Il caso Triaca e la continuità della tortura negli apparati repressivi di Stato.
Lo
scorso 18 giugno la Corte d’appello di Perugia ha accolto l’istanza di
revisione del processo che nel 1978 vide condannato per calunnia Enrico
Triaca dopo che questi, arrestato il 17 maggio dello stesso anno nel
corso delle indagini sul caso Moro, denunciò di aver subito torture
fisiche e psicologiche fin dalle prime ore che seguirono la sua cattura.
Il prossimo 15 ottobre, dunque, saranno chiamati a testimoniare
personaggi chiave che hanno ricostruito o custodito le confidenze di
Nicola Ciocia, alias “Professor De Tormentis” - capo della squadra di
aguzzini alle dirette dipendenze del Ministero degli Interni, istituita
per estorcere confessioni ai militanti delle Br nel pieno della guerra
civile che si combatteva in Italia alla fine degli anni ’70. In calce a
queste brevi righe abbiamo selezionato una piccola bibliografia che
vuole essere in grado, seppur sommariamente, di ricostruire la vicenda
di Enrico Triaca: l’obiettivo che ci prefiggiamo è, infatti, anche
quello di riscostruire in maniera pubblica e collettiva una storia che è
stata volutamente sepolta nel dimenticatoio della storia italiana per
oltre 35 anni. Ciononostante, non è solo la vicenda di Triaca in sé a
spingerci a scrivere e diffondere questo appello. Crediamo infatti che
oggi, nei giorni in cui si fa forte nella sinistra antagonista la
discussione pubblica sull’amnistia e sull’introduzione del reato di
tortura nel nostro ordinamento penale, sia doveroso non lasciare taciute
le evidenti connessioni che legano la repressione di Stato odierna alla
sistematica opera di distruzione, nei decenni ’70-’80, dei tentativi
rivoluzionari e di tutte le esperienze politiche che portarono a un
livello senza precedenti lo scontro di classe nell’Italia postbellica.
Seppur con intensità differenti e direttamente proporzionali alle forze
messe in campo dal movimento di classe, lo Stato ha agito una strategia
di annientamento delle forze politiche e sociali che hanno provato a
invertire e sovvertire i rapporti di forza nel nostro paese. Una
strategia giocata senza esclusione di colpi, ricorrendo alla violenza
politica e alla tortura, andando ben oltre i limiti consentiti dalle
leggi “democratiche”, con buona pace della litania che ci propinano da
decenni sulla “vittoria legale” dello Stato nella “guerra contro il
terrorismo”. Il caso Triaca assume quindi una forte valenza simbolica,
sineddotica: da un lato grimaldello per fare opera di memoria su quanto
accaduto in Italia ai militanti politici tra il ’78 e l’82, dall’altro
spiraglio per aprire un dibattito storicizzante sulle lotte degli
anni’70, senza tabù e rischi di astrazioni decontestualizzanti volte a
perimetrarne la portata e screditare con sommario arbitrio le esperienze
rivoluzionarie che ne furono avanguardie.
La campagna che immaginiamo: vademecum per le lotte di oggi.
Proprio
un’attenta analisi di questa linea di continuità nella repressione di
Stato ci spinge oggi a prendere parola in questi termini, provando a
inquadrare il fenomeno delle torture in un’ottica differente, di classe,
capace di discernere il singolo episodio di sadismo delle forze
dell’ordine da un disegno più ampio, studiato, calibrato sulla
preoccupazione che le lotte sociali e politiche sono oggi in grado di
destare nelle articolazioni nazionali del capitale. Testimone di questa
nostra volontà è l’obiettivo che vediamo alla fine del processo che si
sta istruendo: non una cieca volontà di risarcimento giudiziario
(nonostante l’assoluzione di Triaca faccia parte del giusto risultato
cui tende la campagna), ma una testimonianza politica che sia in grado
di riportare alla luce del dibattito nazionale l’analisi delle strategie
di Stato in termini di repressione e controrivoluzione preventiva. Le
stesse sospensioni di diritto praticate nella caserma di Bolzaneto, nel
2001, sono figlie - siamo certi - di quella lunga e continua filiera
repressiva che gli apparati di governo hanno messo a punto per
esercitare non solo una certosina bonifica dell’insorgenza
rivoluzionaria e di classe ma anche per perfezionare un sadico strumento
di deterrenza preventiva. Con gli stessi scopi è stata negli anni
varata una serie di provvedimenti - dai «braccetti della morte»
dell’articolo 90 della legge sull’ordinamento penitenziario del 1975
(isolamento totale, divieto di corrispondenza, divieto di acquisto di
libri e quotidiani), poi non rinnovato dalla metà degli anni ’80, al
«regime di carcere duro» (un solo colloquio al mese attraverso un vetro
divisore, censura della corrispondenza, una sola ora d’aria al giorno)
previsto dall’articolo 41 bis della stessa legge e modificato nel 1992 -
inizialmente diretti agli accusati per mafia e, in seguito, estesi ai
militanti politici e ad altri detenuti. Pensati in chiave deterrente e
terroristica, oltre ad essere veri e propri strumenti di “tortura
raffinata”, essi mirano ad annientare (fisicamente e psicologicamente) i
detenuti sottoposti a queste condizioni. Fare luce su ciò che incombe
sul nostro passato è dunque il primo passaggio per avere chiaro quale
deve essere il parametro con cui decifrare l’attuale stretta repressiva
che i movimenti e le opzioni politiche antagoniste stanno subendo.
Assumono così un senso ancor più profondo e chiaro le dure condanne per
la giornata di piazza a Roma lo scorso 15 ottobre 2011, così come
crediamo siano legate alla stessa logica di repressione preventiva le
numerose carte che giacciono sui tribunali chiamati a criminalizzare le
lotte per il diritto all’abitare come le lotte contro l’alta velocità,
le battaglie sui luoghi di lavoro e quelle per la difesa dell’istruzione
pubblica. Liberare gli anni ’70, favorirne un dibattito squisitamente
politico, storicizzare il ciclo di lotte per cui oggi ancora qualcuno
paga nella solitudine di una cella, crediamo siano i risultati cui
mirare insieme. Contestualizzare all’oggi queste rotte di riflessione e
legarle alle lotte contro il 41bis e l’ergastolo che molti detenuti
politici hanno lanciato nel corso degli anni sono gli obiettivi che si
pone questa specifica campagna, nella convinzione che senza una presa di
coscienza collettiva su ciò che sono state la repressione e la tortura
di Stato nei decenni passati non si può immaginare di affrontare con
determinazione e forza d’animo le lotte che vogliamo costruire domani.
Verso l’udienza del 15 ottobre. Che fare?
Il
tempo è galantuomo, e dopo 35 anni offre alla Corte d’appello di
Perugia la possibilità di revisionare il processo che nel ’78 condannò
Enrico Triaca a 1 anno e 4 mesi per calunnia. Ma il tempo è tiranno, si
sa anche questo, e ci lascia un margine molto ristretto per ottimizzare
le energie di tutte e tutti in questa campagna. Come primo step
immaginavamo di poter sottoporre questo breve appello (i punti 1 e 2) a
tutte le realtà, strutture e singolarità che vogliano impegnarsi in
questa direzione; soggetti politici che condividano non solo la volontà
di fare luce sul caso Triaca ma anche, e soprattutto, la necessità di
chiarire quali furono le strategie di Stato che hanno oliato una
macchina repressiva ancora oggi in funzione. A partire dall’inizio di
settembre (lunedì 2), una volta che ogni soggettività avrà diffuso
queste coordinate tra le proprie reti di contatti nazionali e non,
vorremmo che tutti coloro che avranno sottoscritto l’appello e abbiano
aderito alla costruzione della campagna formalizzino questo impegno
nella costituzione di un comitato di scopo capace di tenere alta
l’attenzione politica e mediatica sull’inizio del processo. Il futuro
comitato, per il cui nome si pensava Comitato “La tortura è di Stato!
Rompiamo il silenzio!”, si impegnerà a promuovere - attraverso
l’autonoma condotta dei singoli aderenti - azioni, campagne di
sensibilizzazione, interventi, segnalazioni e quant’altro sia utile
all’implementare il dibattito in vista dell’udienza del 15 ottobre.
Nella speranza e con l’auspicio di poter crescere giorno dopo giorno,
firma dopo firma, valuteremo se dovessero esserci le forze per indire,
nella giornata del 15 ottobre e a partire dalle ore 9, un presidio sotto
la Corte d’appello di Perugia (Piazza Matteotti), in concomitanza con
la prima (e forse più importante) udienza del nuovo processo, in cui
verranno ascoltati i tre teste chiave (Nicola Rao, Matteo Indice e
Salvatore Rino Genova. Per maggiore informazioni sui personaggi citati e
il ruolo che ricoprono nella vicenda di Enrico Triaca rimandiamo alla
bibliografia che segue).
COMITATO “LA TORTURA E’ DI STATO! ROMPIAMO IL SILENZIO!”
Settembre 2013
Prime adesioni:
Valerio Evangelisti (scrittore), Osservatorio sulla Repressione,
Caterina Calia (avvocato), Cristiano Armati (Red Star Press), Collettivo
Militant – Roma (Noi Saremo Tutto), Mensa Occupata – Napoli (NST),
Insurgent City – Parma (NST), LP Gagarin 61 – Teramo (NST), Rete dei
Comunisti, “Polvere da sparo” baruda.net (blog), Insorgenze (blog), La
Scintilla – Bellinzona, Enrico Di Cola, Zaccaria Dale…
Bibliografia sul “caso Triaca”:
Progetto Memoria, Le torture affiorate, Sensibili alle foglie, 1998.
Nicola
Rao, Colpo al cuore. Dai pentiti ai “metodi speciali”, come lo Stato
uccise le BR. La storia mai raccontata, Sperling & Kupfer, 2011.