«In questo paese ci sono più persone che scrivono libri di quelle che li leggono» diceva un mio vecchio professore universitario, e che il nostro sia un paese di non-lettori non è certo una novità. Capita, peraltro, che ci siano poi delle vere e proprie “bolle” su libri che vengono creati raffazzonando materiale altrui e leggende metropolitane, ma che hanno però tutte le luci della ribalta (nonché varie ospitate e trasmissioni speciali sulla terza rete Rai) e libri che, magari anche solo in parte, tentano di spostare quei riflettori sulle tantissime zone d’ombra della nostra storia e che, per questo, non godono della stessa fortuna.
Proprio uno di questi ultimi casi potrebbe permettere al nostro paese di fare un salto di qualità, una crescita intellettuale se vogliamo, favorendo una discussione che da troppo tempo viene rimandata e che riguarda una manciata di anni, quelli che i libri di storia hanno definito “di piombo”. Il libro in questione è “Colpo al cuore: dai pentiti ai “metodi speciali”, come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata”, scritto dal giornalista Nicola Rao nei mesi scorsi ed edito da Sperlink&Kupfer.
Premetto che ancora non ho avuto modo di mettere le mani sul libro, per cui questa non sarà assolutamente una recensione. Quello che mi interessa, invece, viene sviscerato su internet in questi giorni grazie al prezioso lavoro del blog Baruda.net. Ad oggi, il tentativo di raccontare dei metodi illegali usati dallo Stato (no, qui non esistono pezzi di Stato “deviato” e “non-deviato”) contro i gruppi che, a sinistra, scelsero la lotta armata tra i Settanta e gli Ottanta sono stati affrontati solo da due libri (al contrario dei tanti – non sempre utili – scritti sulla criminalità organizzata): uno è quello, appena citato, di Nicola Rao. L’altro si chiama “Le torture affiorate”, fa parte di una più ampia collana (cinque libri) chiamata “Progetto Memoria”, una «ricerca storico-documentaria sull’esperienza armata che ha attraversato l’Italia negli anni 70-80», come è possibile leggere sul sito della cooperativa “Sensibili alle foglie” (fondata nel 1990da Renato Curcio, Stefano Petrelli e Nicola Valentino nel carcere romano di Rebibbia), un altro dei libri che difficilmente vedremo “recensiti” da Fabio Fazio e soci.
Si è sempre detto, a torto, che “i cattivi” fossero gli operai, gli studenti o i “militanti” che scelsero la lotta armata e che i “buoni” fossero gli uomini dello Stato, belli e ligi al dovere ed al rispetto delle regole come quelli che ti fanno vedere nei “serial” in televisione. Poi, però, arriva un De Tormentis qualunque a scombinare i piani.
Dalla perizia del medico legale Mario Marigo, 3 febbraio 1982 Padova. Tracce di tortura compiuta con elettrodi sui genitali di Cesare Di Lenardo, militante delle Brigate rosse in carcere da 29 anni |
Il “professor” De Tormentis. No, quello non è un cognome vero. “De Tormentis” è l’eteronimo – ripreso da un trattato medievale sulla tortura scritto dalla scuola bolognese di giurisprudenza tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300 – con cui è noto il funzionario dell’Ucigos (“Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali”, oggi diventato “Polizia di prevenzione”) che in quegli anni girava questure e caserme del Belpaese insieme ad una squadra speciale con il compito di estorcere informazioni ai militanti – o presunti militanti – delle Brigate Rosse attraverso metodi – come il waterboarding – che oggi, se contestualizzati in paesi come l’Afghanistan, l’Iran o l’Iraq, non abbiamo problemi a definire come “torture” o “violazione dei diritti umani”. In una intervista al quotidiano Secolo XIX pubblicata nel giugno 2007, è lui stesso a delineare il suo curriculum, iniziato negli anni Cinquanta e conclusosi con il ruolo di questore dopo tre decenni, passando attraverso la Sicilia dei Liggio e dei Riina, Napoli e l’ispettorato antiterrorismo creato da Emilio Santillo, fino all’approdo all’Ucigos. Nella stessa intervista è lui stesso a dare indicazioni sulla sua identità – facilmente rintracciabile con una non troppo complessa ricerca in rete – dicendo di essere raffigurato nella fotografia che immortala il ritrovamento della Renault 4 rossa in via Caetani dove si trovava il corpo di Aldo Moro. A Napoli, siamo nel 2004, diventa commissario per la federazione provinciale di Fiamma Tricolore, partecipando tra il 1986 ed il 1987 ai processi contro la colonna napoletana delle Br, al cui smantellamento aveva concorso lui stesso con i suoi metodi “speciali”.
Oggi “De Tormentis” fa l’avvocato proprio presso il foro napoletano, notizia che – ovviamente – non è piaciuta proprio a tutti i suoi colleghi. «Come Codesto Ordine comprenderà non è certo particolarmente “edificante” per chi esercita questo mestiere ormai da qualche annetto apprendere che un “collega” si vanta pubblicamente di avere torturato, quando era un poliziotto, dei cittadini arrestati prima di affidarli al Magistrato competente», scrive l’avvocato Davide Steccanella (il sottolineato non è opera mia) di Milano in una “richiesta chiarimenti” all’Ordine degli Avvocati di Napoli[1].
Il primo velo su De Tormentis e le sue tecniche cade nel 2007 attraverso quello che potremmo definire un “insider”, Salvatore Genova il suo nome, uno che quelle torture le ha conosciute molto da vicino. Per averle praticate. «Nei primi anni Ottanta esistevano due gruppi di cui tutti sapevano» – ha dichiarato a Matteo Indice sul Secolo XIX [“Parla l'ex capo dei Nocs Salvatore Genova: «Torture ai brigatisti ben prima della Diaz»", Matteo Indice, Il Secolo XIX, 17 giugno 2007] – «”I vendicatori della notte” e “I cinque dell’Ave Maria”. I primi operavano nella caserma di Padova, dov’erano detenuti i brigatisti fermati per Dozier». Dozier, per chi non lo sapesse o non lo ricordasse è James Lee Dozier, ex generale statunitense, responsabile Nato per l’Europa meridionale sequestrato dalle Br-pcc (Brigate Rosse-partito comunista combattente, una delle due formazioni in cui si spaccarono le Br dopo gli arresti di Mario Moretti ed Enrico Fenzi) a Verona il 17 dicembre 1981. È proprio per le sevizie praticate sui brigatisti che sequestrarono Dozier (Cesare Di Leonardo, Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella, Giovanni Ciucci) che Genova viene condannato in primo grado. Si salverà, poi, per l’elezione in Parlamento – come indipendente – nelle fila del Psdi presieduto all’epoca da Pietro Longo (tessera P2 numero 2223) con annessa immunità parlamentare. «Ovunque era nota l’esistenza della “squadretta dei torturatori” che si muoveva in più zone d’Italia, poiché altri Br (in particolar Ennio Di Rocco e Stefano Petrella, bloccati dalla Digos di Roma il 3 gennaio 1982) avevano già denunciato procedure identiche. Non sarebbe stato difficile individuarne nomi, cognomi e “mandanti” a quei tempi».
Ma chi ci provò all’epoca – Piervittorio Buffa, giornalista de L’Espresso – venne arrestato per mantenere il segreto su pratiche che vengono “legalizzate” da una riunione del comitato interministeriale per la sicurezza presieduto dall’allora capo del governo Giovanni Spadolini.
Acqua e sale. Prendete quello che succede nella dimostrazione che ne fa Christopher Hitchens in questo video[2], sottraetegli la consapevolezza di quello che accadrà ed aggiungete non solo la paura di chi subiva – non certo con annunci preventivi – questo sistema di “interrogatorio”, nel quale non c’erano accorgimenti o “parole d’ordine” che avrebbero immediatamente fermato il tutto, un tubo di gomma che veniva forzatamente inserito in gola e del sale da aggiungere all’acqua. È così che, negli anni Settanta e Ottanta, lo Stato italiano combatteva la propria “guerra all’anti-stato”, e se oggi queste pratiche vengono denunciate come “illegali” se praticate negli “stati canaglia”, allo stesso modo devono essere denunciate se praticate da stati cosiddetti democratici, in particolare se per anni ci è stato detto che loro, gli uomini dello Stato, certe pratiche non le facevano. «Succedeva esattamente quello che i terroristi hanno raccontato: li legavano con gli occhi bendati, com’era scritto persino su un ordine di servizio, e poi erano costretti a bere abbondanti dosi di acqua e sale. Una volta, presentandomi al mattino per un interrogatorio, Savasta mi disse: “Ma perché continuano a torturarci, se stiamo collaborando?”», ha confermato Genova.
Se poi ad essere torturata era una donna, il waterboarding non era probabilmente la cosa più pesante che subiva.
Cronistoria di un torturatore. Il primo a subire le torture è il tipografo Enrico Triaca (per un approfondimento vi rimando, di nuovo, al blog Baruda.net), arrestato nel maggio 1978, dodici giorni dopo l’omicidio di Aldo Moro, con l’accusa di partecipazione a banda armata e associazione sovversiva, alle quali si aggiunse anche una denuncia per calunnia quando raccontò dei metodi con i quali era stato “interrogato”. Per evitare che a qualcuno – magari qualche giornalista – venisse in mente di indagare su queste operazioni, De Tormentis e la sua squadra vennero messi a riposo per un po’. Il “sonno” dura quattro anni, fino all’avvento del governo Spadolini e della “legittimazione istituzionale” delle pratiche di interrogatorio.
A Cesare Di Leonardo, racconta il suo avvocato «gli ruppero non solo un timpano ma gli bruciarono pure testicoli e pene, come evidenziano le foto agli atti del processo. Ma c’è di peggio. Le cosiddette “squadrette” lo portarono nudo in un campo della Guizza e finsero di fucilarlo dopo averlo preso a secchiate d’acqua. Di Leonardo presentava inoltre bruciature alle mani e al petto eseguite con mozziconi di sigaretta». Per quanto riguarda le torture alle donne – continua ancora il racconto dell’avvocato ad Enzo Bordin per “Il mattino di Padova” del 17 giugno 2007[3] – «in bagno avevano una telecamera costante, con luce accesa giorno e notte» e in alcuni casi – come quello di Alberta Biliato – «infilarono addirittura un uncinetto nell’organo sessuale fingendo di trasmetterle scariche elettriche».
Credo che il racconto possa fermarsi qui, per adesso. Di cose da raccontare sulle pratiche usate dallo Stato contro militanti e presunti tali della lotta armata ce ne sono ancora parecchie (e non è detto che non ci si torni in futuro), considerando poi – e questa è una storia un po’ più recente, che quelle stesse pratiche sono state usate durante il G8 di Genova del 2001.
Molti di coloro che subirono quelle torture oggi sono ancora in carcere, e se vogliono chiedere la condizionale devono scrivere una “lettera di perdono”, anche nel caso in cui – per salvarsi – abbiano fornito informazioni non completamente vere. I torturatori, invece, nella maggior parte dei casi non solo non sono stati arrestati, ma in molti casi sono anche stati promossi. In nessuno dei due casi, comunque, non ci sono stati né speciali di Santoro e Fazio né “movimenti di opinione” nazionale, come si fa per i “prigionieri politici” dei paesi stranieri. Le uniche iniziative in merito sono state l’inchiesta del quotidiano “Liberazione”, e l’interrogazione parlamentare di Rita Bernardini del Partito Radicale. Per il resto, il nulla.
“De Tormentis”, oggi, non ha più niente da temere. I suoi reati sono andati in prescrizione (anche perché il “reato di tortura” – chissà come mai – in Italia non esiste). È forse proprio da lui che potrebbe iniziare il più o meno lungo percorso con cui questo paese deve fare i conti se vuole davvero chiudere l’epoca degli anni Settanta, e non ritrovarsi, ogni volta, a spaccarsi come in curva la domenica pomeriggio. Altre, e più giovani, democrazie ci sono riuscite, ed oggi donne e uomini che scelsero la lotta armata anche venti, trenta o quaranta anni fa sono o sono stati uomini di governo, quando non direttamente Presidenti della Repubblica. Ma l’Italia, forse, è una democrazia troppo immatura per certi “slanci”.SB
Note:
[1] Ancora su De Tormentis: una lettera all’ordine degli avvocati di Napoli, Baruda.net, 19 dicembre 2011;
[2] Watch Christopher Hitchens Get Waterboarded (VANITY FAIR);
[3] Il penalista Lovatini: anche le donne delle Br sottoposte ad abusi e violenze, Insorgenze.com,
http://senorbabylon.blogspot.com/2012/01/storia-di-de-tormentis-la-democrazia-e.html
Nessun commento:
Posta un commento