Ustica,
Cermis, Livorno. Si chiama "Theresa", la nave militare statunitense che
si allontana rapidamente dal luogo della collisione che provocò la
morte di 140 persone. Le indagini ufficiali hanno fatto di tutto per non
rivelarlo.
Ventidue anni fa, era il 10 aprile del 1991, nel porto di Livorno avveniva una devastante collisione tra la nave traghetto Moby Prince e la petroliera dell'Agip "Abruzzo". Morirono 140 persone. Le indagini ufficiali seppellirono l'inchiesta. Molte fonti riferivano di navi militari statunitensi nel porto (vicino c'è la grande base militare Usa di Camp Darby).
Oggi l'Ansa riferisce quanto pubblichiamo qui di seguito:
"Il mistero della nave fantasma che abbandona la rada del porto di Livorno dopo la collisione tra la Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, costata la vita a 140 persone a bordo del traghetto, sembra essere definitivamente svelato. Secondo una perizia condotta da esperti consultati dai figli del comandante del Moby Prince, la misteriosa Theresa che lascia traccia audio nelle registrazioni di quella notte è una delle navi militarizzate Usa che erano nella rada livornese. "Dalle nostre comparazioni - spiega Gabriele Bardazza, l'esperto nominato da Angelo Chessa, figlio del comandante della Moby Prince - si evince che Theresa è il Gallant 2, una delle navi militarizzate che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi presso la base di Camp Darby.
Resta
da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non
utilizzare via radio il proprio identificativo ma un nome in codice,
come resta da spiegare il fatto che i periti del tribunale non si siano
mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi
fosse Theresa, nonostante nel processo di questa nave fantasma si sia
parlato a lungo".
Il lavoro di Bardazza e dei suoi collaboratori, di cui proprio oggi riferisce il Corriere della Sera, mette a frutto, grazie alle nuove tecnologie a disposizione, ciò che negli atti processuali era già indicato da anni. Come una enorme lente di ingrandimento utilizzata per scovare dettagli finora inesplorati e che potrebbero gettare nuova luce sul più grande disastro della marineria italiana, a cominciare, conclude Bardazza, "dal punto in cui si trovava alla fonda la petroliera e che le stesse carte processuali collocano nel triangolo vietato all'ancoraggio e alla pesca, dimostrando che il traghetto le è finito addosso non durante la navigazione in uscita dal porto ma durante una rotta di rientro".
Il lavoro di Bardazza e dei suoi collaboratori, di cui proprio oggi riferisce il Corriere della Sera, mette a frutto, grazie alle nuove tecnologie a disposizione, ciò che negli atti processuali era già indicato da anni. Come una enorme lente di ingrandimento utilizzata per scovare dettagli finora inesplorati e che potrebbero gettare nuova luce sul più grande disastro della marineria italiana, a cominciare, conclude Bardazza, "dal punto in cui si trovava alla fonda la petroliera e che le stesse carte processuali collocano nel triangolo vietato all'ancoraggio e alla pesca, dimostrando che il traghetto le è finito addosso non durante la navigazione in uscita dal porto ma durante una rotta di rientro".
Ultima modifica Mercoledì 10 Aprile 2013 12:50
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