5 ottobre 2012
Quando si è giornalista, scrittrice e traduttrice letteraria, la vita è fatta di incontri. Essendo di origini russe ed esperta di questioni politiche, storiche e letterarie russe, negli ultimi trent’anni ho incontrato molte personalità russe, ma soprattutto persone straordinarie. Tra autori e amici posso annoverare, e lo dico senza presunzione, Mikhail Gorbaciov e Vladimir Bukovsky, Andrei Tarkovsky e Viktor Pelevin, Dmitri Bykov e Sergei Kovalev, Ludmila Ulitskaya e Anna Politkovskaya, per fare alcuni nomi. Purtroppo alcuni dei miei amici non sono più qui con noi. Tra questi Anna Politkovskaya, uccisa a bruciapelo da sicari.
La morte di un amico è sempre una dura prova, ma quando si tratta di un omicidio è come una pugnalata che ti colpisce al cuore e resta fissa lì, per anni. Tutto quello che mi resta è parlare di Anna e continuare a pubblicarla. È ciò che faccio dalla sua scomparsa.
Ho conosciuto Anna alla fine del 1999. Un amico mi aveva fatto leggere dei reportage sulla seconda guerra in Cecenia che lei aveva pubblicato sul giornale dell’opposizione, la Novaya Gazeta.
Ho proposto subito all’editore francese Robert Laffont di farne un libro. Fu allora che, insieme all’editor della casa editrice, partimmo per Mosca per incontrare Anna. All’epoca lei viveva ancora con suo marito, un giornalista, e i loro due figli. Un anno dopo suo marito, che non sopportava più la sua lotta a favore del popolo ceceno, la lasciò.
Quando si è giornalista, scrittrice e traduttrice letteraria, la vita è fatta di incontri. Essendo di origini russe ed esperta di questioni politiche, storiche e letterarie russe, negli ultimi trent’anni ho incontrato molte personalità russe, ma soprattutto persone straordinarie. Tra autori e amici posso annoverare, e lo dico senza presunzione, Mikhail Gorbaciov e Vladimir Bukovsky, Andrei Tarkovsky e Viktor Pelevin, Dmitri Bykov e Sergei Kovalev, Ludmila Ulitskaya e Anna Politkovskaya, per fare alcuni nomi. Purtroppo alcuni dei miei amici non sono più qui con noi. Tra questi Anna Politkovskaya, uccisa a bruciapelo da sicari.
La morte di un amico è sempre una dura prova, ma quando si tratta di un omicidio è come una pugnalata che ti colpisce al cuore e resta fissa lì, per anni. Tutto quello che mi resta è parlare di Anna e continuare a pubblicarla. È ciò che faccio dalla sua scomparsa.
Ho conosciuto Anna alla fine del 1999. Un amico mi aveva fatto leggere dei reportage sulla seconda guerra in Cecenia che lei aveva pubblicato sul giornale dell’opposizione, la Novaya Gazeta.
Ho proposto subito all’editore francese Robert Laffont di farne un libro. Fu allora che, insieme all’editor della casa editrice, partimmo per Mosca per incontrare Anna. All’epoca lei viveva ancora con suo marito, un giornalista, e i loro due figli. Un anno dopo suo marito, che non sopportava più la sua lotta a favore del popolo ceceno, la lasciò.
Sono stata subito colpita dalla sua integrità morale e dal suo senso
della tragedia. Era appena iniziata una nuova guerra in Cecenia, Putin
era appena stato eletto, e nessuno immaginava ancora che il cinismo,
l’odio per l’altro, il nazionalismo russo, il patriottismo sovietico,
l’arbitrio giuridico e amministrativo, stessero assumendo rapidamente
delle proporzioni esorbitanti. Anna fu la prima a parlare di una
fascistizzazione della società russa, ormai malata, senza direzione,
completamente nelle mani di un capo di stato venuto dal Kgb.
A Mosca, tra i suoi colleghi, Anna passava per un’isterica. Andava in Cecenia ogni mese, dove tutto era a ferro e fuoco, per tornare poi a Mosca, dove invece l’intellighenzia era più presa dall’acquisto di macchine e beni di consumo che da quella lontana Cecenia, i cui abitanti non ispiravano né compassione né simpatia. Le esplosioni di palazzi e abitazioni che ci furono a Mosca nell’autunno del 1999 hanno largamente contribuito all’avanzare di un sentimento anti-ceceno, anche se esistono diversi indizi che provano che questi atti terroristici (quasi 300 le vittime) furono organizzati dal Fsb (i servizi segreti russi) per giustificare l’intervento militare in Cecenia. Anna, da sola, si batteva per la popolazione cecena, che era stretta nella morsa tra gli indipendentisti e le truppe federali. Per molte famiglie lei incarnava l’ultima speranza di ritrovare un figlio o un padre rapito, di far curare un bambino ferito, di ottenere la condanna di un assassino o di un torturatore in uniforme. Ogni tanto ci riusciva, ma il più delle volte era una battaglia disperata: una donna contro la macchina di uno Stato.
Sono fiera di aver contribuito alla sua notorietà. Il suo primo libro che abbiamo pubblicato, Le Voyage en enfer ( Un piccolo angolo d’inferno, Rizzoli, 2008), non ha avuto un gran successo e l’editore francese non ha più voluto continuare questa avventura. Allora ho trovato un altro editore in Francia, meno grande ma più impegnato, Buchet Chastel. Il secondo libro, a cui abbiamo lavorato insieme, ha funzionato bene. Cecenia. Il disonore russo (Fandango, 2009) ha ricevuto diversi premi internazionali, e da quel momento è iniziata la carriera letteraria di Anna. I suoi libri sono stati tradotti in Europa e negli Stati Uniti e nel giro di qualche anno è diventata una testimone fondamentale della tragedia cecena. Spesso la accompagnavo e ogni volta la vedevo stanca e delusa dopo i suoi interventi pubblici. «Non capiscono niente - mi diceva con amarezza - mi sembra di parlare a vuoto». Era in parte vero e in parte no. Le sue testimonianze davanti al Congresso americano o davanti al Consiglio europeo non hanno certo cambiato la politica russa, ma comunque è grazie ad Anna, ai suoi libri e ai suoi interventi, che l’Occidente ha preso coscienza della natura del regime russo.
A Mosca, tra i suoi colleghi, Anna passava per un’isterica. Andava in Cecenia ogni mese, dove tutto era a ferro e fuoco, per tornare poi a Mosca, dove invece l’intellighenzia era più presa dall’acquisto di macchine e beni di consumo che da quella lontana Cecenia, i cui abitanti non ispiravano né compassione né simpatia. Le esplosioni di palazzi e abitazioni che ci furono a Mosca nell’autunno del 1999 hanno largamente contribuito all’avanzare di un sentimento anti-ceceno, anche se esistono diversi indizi che provano che questi atti terroristici (quasi 300 le vittime) furono organizzati dal Fsb (i servizi segreti russi) per giustificare l’intervento militare in Cecenia. Anna, da sola, si batteva per la popolazione cecena, che era stretta nella morsa tra gli indipendentisti e le truppe federali. Per molte famiglie lei incarnava l’ultima speranza di ritrovare un figlio o un padre rapito, di far curare un bambino ferito, di ottenere la condanna di un assassino o di un torturatore in uniforme. Ogni tanto ci riusciva, ma il più delle volte era una battaglia disperata: una donna contro la macchina di uno Stato.
Sono fiera di aver contribuito alla sua notorietà. Il suo primo libro che abbiamo pubblicato, Le Voyage en enfer ( Un piccolo angolo d’inferno, Rizzoli, 2008), non ha avuto un gran successo e l’editore francese non ha più voluto continuare questa avventura. Allora ho trovato un altro editore in Francia, meno grande ma più impegnato, Buchet Chastel. Il secondo libro, a cui abbiamo lavorato insieme, ha funzionato bene. Cecenia. Il disonore russo (Fandango, 2009) ha ricevuto diversi premi internazionali, e da quel momento è iniziata la carriera letteraria di Anna. I suoi libri sono stati tradotti in Europa e negli Stati Uniti e nel giro di qualche anno è diventata una testimone fondamentale della tragedia cecena. Spesso la accompagnavo e ogni volta la vedevo stanca e delusa dopo i suoi interventi pubblici. «Non capiscono niente - mi diceva con amarezza - mi sembra di parlare a vuoto». Era in parte vero e in parte no. Le sue testimonianze davanti al Congresso americano o davanti al Consiglio europeo non hanno certo cambiato la politica russa, ma comunque è grazie ad Anna, ai suoi libri e ai suoi interventi, che l’Occidente ha preso coscienza della natura del regime russo.
Questa donna, grande e fragile allo stesso tempo, è diventata in pochi
anni uno dei critici più acerbi e spietati del sistema Putin. Nel 2004
ha pubblicato una requisitoria personale contro il presidente russo, La Roussie selon Poutine,
in cui scriveva: «Lo detesto (Putin) perché non ama il popolo. Ci
disprezza, ci vede solo come un mezzo per raggiungere i suoi scopi, per
estendere e conservare il suo potere. Si crede in diritto di fare di noi
quello che vuole, di giocare con coi, di manipolarci, di distruggerci
se lo ritiene necessario… la Russia ha già avuto dei dirigenti di queste
fattezze. E ogni volta ci hanno portato a tragedie, bagni di sangue,
guerre civili. Voglio buttarmi alle spalle tutto questo. Ecco perché
provo tanta avversione per questo cekista che cammina sul tappeto rosso
del Cremlino arrampicandosi fino al trono».
IL RISVEGLIO DELL’INTELLIGHENZIA
Scrivendo questo libro Anna sapeva il rischio che correva. Non è stata la prima giornalista ad essere uccisa in Russia. Né sarà l’ultima. Ma quando le raccomandavo di essere prudente, mi diceva: «Galia, non ho scelta. È il mio mestiere, e se non faccio tutto quello che è in mio potere per aiutare le persone che soffrono e per smascherare i loro carnefici, come potrei guardare i miei figli negli occhi?» Grande ammiratrice di Tolstoj e di Cechov, aveva conservato un’anima pura e il senso di responsabilità e dell’onore che hanno da sempre caratterizzato l’intellighenzia russa. Ci sono voluti alcuni anni per far risvegliare quest’intellighenzia. A partire dal 2009, la data del secondo processo, del tutto costruito, di Mikhail Khodorkovsky, scrittori e artisti hanno cominciato a rendersi conto di quello che Anna diceva nella prima metà degli anni Duemila, prima del suo assassinio, il 7 ottobre 2006. Solo da un anno a questa parte assistiamo a manifestazioni di piazza dell’opposizione, che reclama apertamente le dimissioni di Putin e la democratizzazione del paese. Ma nel frattempo il regime si è rafforzato, il Fsb ha allargato il suo potere, il campo politico è stato non solo spianato, ma cementato, affinché niente possa distruggerlo.
La lezione di coraggio e di lucidità che ci ha dato Anna, ai russi come agli occidentali, non è stata vana. Se nessuno nelle file dell’opposizione non possiede la sua stessa umanità, il suo talento e passione per la verità di giustizia, migliaia di giornalisti, scrittori, artisti, attivisti politici, ecologisti, uomini d’affari sono decisi oggi a portare avanti una lotta che era anche la sua. La lotta per una Russia libera.
IL RISVEGLIO DELL’INTELLIGHENZIA
Scrivendo questo libro Anna sapeva il rischio che correva. Non è stata la prima giornalista ad essere uccisa in Russia. Né sarà l’ultima. Ma quando le raccomandavo di essere prudente, mi diceva: «Galia, non ho scelta. È il mio mestiere, e se non faccio tutto quello che è in mio potere per aiutare le persone che soffrono e per smascherare i loro carnefici, come potrei guardare i miei figli negli occhi?» Grande ammiratrice di Tolstoj e di Cechov, aveva conservato un’anima pura e il senso di responsabilità e dell’onore che hanno da sempre caratterizzato l’intellighenzia russa. Ci sono voluti alcuni anni per far risvegliare quest’intellighenzia. A partire dal 2009, la data del secondo processo, del tutto costruito, di Mikhail Khodorkovsky, scrittori e artisti hanno cominciato a rendersi conto di quello che Anna diceva nella prima metà degli anni Duemila, prima del suo assassinio, il 7 ottobre 2006. Solo da un anno a questa parte assistiamo a manifestazioni di piazza dell’opposizione, che reclama apertamente le dimissioni di Putin e la democratizzazione del paese. Ma nel frattempo il regime si è rafforzato, il Fsb ha allargato il suo potere, il campo politico è stato non solo spianato, ma cementato, affinché niente possa distruggerlo.
La lezione di coraggio e di lucidità che ci ha dato Anna, ai russi come agli occidentali, non è stata vana. Se nessuno nelle file dell’opposizione non possiede la sua stessa umanità, il suo talento e passione per la verità di giustizia, migliaia di giornalisti, scrittori, artisti, attivisti politici, ecologisti, uomini d’affari sono decisi oggi a portare avanti una lotta che era anche la sua. La lotta per una Russia libera.
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