09/01/2009
Il
 dentifricio, lo spazzolino, le lamette e la mia schiuma da barba. I 
vestiti che indosso, lo sciroppo per curarmi una brutta tosse che mi 
affligge da settimane, le sigarette comprate per Ahmed, il tabacco per 
il mio arghilè. Il mio telefono cellulare, il computer portatile su 
cui batto ebefrenico per tramandare una testimonianza dell’inferno 
circostante. Tutto il necessario per una vita umile e dignitosa a Gaza, 
proviene dall’Egitto, ed è arrivato sugli scaffali dei negozi del 
centro passando attraverso i tunnel. Gli stessi tunnel che caccia F16 
israeliani hanno continuato a bombardare massicciamente nelle ultime 12 
ore, coinvolgendo nelle distruzioni le migliaia di case di Rafah  vicini
 al confine. Un paio di mesi fa mi sono fatto sistemare tre denti 
malconci, alla fine dell’intervento ricordo che ho chiesto al mio 
dentista palestinese dove si procurava tutto il materiale odontotecnico,
 anestetico, siringhe, corone in ceramica e ferri del mestiere, 
sornione, il dentista mi aveva fatto un cenno con le mani: da sotto 
terra. 
Non
 vi è alcun dubbio che attraverso i cunicoli sotto Rafah passavano anche
 esplosivo e armi, le stesse che la resistenza sta impiegando oggi per 
cercare di arginare la temibile avanzata dei mortiferi blindati 
israeliani, ma è poca cosa rispetto alle tonnellate di beni di consumo 
che confluivano in una Gaza ridotta alla fame da un criminale assedio. 
Su internet è facile reperire foto che documentano come anche il 
bestiame passava per i tunnel al confine con l’Egitto. Capre e bovini 
addormentati e imbragati venivano fatti calare in un pozzo egiziano per 
riemergere da quest’altra parte e rifornire Gaza di latte, formaggi e 
carne. Anche i principali ospedali della Striscia si approvvigionavano 
clandestinamente al confine. I tunnel erano l’unica risorsa che ha 
consentito alla popolazione palestinese di sopravvivere all’assedio; un 
assedio che qui, ben prima dei bombardamenti, causava un tasso di 
disoccupazione del 60%, e  costringeva l’80% delle famiglie a vivere di 
aiuti umanitari. 
I
 nostri compagni dell’ISM a Rafah ci descrivono l’ennesimo esodo a cui 
stanno assistendo. Carovane di disperati che su carretti trainati da 
muli o sopra mezzi di fortuna stanno lasciando le loro case dinnanzi 
all’Egitto. Copione già visto, i giorni precedenti erano piovuti dal 
cielo volantini che intimavano l’evacuazione, Israele mantiene sempre le
 sue minacce, ora stanno piovendo bombe. Gli sfollati di oggi passeranno
 la notte da parenti, amici e conoscenti a Gaza. Nessuno si fida più ad 
andare ad affollare le scuole delle Nazioni Unite, dopo il massacro di 
ieri a Jabalia. Moltissimi però non si sono mossi, non hanno alcun posto
 dove riparare. Passeranno la notte pregando un Dio che li scampi alla 
morte, dato che nessun uomo pare interessarsi alle loro 
esistenze. Finora sono 768 i morti palestinesi, 3.129 i feriti, 219 i 
bambini ammazzati. 
Il
 computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a 
quota 4. A Zaytoun, quartiere a Est di Gaza city, le ambulanze delle 
Croce Rossa hanno potuto accorrere sul luogo di una strage solo 
dopo diverse ore, dietro coordinamento dei vertici militari israeliani. 
Quando sono arrivati, hanno raccolto 17 cadaveri, e 10 feriti tutti 
appartenenti alla famiglia Al Samoui. Una esecuzione perfetta, nei 
corpicini dei  bambini morti, è possibile notare non schegge di 
esplosivo, ma fori di proiettile. Le ultime due notti negli ospedali 
di Gaza city sono state più tranquille del solito, abbiamo soccorso 
decine di feriti e non centinaia. Evidentemente dopo la strage della 
scuola di Al Fakhura l’esercito israeliano ha sfondato il budget 
quotidiano di morti civili da offrire in pasto ad un governo assetato di
 sangue in vista delle imminenti elezioni. Abbiamo sentore che già da 
stanotte torneranno a riempire gli obitori fino a far scoppiare. 
A
 sirene spiegate continuiamo a scortare negli ospedali donne gravide, 
che partoriscono prematuramente. Come se la natura, la conservazione 
della specie, induca queste madri coraggio ad anticipare la messa al 
mondo di nuove vite per sopperire al crescente numero di morti. Il primo
 vagito di questi neonati, quando sopravvivono, sovrasta per un attimo 
il boato delle bombe. Leila, compagna dell’ISM, ha chiesto ai figli 
dei nostri vicini di casa di scrivere dei pensieri sull’immane tragedia 
che stiamo vivendo. Questi alcuni stralci dei loro temi, gli orrori 
della guerra osservati da uno sguardo puro e innocente, quello dei 
bambini di Gaza: 
Da
 Suzanne, 15 anni: “La vita a Gaza è molto difficile. In realtà non si 
può descrivere tutto. Non possiamo dormire, non possiamo andare a scuola
 o studiare. Proviamo molte emozioni, a volte abbiamo paura e ci 
preoccupiamo perché gli aerei e le navi colpiscono 24 ore su 24. A volte
 ci annoiamo perché durante il giorno non c’è elettricità, e la notte ce
 l’abbiamo solo per circa quattro ore, e quando c’è, guardiamo il 
notiziario in TV. E vediamo bambini e donne feriti o morti. Così viviamo
 l’assedio e la guerra.” 
Da
 Fatma, 13 anni: “E’ stata la settimana più difficile della mia vita. Il
 primo giorno eravamo a scuola, a dare l’esame del primo trimestre, poi 
sono iniziate le esplosioni e molti studenti sono stati uccisi o feriti,
 e gli altri sicuramente hanno perso un parente o vicino. Non c’è 
elettricità, cibo o pane. Che possiamo fare – sono gli israeliani! Tutti
 nel mondo festeggiano il nuovo anno, anche noi lo festeggiamo, ma in 
modo diverso.” 
Da
 Sara, 11 anni : “Gaza vive in un assedio, come in una grande prigione: 
niente acqua, niente elettricità. La gente ha paura e non dorme la 
notte, e ogni giorno nuove persone vengono uccise. Fino ad ora, più di 
700 sono state uccise e più di 3.000 ferite. E gli studenti davano gli 
esami del primo trimestre, così Israele ha colpito le scuole, il 
Ministero dell’educazione, e molti ministeri. Ogni giorno la gente 
chiede quando finirà, e aspettano altre navi di attivisti come Vittorio e
 Leila.” 
Da
 Darween, 8 anni “Sono un bambino palestinese e non lascerò il mio paese
 così avrò molti vantaggi perché non lascerò il mio paese e sento il 
rumore di razzi così non lascerò il mio paese!.” 
Meriam
 ha quattro anni. I suoi fratellini le hanno chiesto: “Cosa provi quando
 senti I razzi?” E lei ha detto: “Ho paura!”, e subito è corsa a 
nascondersi dietro le gambe del papà. 
Gaza
 è tristemente avvolta nell’oscurità da dieci giorni, solo negli 
ospedali ci è concesso ricaricare computer e cellulari, e guardare la 
televisione con i dottori e i paramedici in attesa di una chiamata di 
soccorso. Ascoltiamo i boati in lontananza, dopo qualche minuto le reti 
satellitare arabe riferiscono esattamente dove è avvenuta l’esplosione. 
Spesso ci riguardiamo sullo schermo trarre fuori dalle macerie corpi, 
come se non bastasse averli visti in diretta. Ieri sera col telecomando 
sono capitato su una televisione israeliana. Davano un festival di 
musica tradizionale, con tanto di soubrette in vestiti succinti e fuochi
 artificiali finali. Siamo tornati al nostro orrore, non sullo schermo, 
ma sulle ambulanze. Israele ha tutti i diritti di ridere e cantare anche
 mentre massacra il suo vicino di casa. I palestinesi chiedono solo di 
morire di una morte diversa, che so, di vecchiaia.
Restiamo umani.
Vittorio Arrigoni

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