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Donatella Quattrone


martedì 26 giugno 2012

Aldrovandi. I poliziotti insultano la madre di Federico


















  





Lunedì 25 Giugno 2012 10:52

di  Adriano Chiarelli 

La rabbia per la condanna in Cassazione porta Paolo Forlani a insultare pesantemente Patrizia Moretti. A fargli compagnia Simona Cenni, presidente di Prima Difesa, l'associazione per la tutela dei diritti dei poliziotti, e Sergio Bandoli, l'alpino che definisce Federico "cucciolo di maiale".
Pensavamo ingenuamente che dopo la sentenza della Cassazione, il caso Aldrovandi potesse essere consegnato per sempre alla storia, a servire da bussola giuridica per tutti i processi simili ancora in corso. Invece no, c’è chi non riesce a digerire la sconfitta; c’è chi dopo aver scelto un basso profilo per sette anni di processo - semplicemente per motivi d’appartenenza alla polizia di Stato, e non per coscienza - ora si sente in diritto di aggiungere veleno ai veleni, dall’alto della propria posizione di pregiudicato.
Quest’uomo è Paolo Forlani, il più anziano del quartetto di ex poliziotti; il più esperto e con maggiore anzianità di servizio, a quanto si legge dalle carte processuali. Quello che nel momento del pestaggio, in virtù della propria esperienza avrebbe dovuto placare i bollenti spiriti delle “schegge impazzite”, ma che invece ha spezzato sul corpo di Federico uno dei due manganelli. Quello che, si legge sempre dagli atti, piangeva lacrime di coccodrillo per lo scempio che lui e i suoi quattro colleghi avevano appena compiuto. E per un ipocrita che piangeva c’era mezza questura di Ferrara che rideva e fumava sigarette, davanti al cadavere di Federico steso a terra come un cumulo di stracci: il tutto è immortalato nel video della scientifica.
Dalla pagina facebook del gruppo PRIMA DIFESA, l’associazione che dovrebbe difendere i diritti umani degli appartenenti alle forze dell’ordine e alle forze armate, un manipolo di commentatori capeggiato da Forlani si è lanciato in una serie di pesanti insulti contro la madre di Federico, Patrizia Aldrovandi. Paolo Forlani è lo stesso che già aveva querelato la donna per aver pronunciato la parola “assassini” a processo ancora in corso. Non si poteva pronunciare la parola “assassini”, non si poteva dire niente finché non l’avessero stabilito i giudici. Ora si può dire, tutti lo possono dire: assassini, pregiudicati, ex-poliziotti seppur non ancora destituiti.
La sconfitta processuale è dura da digerire così come deve essere stato duro digerire l’aver buttato al vento la cospicua parcella dell’avvocato Niccolò Ghedini, visto il fiume di veleno e violenza che straripa dalla pagina di Prima Difesa.
A scorrere gli interventi e i post si evince chiaramente l’orientamento politico e morale di buona parte degli iscritti. Chi non è d’accordo con le loro tesi, chi non si appassiona alle decine di post su pistole, armi da fuoco, e caricatori di proiettili da svuotare addosso agli immigrati è un "comunista di merda". Chi condivide i contenuti delle sentenze Aldrovandi è disinformato e dovrebbe andare a leggersi gli atti. Chi afferma che Federico sia morto per un pestaggio è in malafede. I giudici di cassazione hanno emesso una sentenza politica ad uso e consumo dei media. È questo il contesto in cui si sviluppano i deliranti scambi di vedute sulla famiglia Aldrovandi.
Secondo il pregiudicato Forlani, Patrizia è “una faccia da culo” che non dovrebbe godersi il risarcimento ottenuto dallo Stato. Per Simona Cenni, la mente, l’ideatrice, la guida spirituale di questo bizzarro gruppo denominato Prima Difesa chiedere a gran voce la condanna degli ex-poliziotti è una follia, un’ingiustizia nell’ingiustizia. Si infuria Simona Cenni, nel momento in cui realizza che la sua strampalata battaglia per i diritti umani dei poliziotti fa acqua da tutte le parti.
Ancora secondo Paolo Forlani invece, sentirsi appellare assassino dopo 30 anni di onorato servizio è qualcosa di inostenibile, e chiunque affermi che Federico sia stato selvaggiamente pestato mente sapendo di mentire; si difende: “non l’abbiamo pestato, è morto perché drogato”, come diceva all’epoca il questore Elio Graziano; “mi additano come assassino perché qualcuno è riuscito a distorcere la verità” e invita tutti a leggere gli atti, non solo i giornali.
Noi li abbiamo sempre letti gli atti e parlano chiaro. Se il cuore di Federico si è fermato non è stato per le droghe ma per le manovre di contenimento e schiacciamento sul selciato. Quelle ginocchia sul torace hanno fermato il cuore, le manganellate, le botte, le torture gli hanno spezzato il respiro. Anche i tossicologi hanno stabiliti già in tempi non sospetti che le droghe che Federico aveva assunto non avrebbero potuto cagionare la morte.
Il climax di questa salva d’insulti e illazioni arriva da un alpino chiamato Sergio Bandoli che si spinge oltre affermando: ‘La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!’.
Il tam tam in rete comincia immediatamente e l’indignazione cresce in modo inarrestabile. È chiaro a tutti che il caso Aldrovandi non è ancoraq finito, e non potrà finire fino a quando non verranno arginati i bollenti spiriti delle “schegge” impazzite, che a quanto pare sono ben più di quattro poliziotti e va ben oltre il novero consolatorio delle “poche mele marce”.
Alla resa dei conti emerge la vera indole di questi personaggi. A leggerli, a osservarli, non si fa fatica a immaginarli curvi a infierire su Federico come belve, a spezzare manganelli, a “bastonarlo di brutto”.
Si apre un nuovo capitolo di questa storia infinita: Patrizia e Lino Aldrovandi hanno sporto denuncia contro Paolo Forlani, Simona Cenni e Sergio Bandoli. 

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