Lunedì 25 Giugno 2012 10:52
di
Adriano Chiarelli
La rabbia per la condanna in Cassazione porta
Paolo Forlani a insultare pesantemente Patrizia Moretti. A fargli
compagnia Simona Cenni, presidente di Prima Difesa, l'associazione per
la tutela dei diritti dei poliziotti, e Sergio Bandoli, l'alpino che
definisce Federico "cucciolo di maiale".
Pensavamo ingenuamente che dopo la sentenza della Cassazione, il
caso Aldrovandi potesse essere consegnato per sempre alla storia, a
servire da bussola giuridica per tutti i processi simili ancora in
corso. Invece no, c’è chi non riesce a digerire la sconfitta; c’è chi
dopo aver scelto un basso profilo per sette anni di processo -
semplicemente per motivi d’appartenenza alla polizia di Stato, e non per
coscienza - ora si sente in diritto di aggiungere veleno ai veleni,
dall’alto della propria posizione di pregiudicato.
Quest’uomo è Paolo
Forlani, il più anziano del quartetto di ex poliziotti; il più esperto e
con maggiore anzianità di servizio, a quanto si legge dalle carte
processuali. Quello che nel momento del pestaggio, in virtù della
propria esperienza avrebbe dovuto placare i bollenti spiriti delle
“schegge impazzite”, ma che invece ha spezzato sul corpo di Federico uno
dei due manganelli. Quello che, si legge sempre dagli atti, piangeva
lacrime di coccodrillo per lo scempio che lui e i suoi quattro colleghi
avevano appena compiuto. E per un ipocrita che piangeva c’era mezza
questura di Ferrara che rideva e fumava sigarette, davanti al cadavere
di Federico steso a terra come un cumulo di stracci: il tutto è
immortalato nel video della scientifica.
Dalla pagina facebook del
gruppo PRIMA DIFESA, l’associazione che dovrebbe difendere i diritti
umani degli appartenenti alle forze dell’ordine e alle forze armate, un
manipolo di commentatori capeggiato da Forlani si è lanciato in una
serie di pesanti insulti contro la madre di Federico, Patrizia
Aldrovandi. Paolo Forlani è lo stesso che già aveva querelato la donna
per aver pronunciato la parola “assassini” a processo ancora in corso.
Non si poteva pronunciare la parola “assassini”, non si poteva dire
niente finché non l’avessero stabilito i giudici. Ora si può dire, tutti
lo possono dire: assassini, pregiudicati, ex-poliziotti seppur non
ancora destituiti.
La sconfitta processuale è dura da digerire così
come deve essere stato duro digerire l’aver buttato al vento la cospicua
parcella dell’avvocato Niccolò Ghedini, visto il fiume di veleno e
violenza che straripa dalla pagina di Prima Difesa.
A scorrere gli
interventi e i post si evince chiaramente l’orientamento politico e
morale di buona parte degli iscritti. Chi non è d’accordo con le loro
tesi, chi non si appassiona alle decine di post su pistole, armi da
fuoco, e caricatori di proiettili da svuotare addosso agli immigrati è
un "comunista di merda". Chi condivide i contenuti delle sentenze
Aldrovandi è disinformato e dovrebbe andare a leggersi gli atti. Chi
afferma che Federico sia morto per un pestaggio è in malafede. I giudici
di cassazione hanno emesso una sentenza politica ad uso e consumo dei
media. È questo il contesto in cui si sviluppano i deliranti scambi di
vedute sulla famiglia Aldrovandi.
Secondo il pregiudicato Forlani,
Patrizia è “una faccia da culo” che non dovrebbe godersi il risarcimento
ottenuto dallo Stato. Per Simona Cenni, la mente, l’ideatrice, la guida
spirituale di questo bizzarro gruppo denominato Prima Difesa chiedere a
gran voce la condanna degli ex-poliziotti è una follia, un’ingiustizia
nell’ingiustizia. Si infuria Simona Cenni, nel momento in cui realizza
che la sua strampalata battaglia per i diritti umani dei poliziotti fa
acqua da tutte le parti.
Ancora secondo Paolo Forlani invece,
sentirsi appellare assassino dopo 30 anni di onorato servizio è qualcosa
di inostenibile, e chiunque affermi che Federico sia stato
selvaggiamente pestato mente sapendo di mentire; si difende: “non
l’abbiamo pestato, è morto perché drogato”, come diceva all’epoca il
questore Elio Graziano; “mi additano come assassino perché qualcuno è
riuscito a distorcere la verità” e invita tutti a leggere gli atti, non
solo i giornali.
Noi li abbiamo sempre letti gli atti e parlano
chiaro. Se il cuore di Federico si è fermato non è stato per le droghe
ma per le manovre di contenimento e schiacciamento sul selciato. Quelle
ginocchia sul torace hanno fermato il cuore, le manganellate, le botte,
le torture gli hanno spezzato il respiro. Anche i tossicologi hanno
stabiliti già in tempi non sospetti che le droghe che Federico aveva
assunto non avrebbero potuto cagionare la morte.
Il climax di questa
salva d’insulti e illazioni arriva da un alpino chiamato Sergio Bandoli
che si spinge oltre affermando: ‘La “madre” se avesse saputo fare la
madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!’.
Il
tam tam in rete comincia immediatamente e l’indignazione cresce in modo
inarrestabile. È chiaro a tutti che il caso Aldrovandi non è ancoraq
finito, e non potrà finire fino a quando non verranno arginati i
bollenti spiriti delle “schegge” impazzite, che a quanto pare sono ben
più di quattro poliziotti e va ben oltre il novero consolatorio delle
“poche mele marce”.
Alla resa dei conti emerge la vera indole di
questi personaggi. A leggerli, a osservarli, non si fa fatica a
immaginarli curvi a infierire su Federico come belve, a spezzare
manganelli, a “bastonarlo di brutto”.
Si apre un nuovo capitolo di
questa storia infinita: Patrizia e Lino Aldrovandi hanno sporto denuncia
contro Paolo Forlani, Simona Cenni e Sergio Bandoli.
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