L’amnistia
per i detenuti e le detenute delle carceri di questo paese
probabilmente non si farà. Nonostante il sovraffollamento: circa 69.000
detenuti e detenute in celle che ne potrebbero contenere al massimo
43.000 e le sofferenze che questo ingorgo di corpi impone a ciascuno e
ciascuna, il governo risponde: “non ci sono i numeri in Parlamento”.
Vuol dire che non c’è la volontà politica da parte dei gruppi
parlamentari, ossia dei partiti. A loro va bene che i poveri, gli ultimi
della terra muoiano di galera. Si indignano soltanto quando uno di
loro, raramente, attraversa quei cancelli.
Dunque, niente amnistia, ma il solo pronunciarla ha fatto rizzare i capelli in testa alla congrua pattuglia, delle avanguardie forcaiole d’Italia.
Provo dunque a ricordare ai saputelli della carta stampata qualcosa sul significato della parola “amnistia” .
“Amnistia”, dal greco amnēstia, A/MNĒME, nega/memoria: oblio, remissione.
Concetto per certi versi simile al greco biblico iobelaios, l’anno che cade ogni 50. Annum iubilaeum: in cui al suono del corno del capro “yobèl” venivano rimessi, nel mondo ebraico, i debiti di tutti gli uomini.
La storia ricorda l’ateniese Trasibulo (vincitore nella battaglia di Atene contro i trenta arconti
(tiranni) che decretò l’amnistia generale. La prima amnistia che di cui
abbiamo memoria, nel Settembre 403 prima dell’età volgare (p.E.V.)
L’amnistia è un oblio parziale, un’amnesia, ma è un oblio consapevole.
Bisogna saper ricordare, saper comprendere le ragioni e i motivi dei fatti e dei comportamenti che si vogliono obliare.
Significa ricordare senza restar schiavi delle pulsioni vendicative.
Ci vogliono istituzioni salde e che
godano di un certo consenso, ci vuole dignità e onestà di gran parte
della società, per fare i conti con una realtà di dure contese e di
comportamenti travolgenti le regole sociali, causati da malessere e
sofferenza che si vogliono, o almeno si spera, superare. Ci vuole
capacità di non farsi inghiottire dai ritmi affannosi della cecità
quotidiana. Ci vuole consapevolezza e coscienza profonda.
L’amnistia concerne la memoria, il ricordare. È una categoria che sta dentro il rapporto tra presente e passato. Il ricordare è un’opera che contempla la selezione dei ricordi.
Gli aggregati umani hanno sempre
costruito la propria identità intorno alla battaglia del ricordare. La
formazione dell’identità individuale di una donna o un uomo e di quella
collettiva di una società si costruisce dentro la battaglia della “memoria”.
La memoria è dunque un campo di battaglia dove si lotta per la conquista del passato,
per la sua riscrittura o il suo stravolgimento; dove si esaltano degli
eventi e se ne sviliscono altri; a volte di sana pianta si “inventa la tradizione”.
Ricordo e dimenticanza: due poli
contraddittori della memoria, che esistono strettamente avvinghiati in
una lotta senza fine. Sul terreno rimangono i ricordi: annientati,
stravolti, ingigantiti, travisati, inventati. Esemplare il caso delle
società costruite dalla colonizzazione di gruppi umani provenienti da
altre terre: il nome delle prime città che i coloni fondano ricevono il
nome delle città lasciate per emigrare (New Amsterdam, poi New York,
ecc.), ma anche costruendo imponenti commemorazioni per scolpire nelle
coscienze dei nuovi arrivati la loro “storia condivisa”.
Il ricordare è in realtà un dimenticare selettivo: i ricordi
si selezionano, ciascuna e ciascuno di noi decide quello che va
ricordato, quello che va esaltato e quello che va dimenticato. Lo decide
la nostra collocazione nel presente, se abbiamo lo sguardo rivolto in
avanti teso a costruire qualcosa di importante; immobile e ottuso se
rimane imprigionato in un cieco passato che si attorciglia in spire di
rivincite, ritorsioni, rappresaglie, vendette, castighi.
L’accanimento del passato non permette di vivere il presente per andare avanti.
La dittatura del passato non aiuta nel presente, tiene legati gli umani in una faida senza fine tra potere statuale e persone.
Il rifiuto dell’amnistia svela la fottuta paura di ricordare, di ripercorrere gli aspri contesti sociali e politici che necessitano di amnistia.
L’alternativa non è tra ricordare molto e dimenticare poco, o viceversa; il nostro compito è capire che direzione deve prendere il passato: dove dirigersi, che spazio occupare tra gli individui, tra i soggetti sociali, tra le classi, in quale interstizio inserirsi. Purché non continui a restare monopolio esclusivo del potere.
Cerchiamo di non restare irretiti nel labirinto del passato e poi trovarci a domandare, come Alice, (quella nel Paese delle Meraviglie): “per dove si esce”? potrebbe non esserci uscita!
Fonte:
http://contromaelstrom.com/2012/10/05/amnistia-la-parola-e-il-senso/
Fonte:
http://contromaelstrom.com/2012/10/05/amnistia-la-parola-e-il-senso/
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