Il 9 aprile 1948 forze ebraiche occuparono il villaggio di Deir Yassin situato su una collina a ovest di Gerusalemme, ottocento metri sul livello del mare e vicino all’insediamento ebraico di Givat Shaul. […]
Come irruppero nel villaggio, i soldati ebrei crivellarono le case con le mitragliatrici, uccidendo molti abitanti. Le persone ancora in vita furono radunate in un posto e ammazzate a sangue freddo, i loro corpi seviziati, mentre molte donne vennero violentate e poi uccise. […]
Una recente ricerca ha ridotto il numero delle persone massacrate a Deir Yassin da 170 a 93. Naturalmente, a parte le vittime del massacro, decine di altri individui furono uccisi in combattimento e perciò non vennero inseriti nelle lista ufficiale delle vittime. Comunque, poiché le truppe ebraiche consideravano ogni villaggio palestinese una base militare nemica, la distinzione tra massacrare gli abitanti e ucciderli “in battaglia” era di scarsa importanza. Bisogna solo dire che tra le persone massacrate a Deir Yassen vi erano trenta neonati; si capisce così che il calcolo “quantitativo” – che gli israeliani hanno ripetuto recentemente, nell’aprile del 2002, nel massacro di Jenin – è privo di senso. Allora, la leadership ebraica annunciò orgogliosamente un alto numero di vittime, in modo da fare di Deir Yassin l’epicentro della catastrofe – un avvertimento per tutti i palestinesi: un destino simile attendeva coloro che si fossero rifiutati di abbandonare le loro case e fuggire.>>
I. Pappe, La pulizia etnica della Palestina, Fazi Editore, Roma 2008, pp. 116-118.
Nessun commento:
Posta un commento