domenica 21 ottobre 2012
Carmela è una vittima collaterale di femminicidio, la 110 dall’inizio dell’anno, in un elenco che oltre alle donne uccise per mano di mariti, fidanzati o ex, si aggiungono figli, nuovi partner, e anche bambini uccisi per vendetta o perché vicini alla vittima da punire. Morta a 17 anni, Carmela ha fatto scudo con il suo corpo per salvare la sorella dalle 20 coltellate che Samuele – 23 anni ed ex fidanzato di questa – sferrava sulle guance, sul mento, alla schiena di Lucia, 18 anni.
Una storia, come quella di tante altre donne e ragazze perché il femminicidio non ha età, che ha tutti i tratti della violenza e della volontà di controllo che poco ha a che vedere con l’amore e che nella sua estrema conseguenza si esprime anche con l’annientamento materiale del corpo della donna. Nella sua confessione Samuele spiega lui stesso perché che non ce l’aveva con Carmela: «L’ho colpita per sbaglio – dice – ce l’avevo con Lucia».
Samuele voleva Lucia come una cosa che si possiede e su cui si esercita il proprio potere, come in una cultura in cui il maschio possiede la femmina che è solo sua, e dato che quella “cosa” gli aveva risposto con un “no”, Samuele la seguiva, le stava alle costole e la minacciava perché la rivoleva indietro. Nell’ultimo sms, pochi giorni prima dell’agguato, le aveva scritto: «Cenere sei e ceneri ritornerai». Un fatto di cui non erano a conoscenza i genitori, ma i carabinieri sì, perché come riporta un amico di scuola, Lucia era andata da loro che le avevano consigliato «di cambiare numero». Ora Samuele è in carcere per omicidio volontario premeditato, ma questa è una morte che si poteva evitare, come il 70% dei femminicidi che, in Italia e in Europa (Rapporto Onu 2012), si consumano all’interno di relazioni intime e che hanno avuto segnalazioni a forze dell’ordine, servizi sociali, strutture antiviolenza.
Il cambiamento di cultura necessario per abbattere il femminicidio, parte dalla valutazione e dall’importanza che questi fatti hanno, e dal ribaltamento dei ruoli attribuiti alla donna nella società, nella politica, nel privato: ruoli legati a stereotipi esasperati che hanno ridotto la donna a un corpo su cui il maschio, di ogni età o estrazione sociale, può esercitare il suo potere senza freno. Questo modo di pensare ha come conseguenza la tiepida attenzione al problema e facilita l’impunità dei reponsabili che spesso godono, nei tribunali, di attenuanti che richiamano al delitto d’onore cancellato nel 1981. Carmela è stata uccisa forse anche perché i carabinieri non hanno dato peso all’allarme lanciato da Lucia sulla persecuzione dell’ex fidanzato, una cosa che succede spesso nelle caserme quando una donna chiede aiuto perché vittima di violenza domestica o minacciata da un ex.
Mesi fa il governo italiano è stato redarguito dalle Nazioni Unite «per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne», «per l’allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner», «per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica»: raccomandazioni che vanno a colpire l’humus su cui i femminicidi proliferano ma a cui l’Italia non dà ascolto. Dieci giorni fa l’Italia ha firmato la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, sapendo che senza ratifica non è attuabile nel nostro Paese.
Nel 2013 il Comitato Cedaw chiederà al governo italiano cosa ha fatto contro il femminicidio e rischia di fare ancora una pessima figura. L’invito a politiche immediate – come nella Convenzione contro il femminicidio “No More!” – e la revisione del Piano Nazionale varato dalla ex ministra Carfagna, è un buon consiglio.
Carmela è una vittima collaterale di femminicidio, la 110 dall’inizio dell’anno, in un elenco che oltre alle donne uccise per mano di mariti, fidanzati o ex, si aggiungono figli, nuovi partner, e anche bambini uccisi per vendetta o perché vicini alla vittima da punire. Morta a 17 anni, Carmela ha fatto scudo con il suo corpo per salvare la sorella dalle 20 coltellate che Samuele – 23 anni ed ex fidanzato di questa – sferrava sulle guance, sul mento, alla schiena di Lucia, 18 anni.
Una storia, come quella di tante altre donne e ragazze perché il femminicidio non ha età, che ha tutti i tratti della violenza e della volontà di controllo che poco ha a che vedere con l’amore e che nella sua estrema conseguenza si esprime anche con l’annientamento materiale del corpo della donna. Nella sua confessione Samuele spiega lui stesso perché che non ce l’aveva con Carmela: «L’ho colpita per sbaglio – dice – ce l’avevo con Lucia».
Samuele voleva Lucia come una cosa che si possiede e su cui si esercita il proprio potere, come in una cultura in cui il maschio possiede la femmina che è solo sua, e dato che quella “cosa” gli aveva risposto con un “no”, Samuele la seguiva, le stava alle costole e la minacciava perché la rivoleva indietro. Nell’ultimo sms, pochi giorni prima dell’agguato, le aveva scritto: «Cenere sei e ceneri ritornerai». Un fatto di cui non erano a conoscenza i genitori, ma i carabinieri sì, perché come riporta un amico di scuola, Lucia era andata da loro che le avevano consigliato «di cambiare numero». Ora Samuele è in carcere per omicidio volontario premeditato, ma questa è una morte che si poteva evitare, come il 70% dei femminicidi che, in Italia e in Europa (Rapporto Onu 2012), si consumano all’interno di relazioni intime e che hanno avuto segnalazioni a forze dell’ordine, servizi sociali, strutture antiviolenza.
Il cambiamento di cultura necessario per abbattere il femminicidio, parte dalla valutazione e dall’importanza che questi fatti hanno, e dal ribaltamento dei ruoli attribuiti alla donna nella società, nella politica, nel privato: ruoli legati a stereotipi esasperati che hanno ridotto la donna a un corpo su cui il maschio, di ogni età o estrazione sociale, può esercitare il suo potere senza freno. Questo modo di pensare ha come conseguenza la tiepida attenzione al problema e facilita l’impunità dei reponsabili che spesso godono, nei tribunali, di attenuanti che richiamano al delitto d’onore cancellato nel 1981. Carmela è stata uccisa forse anche perché i carabinieri non hanno dato peso all’allarme lanciato da Lucia sulla persecuzione dell’ex fidanzato, una cosa che succede spesso nelle caserme quando una donna chiede aiuto perché vittima di violenza domestica o minacciata da un ex.
Mesi fa il governo italiano è stato redarguito dalle Nazioni Unite «per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne», «per l’allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex-partner», «per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica»: raccomandazioni che vanno a colpire l’humus su cui i femminicidi proliferano ma a cui l’Italia non dà ascolto. Dieci giorni fa l’Italia ha firmato la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, sapendo che senza ratifica non è attuabile nel nostro Paese.
Nel 2013 il Comitato Cedaw chiederà al governo italiano cosa ha fatto contro il femminicidio e rischia di fare ancora una pessima figura. L’invito a politiche immediate – come nella Convenzione contro il femminicidio “No More!” – e la revisione del Piano Nazionale varato dalla ex ministra Carfagna, è un buon consiglio.
Luisa Betti - il manifesto
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