e medicinali oltre che l’assistenza sanitaria nei 60 siti che in tutto ospitano più di 370.000 sfollati. A questi si aggiungono altre centinaia di migliaia di persone che da mesi si sono rifugiate nelle foreste alle porte della capitale.
Hanno invece scelto la strada dell’esodo almeno 10.000 ciadiani che da anni erano stabiliti in Centrafrica, tornati in patria nei giorni scorsi con ogni mezzo possibile. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato un appello a favore di un sostegno umanitario alle autorità di N’Djamena per aiutarle a far fronte al ritorno in massa di civili che potrebbe costituire una nuova fonte di tensione nel confinante Ciad. Un altro fronte caldo è la frontiera col Camerun dove sono stati segnalati nuovi attacchi attribuiti ad assalitori centrafricani – presumibilmente della Seleka – contro alcuni villaggi dell’est camerunense saccheggiati in modo sistematico. Le truppe di Yaoundé sono intervenute, uccidendo un assalitore e arrestando una decina di uomini armati.
Intanto sul fronte diplomatico la crisi centrafricana è al centro dell’agenda dei paesi dell’Africa centrale e della Francia. Il presidente congolese Denis Sassou Nguesso – mediatore regionale – si è detto “preoccupato per la possibile implosione del Centrafrica, a causa della presenza di forze negative, con conseguenze molto gravi anche oltre l’Africa centrale”. Il Centrafrica è il tema centrale della visita avviata dal ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, arrivato oggi a Bangui, dopo una tappa a N’Djamena e prima di incontrare i capi di Stato del Gabon e della Repubblica del Congo. Dal suo esilio l’ex presidente François Bozizé – destituito dalla Seleka con un colpo di stato lo scorso marzo – ha chiesto al suo successore Michel Djotodia, “il cui nome è sinonimo di caos”, di rassegnare le dimissioni.

[VV]

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Fonte:

http://www.misna.org/altro/bangui-nuove-violenze-tensioni-tra-gli-sfollati-02-01-2014-813.html 





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Di seguito i link di Emergency dall'inizio della crisi nella Repubblica Centrafricana:







Crisi in Repubblica Centrafricana

 

29 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: il senso del nostro essere a Bangui
 28 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: oltre 30 bambini feriti da arma da fuoco, razzi, granate e machete operati nell'ultimo mese
22 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: sempre più difficile la situazione a Bangui
20 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: un nuovo intervento di Emergency vicino a Bangui
17 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: dal Centro pediatrico di Bangui
13 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana: i medici di Emergency continuano a garantire cure ai bambini
11 dicembre - Crisi in Repubblica Centrafricana - da Bangui
8 dicembre - Bangui: nella zona dell'aeroporto, tra tende e baracche di fortuna, sono moltissimi i bambini
7 dicembre - SEMPRE PIÙ DRAMMATICA LA SITUAZIONE A BANGUI
5 dicembre - «Si sentono gli spari, sono vicinissimi»
5 dicembre - A BANGUI SI COMBATTE DA QUESTA MATTINA
3 dicembre - STRAGE DI BAMBINI IN REPUBBLICA CENTRAFRICANA, I FERITI PORTATI ALL'OSPEDALE DI EMERGENCY
3 dicembre - Repubblica Centrafricana, una strana calma latente
27 novembre - Repubblica Centrafricana, la situazione è sempre più grave
19 novembre - Al lavoro a Bangui, per garantire le cure a chi ha bisogno


Fonte:

"SIAMO DENTRO GAZA". LA DELEGAZIONE ITALIANA E' RIUSCITA AD ENTRARE

Ci hanno creduto mentre ormai noi non ci speravamo più, hanno insistito e alla fine la solidarietà ha vinto! La delegazione italiana è arrivata a Gaza! Yalla! Free Gaza! Free Palestine!

Qui la notizia su Contropiano con alcune informazioni su Piombo fuso per non dimenticare:


Giovedì, 02 Gennaio 2014 15:50

Di 


"Siamo dentro Gaza". La delegazione italiana è riuscita ad entrare


Intorno alle 14.00 la delegazione di attivisti italiani è riuscita a varcare il "valico maledetto" di Rafah ed entrare nella Striscia di Gaza. Ad attenderli la popolazione palestinese e le autorità. Gli attivisti italiani celebreranno insieme ai palestinesi i cinque anni trascorsi dal massacro dell'operazione Piombo Fuso scatenata dagli israeliani. Seguiranno aggiornamenti.

 Foto: LA DELEGAZIONE E' ENTRATA E SEMBRANO PIUTTOSTO CONTENTI E SU DI GIRI. L'ASSEDIO PER UN PO' E' STATO ROTTO. PALESTINA LIBERA!!


La delegazione italiana intende visitare i campi profughi palestinesi dentro la Striscia di Gaza nel quadro della campagna per il Diritto al Ritorno dei profughi nelle loro case dalle quali sono stati cacciati nel 1948 e che ogni anno vede una delegazione recarsi nei campi profughi palestinesi in Libano (quasi 500mila) per ricordare il massacro di Sabra e Chatila nel 1982. Inoltre si recherà all'ospedale Al Awda con il quale da cinque anni è attiva una campagna di sostegno. Infine si incontrerà con tutte le componenti del movimento palestinese all'insegna dell'unità della resistenza contro l'occupazione israeliana.




Qui sotto alcune informazioni per non dimenticare il mattatoio dell'operazione Piombo Fuso di cinque anni fa contro la popolazione palestinese di Gaza.

L’Operazione Piombo Fuso scatenata dalle forze armate israeliane ufficialmente come risposta al lancio dei rudimentali razzi da Gaza verso il territorio israeliano, inizierà il 27 dicembre 2008 e durerà 22 giorni. I bombardamenti israeliani da terra e cielo portano alla distruzione di abitazioni di 325.000 persone. Vengono distrutte 18 scuole e 280 danneggiate. Tra queste anche 50 scuole dell’UNRWA (United Nations relief and works agency for Palestine refugees in the near East). Il bilancio finale è di più di 1400 palestinesi uccisi, di cui un quarto bambini. I morti israeliani risultano 13.
Israele nel corso dell’Operazione utilizza come arma anche il fosforo bianco colpendo, tra le altre,la sede dell’UNRWA e l’ospedale al-Quds a Gaza City. Quando il fosforo bianco entra in contatto con la pelle può continuare a bruciare anche in profondità, fino a raggiungere la massa muscolare e la spina dorsale. A Gaza verrà sperimentata anche la micidiale bomba "Dima" che esplode in orizzontale mutilando le gambe e la parte inferiore del corpo. Il suo scopo è fare più feriti che morti. I morti vengono seppelliti, i mutilati restano come costo sociale e affettivo sulle loro famiglie e la collettività.


Qui di seguito le parole con cui Vittorio "Vik" Arrigoni descrisse il primo giorno dei bombardamenti su Gaza:

"Avete presente Gaza? Ogni casa è arroccata sull’altra, ogni edificio è posato sull’altro, Gaza è il posto al mondo a più alta densità abitativa, per cui se bombardi a diecimila metri di altezza è inevitabile che compi una strage di civili. Ne sei cosciente, e colpevole, non si tratta di errore, di danni collaterali. Bombardando la centrale di polizia di Al Abbas, nel centro, è rimasta seriamente coinvolta nelle esplosioni la scuola elementare lì a fianco. Era la fine delle lezioni, i bambini erano già in strada, decine di grembiulini azzurri svolazzanti si sono macchiati di sangue.Bombardando la scuola di polizia Dair Al Balah, si sono registrati morti e feriti nel mercato lì vicino, il mercato centrale di Gaza. Abbiamo visto corpi di animali e di uomini mescolare il loro sangue in rivoli che scorrevano lungo l’asfalto. Una Guernica trasfigurata nella realtà".
 
Ultima modifica il Giovedì, 02 Gennaio 2014 16:56



QUATTRO COSE DA SAPERE SUL SUD SUDAN

  • 31 dicembre 2013
  • 15.32


Un soldato dell’esercito sudsudanese a Malakal, il 30 dicembre 2013. (James Akena, Reuters/Contrasto)

In Sud Sudan i ribelli antigovernativi guidati dall’ex vicepresidente Riek Machar hanno attaccato di nuovo la città di Bor, dove ha sede il quartier generale delle Nazioni Unite nel paese. I combattimenti sono cominciati la mattina del 31 dicembre.
Solo la scorsa settimana l’esercito governativo aveva riconquistato la città, già attaccata dai ribelli. Il 27 dicembre il presidente Salva Kiir si era detto disponibile a firmare una tregua con i ribelli durante una conferenza di pace a Nairobi, in Kenya. Ma Machar aveva chiesto il rilascio di tutti i prigionieri politici prima dell’inizio dei negoziati, richiesta che il presidente Kiir ha rifiutato.
Il 31 dicembre Machar ha annunciato che la città di Bor è sotto il controllo dei ribelli e che ha inviato tre uomini ad Addis Abeba, in Etiopia, per trattare con il governo.
Ecco una lista di quattro cose da sapere per capire meglio quello che sta succedendo in Sud Sudan:
  • Cos’è il Sud Sudan? Il Sud Sudan è il più giovane stato del mondo: ha dichiarato l’indipendenza dal Sudan il 9 luglio 2011, dopo un referendum. Ha 11 milioni di abitanti ed è uno dei paesi più poveri al mondo, solo il 35 per cento delle strade è asfaltato e il tasso di alfabetizzazione è del 27 per cento. L’economia del Sud Sudan dipende interamente dalle esportazioni di petrolio. Dal 2011 i problemi economici si sono aggravati a causa delle dispute territoriali e sul controllo del petrolio con il Sudan. Anche se il Sud Sudan è ricco di pozzi petroliferi, le raffinerie sono solo in Sudan, quindi dal punto di vista economico e commerciale Juba dipende dal suo vicino: il petrolio estratto in Sud Sudan deve essere raffinato in Sudan prima di essere commercializzato.
  • Perché si combatte nel paese? In Sud Sudan le violenze sono cominciate il 15 dicembre 2013, quando alcuni militari di etnia dinka hanno cominciato a scontrarsi con altri membri dell’esercito di etnia nuer, accusandoli di preparare un colpo di stato. I soldati nuer sono guidati dall’ex vicepresidente Riek Machar, che è stato mandato via dal presidente Salva Kiir nel luglio del 2013. Kiir e Machar erano da molto tempo in disaccordo e si contendevano il controllo del governo e del loro partito, il Movimento per la liberazione del popolo sudanese (Splm). Ad aprile i poteri del vicepresidente Machar erano già stati ridotti. In vista delle presidenziali del 2015, infatti, Machar era pronto a mettere in discussione la leadership di Kiir all’interno del partito. Inoltre Kiir e Machar appartengono a due diversi gruppi etnici: Kiir è dinka, il gruppo più numeroso del Sud Sudan, mentre Machar è nuer, il secondo gruppo etnico del paese.
  • Come ha fatto il Sud Sudan a ottenere l’indipendenza? Come per la maggior parte dei paesi africani il travagliato percorso verso l’indipendenza del Sud Sudan affonda le sue radici nella storia coloniale del paese. Il Sudan era una colonia britannica. Intorno al 1890 il Regno Unito aveva unito il territorio dell’attuale Sud Sudan senza troppa attenzione verso le differenze etniche e culturali dei due territori, anche per contrastare le rivendicazioni dell’Egitto sul nord del paese. Ma al di là dei confini stabiliti dall’autorità coloniale il paese appariva già diviso: mentre il nord era arabo e musulmano, il sud era cristiano e animista ed era abitato da gruppi etnici presenti nella fascia subsahariana. Nel 1956, con l’indipendenza del Sudan, i confini del paese sono rimasti invariati e la capitale è rimasta a Karthoum, ma il sud ha cominciato a chiedere l’indipendenza. La guerra civile era già scoppiata nel 1955, prima che il Sudan ottenesse l’indipendenza dal Regno Unito, ed era finita solo nel 1972 con la concessione di maggiore autonomia a Juba. Nel 1983 è cominciato un secondo conflitto quando Karthoum ha revocato l’autonomia concessa al sud. La seconda guerra civile è finita solo nel 2005, con un trattato di pace che prevedeva un referendum per l’indipendenza del Sud Sudan.
    Il 9 luglio 2011 il 98,8 per cento dei sudsudanesi ha votato a favore dell’indipendenza. Due fattori sono stati determinanti per il successo del referendum: l’appoggio degli Stati Uniti a Juba e l’ostilità internazionale verso il governo sudanese per le sue violazioni dei diritti umani e l’appoggio concesso a gruppi terroristi.
  • È un conflitto etnico? In parte sì ed è collegato con la guerra per l’indipendenza. Infatti decenni di guerra civile con il Sudan hanno fatto sì che in Sud Sudan nascessero delle milizie costituite su base etnica. Queste milizie sono poi confluite nell’esercito nazionale sudsudanese (Spla). Ma già nel 1991 l’esercito si è diviso tra dinka e nuer e questi ultimi, che hanno formato l’Armata bianca, hanno attaccato la città di Bor, uccidendo duemila persone. Il conflitto tra nuer e dinka all’interno dell’esercito si era parzialmente sanato durante la seconda guerra civile, ma il conflitto politico tra Salva Kiir e Riek Machar rischia di riaccendere vecchie tensioni tra i due gruppi. 
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  • Fonte:
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  • http://www.internazionale.it/news/africa/2013/12/31/quattro-cose-da-sapere-sul-sud-sudan/