Scheda a
cura di Paola Staccioli
Il 12 maggio 1977, nell'anniversario della vittoria
referendaria sul divorzio, i radicali decidono di tenere un sit-in in piazza
Navona, nonostante l'assoluto divieto di manifestare in vigore a Roma dopo la
morte, il 21 aprile, dell'agente Passamonti nel corso di scontri di piazza. Il
movimento e i gruppi della nuova sinistra aderiscono all'iniziativa, per
protestare contro il restringimento degli spazi di agibilità politica e il
pesante clima repressivo, favorito dall'appoggio esterno del PCI al cosiddetto
"governo delle astensioni", il monocolore democristiano guidato da
Andreotti. Per far rispettare, a qualsiasi costo, il divieto, il Ministro
dell'Interno Francesco Cossiga schiera migliaia di poliziotti e carabinieri in
assetto di guerra, affiancati da agenti in borghese delle squadre speciali, in
alcuni casi travestiti da "autonomi". Fin dal primo pomeriggio la
tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi
cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando
candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi,
giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati.
Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono
lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i
parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le
violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche.
Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono
raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati
poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana
Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena.
Muore durante il trasporto in ospedale.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell'Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento "il grande senso di prudenza e moderazione" delle forze dell'ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall'evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali - tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l'agente della squadra mobile Giovanni Santone - continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati. L'inchiesta per l'omicidio si concluse nel 1981 con una sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell'Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento "il grande senso di prudenza e moderazione" delle forze dell'ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall'evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali - tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l'agente della squadra mobile Giovanni Santone - continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati. L'inchiesta per l'omicidio si concluse nel 1981 con una sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo.
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